A volte compito dei libri è di sottrarre gli eventi storici alla propaganda politica per ricondurli nella loro giusta proporzione, al di là della retorica e delle semplificazioni. Proprio come nella biografia appena uscita “Mussolini e Nenni. Amici nemici” di Alberto Mazzuca e Luciano Foglietta edito da Minerva Edizioni. Un saggio che, oltre a ricordarci le origini rivoluzionarie del fascismo, racconta l’inaspettato legame tra il Duce e lo storico leader del PSI che presero strade diverse – opposte – senza mai recidere il legame profondo che accomunava le loro giovanili militanze rivoluzionarie.
Erano diventati amici nel 1911: dopo aver partecipato a una manifestazione contro la guerra in Libia, avevano condiviso la stessa cella nel carcere di Forlì. Due ragazzi appartenenti al proletariato: Benito, romagnolo di Predappio, ha 28 anni, socialista massimalista, è figlio di un fabbro; Pietro, romagnolo di Faenza, 20 anni, repubblicano, è cresciuto in un orfanotrofio. Due ribelli, pronti a correre qualsiasi rischio pur di favorire il riscatto delle classi sociali più disagiate. Ai giudici Mussolini dirà: “Se ci assolvete, ci fate piacere, se ci condannate ci fate onore!”. Nenni commenterà: “I giudici preferirono farci onore”.
Appena uscirono di prigione, i due giovani legarono a tal punto che sono diversi gli episodi di vita familiare condivisa e di amicizia. Ma, dopo la prima guerra mondiale, tra i due romagnoli l’intesa politica si spense: Mussolini diventò duce; Nenni da socialista, scelse la strada dell’esilio in Francia. La storia racconta del Duce che ottenne dai tedeschi nel ’42 l’estradizione in Italia di Nenni dalla Francia, così come dopo la guerra sarà Edda Mussolini a rivolgersi a “zio” Pietro per far abbreviare il confino della madre Rachele e dei fratelli minori. “Non credo che fosse solo la politica a unire quei due – dice Edda riferendosi al padre Benito e a Pietro Nenni- li legava anche la Romagna, la povertà, la testa dura. E la galera”. In effetti, in carcere c’erano finiti insieme il 15 ottobre del 1911, perché si erano scagliati entrambi contro l’avventura in Libia. “Con Mussolini – racconta Nenni – litigai spesso, anche in prigione. Era un prepotente. Giocando alle carte, in cella, voleva vincere sempre. Una sera, sotto gli occhi delle guardie, facemmo anche a botte e io le buscai. A rimetterci in pace provvedeva ogni volta Sorel, il nostro autore preferito”.
Ironia della sorte volle che toccò proprio a Nenni, allora direttore dell’Avanti!, occuparsi della cronaca della brutale uccisione del Duce, il 28 aprile del 1945. Non senza commozione, come racconta il giornalista che era con lui, Mino Caudana (dal libro Italia nuda, 1973): “Pietro Nenni apprese la notizia alle quattro e mezzo del mattino dallo speaker di Radio Lugano. Un minuto più tardi, con una perentoria telefonata in dialetto romagnolo m’invitava ad accompagnarlo in macchina, al giornale: “Facciamo la straordinaria”. Continua nel suo racconto di ricordi Caudana: “Il viaggio dal quartiere dei Parioli al centro di Roma durò una buona mezz’ora durante la quale Nenni parlò ininterrottamente di Benito Mussolini, sottovoce, senza mai indulgere al rancore. “Puvrein” mormorò più volte, parlava dell’amico scomparso a voce bassa, come se recitasse una preghiera alla sua memoria. S’intuiva, ascoltandolo, che egli rimpiangeva in segreto la stagione felice vissuta con lui tanti anni prima, quando Mussolini era ancora un giovane compagno attaccabrighe. Mentre la macchina, posta in euforia dalla discesa, rotolava giù per via Capolecase: “Benito, puvrein, non era mica cattivo” concluse. Poi, scostate le lenti, si portò il fazzoletto agli occhi, che forse gli bruciavano. Arrivato in tipografia cominciò a scrivere di getto, con un mozzicone di matita copiativa, l’articolo di fondo per l’edizione straordinaria. Ne ricordo il titolo: Giustizia è fatta”.
Nemici politici fino all’ultimo, ma uniti da quel grumo indimenticabile di giovinezza, in una sorta di scissione interiore, lacerante e umanissima, tra pubblico e privato: Mussolini e Nenni, due romagnoli, due rivoluzionari, due amici, due figli di una terra fortemente ancorata alla lealtà. Un legame che li ha uniti in gioventù e che ha resistito a qualsiasi strappo, anche quando uno diventa il capo del fascismo, il Duce, il dittatore, e l’altro è perseguitato dal regime fascista ed è costretto all’esilio. Eppure alla fine emerge che non si sono mai odiati, in un costante confronto di sogni, idee, speranze, con alla base un sentimento di sincera amicizia mai sopito.
L’aspetto umano nel libro sembra trascendere gli eventi storici. Così lo spiega l’autore, Alberto Mazzuca: “Abbiamo voluto scrivere la storia prettamente umana di due uomini, due personaggi storici, che si conoscono da piccoli, crescono, si dividono, eppure restano sempre intimamente legati l’uno all’altro perché, in fondo, vogliono entrambi cambiare il mondo”.
Ascolta l’intervista all’Autore, Alberto Mazzuca
Scopo del saggio è anche quello di sottrarre le vicende storiche alla lente della mera interpretazione politica: “Il nostro maestro è stato Enzo Biagi – prosegue Mazzuca – che ci ha insegnato a raccontare i fatti attraverso le persone: è questo che abbiamo voluto fare”.
Sullo sfondo del romanzo vi è una terra passionale, la Romagna. Come romagnolo è l’autore e romagnolo era il suo coautore, Luciano Foglietta, che Mazzuca ricorda commosso: “Luciano è scomparso poco tempo fa, novantenne. Ha combattuto la seconda guerra mondiale e ha conosciuto l’orrore dei campi di concentramento. Ha vissuto sulla sua pelle le vicende di cui insieme abbiamo scritto. Per me è stato non solo un collega a Il Resto del Carlino ma anche e soprattutto un grande amico”.
Alberto Mazzuca, romagnolo, giornalista e scrittore, vive a Milano. I suoi libri: “I potenti del denaro”; “Confindustria, una poltrona che scotta”; “La erre verde: ascesa e caduta dell’impero Rizzoli”; “La Fiat da Giovanni a Luca, un secolo di storia sotto la dinastia Agnelli”; “Il mito Alfa”; “I numeri uno del made in Italy”; “Torino oltre: venti storie di innovazione della nuova Torino e del nuovo Piemonte”; “Angeli tra noi, alla ricerca di chi si dona a Dio e agli altri”; “Guazzaloca, una vita in salita”. Per Minerva Edizioni nel 2013, Gardini il Corsaro, storia della Dynasty Ferruzzi (prefazione di Marco Vitale);
Luciano Foglietta, romagnolo di Santa Sofia (FC), giornalista professionista ha scritto numerosi libri.
Per Minerva Edizioni ha pubblicato “Sangue romagnolo. I compagni del Duce. Arpinati, Bombacci, Nanni” (2011, vincitore del “Premio Acqui Storia 2012”), scritto con Giancarlo Mazzuca.
Minerva Edizioni
collana ritratti
Pagine: 528
Prezzo: € 16,90
ISBN: 978-88-7381-589-1