Europee 2019, la rilevanza del “cretino” ai tempi di Facebook

Dalla mia finestra, davanti alla Commissione Europea a Bruxelles, vedo passare le auto e qualche elicottero per il summit al Consiglio. Capi di Stato e di governo che, dopo le elezioni, affronteranno il problema del nuovo Governo in Europa.

Come sempre, il problema non è il problema di per sé. Il problema è, piuttosto, come si reagisce al problema. Vale anche per i risultati di questo voto delle elezioni europee e per ogni cittadino. Ci accorgiamo, infatti, soltanto di una delle mille cose che succedono e la nostra attenzione viene spostata di proposito su un aspetto piuttosto che su un altro. Insomma, tutto è relativo, dipende da come lo percepiamo, e si trovano buoni argomenti per difendere qualsiasi tesi. L’estrema destra populista vince in Europa, ma non ottiene i risultati attesi. Se è vero che in Italia, Francia e UK, la destra rappresenta un terzo dei voti espressi, è pur vero che la metà degli aventi diritto si è astenuta; questo significa che da noi, ad esempio, soltanto un italiano su sei ha votato Lega. I partiti tradizionali di centro hanno perso, è vero, ma si sono difesi bene in alcuni paesi; i socialisti hanno vinto in Spagna e Portogallo, ma sono spariti altrove. I Verdi sbaragliano in Germania e Francia, ma in Europa non ci sarà nemmeno un parlamentare eletto dall’Italia dove, peraltro, il partito che ha vinto sarà minoranza in Europa.

Nonostante la propaganda, infatti, la Commissione Europea sarà espressione di forze tradizionali, e al Parlamento europeo siederanno anche dei “mostri” politici. È vero che in UK un signore senza scrupoli ha messo su un partito dal nulla, il Brexit, e ha preso il 31%. Ma non è una novità, la stessa persona lo aveva già fatto nel 2014 con UKIP (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito) e anche allora risultò vincente con il 26% dei voti, salvo poi dimettersi dal suo stesso partito. E cosi via discorrendo, di tutto e del contrario di tutto. Non solo quindi tutto è relativo e la nostra opinione dipende da dove decidiamo di porre la nostra attenzione; è anche vero che tutto passa, finisce e comincia una cosa nuova. Così le vittorie e le sconfitte, che avrebbero prefigurato un qualche sconquasso epocale, quando la DC raggiungeva il 40% e poi il PCI il 35%, il PD al 40%, Berlusconi al 30%, i 5 Stelle al 35%, sono tutte andate. Inevitabilmente cosi sarà anche per chi ha vinto oggi. Tutto passa, basta aspettare. Ma non senza conseguenze.

In Inghilterra, per esempio, i giovani e gli studenti hanno votato massicciamente a favore dell’Europa e contro la Brexit al referendum, ma per una generazione almeno non godranno dei benefici dei loro colleghi svedesi o tedeschi e nemmeno di quelli dei loro fratelli più grandi o dei loro genitori che, magari, hanno fatto l’Erasmus studiando un anno all’estero. Del futuro in Europa di questi ragazzi, hanno deciso invece adulti anziani, spesso con livelli di istruzione molto bassi, spaventati ad arte da un nemico che non c’è.

Le ultime tornate elettorali hanno visto apparire infatti un nuovo fenomeno: l’interferenza decisiva di Facebook e degli altri social nelle campagne elettorali. Carole Cadwalladr è una giornalista investigativa inglese del Guardian molto conosciuta. Le sue rivelazioni hanno dimostrato come il risultato del referendum sulla Brexit sia stato falsato. L’operazione è stata portata a termine dalla stessa squadra, tra gli altri Nigel Farage, il signore al quale accennavo sopra, che qualche mese più tardi favoriranno anche l’elezione di Trump negli Usa.

Illecitamente. Diversi reati, infatti, sono stati documentati, sia in Inghilterra che in Usa. A dimostrarlo il fatto che a seguito delle vicende relative a Cambridge Analytica – la società che è stata utilizzata per ottenere illecitamente i profili di milioni di utenti Facebook –, la Federal Trade Commission in Usa sta per comminare una multa colossale a Facebook: due miliardi di dollari. Abbastanza per comprarsi tutte le ville più prestigiose della nostra città, migliaia di Ferrari, montagne di oro (una tonnellata vale appena cento milioni di euro); oppure, meglio ancora, potrebbero essere investiti in numerosissime iniziative di rilevanza tecnologica, ambientale, culturale, sociale o educative.
Tra l’altro, questa cifra stratosferica equivale a poco più di uno “sculaccione” per Facebook, che ogni anno incassa circa cinquantasette miliardi di dollari. Se per un anno ne pagherà due non fallirà. Facebook guadagna, appunto, tutti questi soldi con il suo servizio gratuito perché noi generosamente gli regaliamo i nostri dati personali. Il meccanismo è ormai conosciuto e sfruttato dal mondo commerciale e politico: ciascuno di noi sui social riceve informazioni e pubblicità differenti da ogni altra persona. Si tratta, a quel punto, semplicemente di promettere risoluzioni a problemi e ansie personali, magari procurate di proposito. Di questi tempi funziona l’idea dell’”invasione dei migranti” e degli “italiani prima”, i “francesi prima”, gli “americani prima”, i “finlandesi prima”.

Se il nostro bersaglio si informa solo online, ha la licenza media, è precario, posta commenti sgrammaticati, ascolta certa musica, compra certi prodotti, visita alcuni siti o mette like su alcuni specifici post, il gioco è fatto: basterà dirgli che ha ragione lui e promettergli di miglioragli la vita. Funziona, è scienza, nessun dubbio.
La nostra giornalista si chiede se questo è quello che vogliamo. Dare in pasto ad un manipolo di politici rabbiosi e con la psiche in disordine, il corretto funzionamento della nostra democrazia? Perché questo è quello che sta succedendo. O meglio, questo, è quello che è già successo.
Facendo leva sulle nostre paure e debolezze, portare i cittadini, uno per uno, a votare qualcuno e qualcosa che è contrario ai loro stessi interessi. Carlo Cipolla, storico ed economista, definiva proprio cosi la stupidità umana: chi attraverso le sue azioni, crea un danno a se stesso. E si pesca più facilmente tra le persone ad alto disagio economico e sociale.
Ed oggigiorno, poi, non è necessario nemmeno che lo stupido sia effettivamente stupido. È sufficiente distrarre continuamente una persona ad arte per distogliere l’attenzione da quello che sarebbe effettivamente importante per lui. Intendiamoci, è sempre successo, panem et circenses, ma adesso le tecniche di manipolazione attraverso i social sono talmente sofisticate che la propaganda personalizzata ti insegue fin dentro al seggio, senza che ce ne rendiamo conto. Tanto che, probabilmente, dovremmo mettere in dubbio le nostre stesse opinioni.

Va da sé che la categoria dei politici astuti che ne traggono vantaggio non condividerà con nessun altro i benefici che intasca. Così i poveri votano per i ricchissimi, gli ignoranti contro la scuola, la vittima per il carnefice, i bastoncini di pesce per Capitan Findus.
In molti studi, di recente, più garbatamente, gli stupidi sono adesso definiti gli analfabeti funzionali ‒ persone cioè che sanno leggere e scrivere e votano per qualcuno ma senza avere capito perché lo fanno. Le statistiche li danno al 25% in Europa: la globalizzazione dell’ignoranza.
E per tutti noi, distratti o stupidi, e inondati da propaganda e disinformazione, risulta comunque difficile distinguere il falso dal vero, la pubblicità dall’informazione, i fatti dalle opinioni. Allora, mi chiedo io questa volta, e lo farei presente al Consiglio: come è possibile in queste condizioni farsi un’idea del mondo e partecipare compiutamente al processo democratico?

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