L’indagine Eurispes, racchiusa nel 30esimo Rapporto Italia, sull’importanza di reintrodurre l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole e sulla percezione che ne hanno gli italiani, ha suscitato grandissimo interesse; un tema raccolto anche dal nuovo Governo che ha annunciato di volerlo inserire tra i primissimi provvedimenti.
Secondo la ricerca Eurispes, il 67,8% degli italiani sarebbero favorevoli, i contrari rappresentano una minoranza del 32,2%.
Parte da questi dati, la volontà della nostra rivista di discutere e riflettere su questo tema. La prima intervista è con Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi (ANP) del Lazio.
Professor Rusconi, si è acceso un dibattito, anche a livello istituzionale, sulla proposta di reintrodurre l’educazione civica nelle scuole. Ma in realtà, non è mai stata abolita, o sbaglio?
L’Italia è un paese bizzarro, l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole è a macchia di leopardo. In effetti, non è mai stata abolita: dal punto di vista formale, il tema è inserito nell’ambito dello studio della storia fin dalla scuola primaria per due ore al mese, ma viene insegnata? E questa è la prima domanda. Secondo problema: come viene insegnata?
Appunto, quali sono le risposte?
Spesso non viene insegnata, qualche insegnante lo fa per propria buona volontà. E comunque viene sottovalutato l’apprendimento delle norme e dell’ordinamento dello Stato, fatto non solo di regole ma soprattutto di comportamenti di rispetto di queste norme.
E da che cosa dipende secondo lei?
A mio parere, dipende dal fatto che gli insegnanti italiani per trent’anni anni sono stati un po’ abbandonati a loro stessi: solo l’anno scorso è stato introdotto l’obbligo della formazione, e questo la dice lunga sul fatto che le Istituzioni non hanno mai ritenuto utile l’aggiornamento degli insegnanti.
Quindi gli insegnanti non sono abbastanza preparati?
In molte scuole dell’Europa del Nord – come la Svezia, la Finlandia, la Danimarca – le scuole, i presidi e gli insegnanti vengono valutati per vedere come hanno lavorato. In Italia non c’è questo controllo, da noi è stato annunciato che sarà eliminato anche il misero pacchetto valutativo che c’era. Ma il problema è anche organizzativo, manca una cabina di regia. Nel momento in cui sono le scuole stesse a organizzare la formazione, si lasciano zone d’ombra notevolissime, come appunto per l’educazione civica, ma anche per il settore matematico e scientifico, dove sono pochissimi gli aggiornamenti degli insegnanti.
Perché accade questo?
Al sistema politico italiano, della scuola non gliene frega niente, e il risultato è uno sprofondamento antidemocratico, perché senza una scuola di qualità, il figlio della povera gente non avrà futuro. Quando la scuola smette di essere ascensore sociale, cessa la sua funzione democratica.
Dunque, tornando al tema di partenza: l’educazione civica dovrebbe essere una materia a sé?
Non la introdurrei come materia autonoma, perché il numero globale di ore di insegnamento nelle scuole italiane è già superiore a quello della media europea. Sono convinto che insegnare l’educazione civica non significhi solamente insegnare come funzionano le Istituzioni, bensì educare al rispetto delle norme di quell’Istituzione. È giusto che ci sia un insegnante preposto – quello di lettere per le elementari e le medie, quello di storia e filosofia per le superiori – ma deve essere un abito professionale di tutti gli insegnanti. L’educazione civica deve diventare un fil rouge che lega tutte le materie; per fare questo, ci vuole preparazione e soprattutto la capacità di lavorare in team, cosa ancora molto lontana.
Quali sono le conseguenze di questa mancanza?
Per quanto riguarda la scuola stessa, la prima conseguenza è proprio l’occupazione delle scuole da parte degli studenti, che io ho soprannominato la “settima malattia esantematica”, per la quale servirebbe un vaccino: è la prima violazione della filosofia dell’educazione civica. Quando l’occupazione viene considerata una specie di rito, vuole dire che l’Istituzione e il suo rispetto vengono stuprati.
Preside, i ragazzi conoscono le Istituzioni?
Quelle di prossimità sì, tipo la Asl o il municipio, ma se si parla del Parlamento Europeo o del Consiglio d’Europa, la difficoltà è evidente.
Insomma, secondo lei, a 18 anni i ragazzi sono pronti per votare?
A mio giudizio, la maggior parte degli italiani non è pronta per votare. Il livello di alfabetizzazione culturale è molto basso nel nostro Paese, sarebbe da pretendere che, prima di entrare in un museo d’arte, si prendesse una patente d’arte.
Lancio anche io, allora, una provocazione: che ne pensa dell’idea di istituire una patente anche per poter accedere al voto?
Non credo che limitando il diritto di voto, si migliori la situazione. Credo che tutti debbano avere il diritto ma il problema è fare in modo che siano ben informati su quello che si va a fare, e in questi i media hanno una responsabilità notevolissima; problema acuito tra l’altro dalla diffusione dei social.