Gli italiani incerti, quei 15 milioni che non vedono il futuro

Il saggio di Renato Mannheimer e Giorgio Pacifici (Italie, Sociologia del plurale, Jaca Book editore, 12 euro) è una fotografia in movimento dell’Italia di oggi. Bisogna ringraziare gli autori per il coraggio del rischio dimostrato: scattare un’istantanea in questa fase magmatica in cui il patto sociale è messo in discussione e si sta cercando di cominciare a definire, nel balbettìo di un’incertezza crescente, il profilo di una ancora molto sfocata Terza Repubblica, non è certo esercizio facile. La trattazione ci riesce molto bene, mettendo a nudo, con puntale oggettività, le tante ferite aperte, determinate da malesseri strutturali che affliggono il nostro Paese, e che sono destinate a farsi sentire ancora a lungo, condizionando il futuro di tutti.

Scontiamo, infatti, decenni di riforme non attuate o attuate parzialmente ed oggi che i tradizionali soggetti politici sono implosi si addensano molte incognite: quanto è destinata a durare l’ondata populista anti establishment? E assumerà i connotati di un partito di Governo o sarà solo un gioco di potere? La sinistra progressista sarà in grado di definire un’offerta politica alternativa a quella proposta dall’attuale maggioranza, recuperando un profilo ideale e identitario adeguato? Si sta realmente profilando la nascita di una destra di massa in Italia (cosa che non avveniva dalla fine dei grandi conflitti mondiali), e quali saranno le conseguenze? Sono tutti interrogativi che attraversano questo agile pamphlet che “non ha certo la pretesa di dare risposte, semmai – ci tiene a precisare Pacifici – di formulare correttamente alcune domande”.

A partire dai numeri, che parlano sempre molto chiaro: in Italia sono circa 15 milioni gli incerti, quelli che non hanno orizzonte lavorativo stabile e che di conseguenza non riescono a progettare il loro futuro, mentre circa quattro milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta, sette milioni si possono collocare nell’area del malessere e sono circa 50mila i senza fissa dimora. L’impoverimento della classe media, trend già rilevato dagli studi più recenti trova ulteriore conferma in questa ricerca. “L’Italia è fatta come un “otre” – commenta Mannheimer – la popolazione tende ad addensarsi nella fascia mediana, fenomeno accentuato dalla spinta di quel 23% che possiamo considerare come la parte cospicua della popolazione, che vive male e che anela a conquistare la “pancia” della società”, peccato che l’ascensore sociale verso risulti bloccato da un pezzo”.

L’immagine emblematica esprime tutte le difficoltà che viviamo in questa tormentata fase storica. L’introduzione del concetto di operatore globale, cui gli autori fanno ricorso, orienta l’analisi sulle tracce di un “inedito” soggetto sociale dal profilo trasversale, la cui progressiva affermazione presuppone la messa in crisi del concetto di classe, mentre le identità diventano porose, fluttuanti. Si fanno, così, strada nuovi profili. Il libro tratteggia l’interessante identikit dei nomadi virtuali, originale categoria di creativi che sta prendendo consistenza, ma che vive purtroppo in larga parte l’orizzonte immodificabile della precarietà.

L’uso delle tecnologie può essere una cartina al tornasole, del posizionamento economico dei nuovi soggetti sociali. Fortunata la definizione di @ristocracy, che delimita il campo di una ristretta élìte che vive il sogno tecnologico, potendosi permettere di usare la connettività e gli strumenti IT senza alcun condizionamento, alla costante ricerca di mete reali e ideali dove poter realizzare aspirazioni e progetti. Non è certo così per tutti: “Siamo esposti – è la denuncia di più netta espressa da Pacifici – a una progressiva proletarizzazione del vecchio ceto borghese, realtà drammatica con cui dovremo fare i conti, che dimostra come non solo l’Italia, ma l’Europa abbiano urgente bisogno di arginare la diseguaglianza”, per cui ci si dovrà impegnare a ripensare il welfare, a ridisegnare un tessuto valido di garanzie, fino a promuovere una globalizzazione dei diritti che possa almeno parzialmente bilanciare, la globalizzazione selvaggia della finanza e dei mercati.

Ultimo aspetto cruciale: il declino della classe dirigente, originato dall’incapacità di promuovere politiche di valorizzazione del merito. Una prassi sconsiderata che ha trascinato il pese verso il basso facendo perdere punti di riferimento. Che profilo avranno le élite del futuro? Difficile dirlo, di certo occorrerà una ricostruzione profonda del patto sociale. L’Italia del dopoguerra ha avuto la forza morale necessaria per ripartire dalle macerie, le “Italie” di oggi, (con un Nord e un Sud, ahimè sempre più lontani) ne saranno, il plurale non è certo casuale, ancora capaci?

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