Un brutto accordo è sempre migliore di un accordo mancato. Vista la situazione a cui è giunta l’Unione, sarebbe opportuno fare uno sforzo per leggere positivamente l’intesa raggiunta al vertice del 2 luglio, che non è poi diversa nel metodo e nel risultato rispetto a quanto fatto in passato. Perciò appare fuorviante gridare allo scandalo. Anzi è positivo che, dopo lunghi rinvii, che prefiguravano un nuovo blocco dell’Unione, il Consiglio abbia trovato una quadra per avviare l’iter della nuova “legislatura”. Novità positiva: per la prima volta due donne arrivano ai vertice dell’UE, ma non sarà certamente questo che cambierà la sua sorte.
Diversi, invece, gli aspetti certamente poco positivi da rilevare, anche perché questa volta ci si aspetta un cambio di passo, vista la crisi strutturale dell’Unione, un rovesciamento di metodo e di contenuti.
Il primo aspetto poco favorevole, anche se simbolico, ma privo di base giuridica e politica, riguarda la mancata indicazione del candidato del partito di maggioranza alla presidenza della Commissione, com’era stato indicato prima delle elezioni.
Una seconda vera carenza riguarda la mancanza della presentazione di un programma da parte della maggioranza formata tra i Governi che precedesse o accompagnasse la scelta dei candidati alle massime cariche dell’Unione. Un programma da “trasmettere” alle valutazioni del Parlamento che, invece, è stato relegato, come d’abitudine, al ruolo di “esecutore”. Questa circostanza avrebbe dato un segnale di cambiamento nella scelta delle persone e dei contenuti su cui la maggioranza si fonda, o meglio si sarebbe dovuta fondare. Si aspettava, in sostanza, che il Consiglio fornisse indicazioni sulle politiche che l’Unione vorrebbe adottare e realizzare nel prossimo quinquennio, in particolare in campo economico, sociale, del lavoro, delle immigrazioni e, cosa ancora più importante, una tabella di marcia con l’indicazione dei principali cambiamenti di cui l’Unione ha bisogno, viste le lacune emerse in questi anni durante le diverse crisi che si sono succedute.
Un terzo aspetto da considerare riguarda il passo indietro compiuto con la riedizione del duopolio tra Germania e Francia che, di fatto, ha imposto le sue scelte a tutti. In questa occasione la Cancelliera Merkel è stata abilissima: prima ha sostenuto in modo assai timido la candidatura a presidente della Commissione europea del cristiano-sociale tedesco Manfred Weber, proposta respinta da Macron; quindi, pensando di salvare la sua alleanza con i socialdemocratici in Germania, ha sostenuto la candidatura del socialista l’olandese Frans Timmermans, già primo Vice Presidente della Commissione e braccio destro di Junker, essendo consapevole che sarebbero stati altri paesi a bocciarlo; infine, ha approvato la proposta francese a favore della tedesca Ursula von der Leyen, Ministro della Difesa del suo Governo, portando così alla presidenza della Commissione una sua fedelissima.
Dal canto suo, il Presidente Macron, una volta raggiunto l’obiettivo di recuperare un rapporto diretto con i tedeschi – il vero tallone di Achille della Francia, vittima di un complesso di inferiorità – sembra appagato: ha visto approvate le sue proposte di una candidata tedesca, appunto, la von der Leyen alla presidenza della Commissione e di una francese, Christin Lagarde attuale Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale alla presidenza della Banca Centrale Europea.
Ma dove sono finite le sue proposte di cambiamento dell’Eurozona e dell’Unione?
Ci si potrebbe ancora attardare, come fanno molti commentatori, a ricercare vinti e vincitori nei fatti di cronaca politica, nella descrizione dei riti comunitari o del carattere dei candidati. In verità, sinora, si sta assistendo alla solita gara ed è difficile o inutile dedurre chi ha vinto. Non ci sono dei vincitori tra i “protagonisti” di questi giorni, né a livello politico né tra i governi. Non c’è molto da cantare vittoria, da parte di nessuno. Di sicuro un perdente c’è ed è l’Europa, anche se non è una novità. Naturalmente siamo solo agli inizi. Si spera ancora in un “ravvedimento”. Bisognerà vedere quale sarà la Commissione, come sarà accolta dal Parlamento, così come la Presidente designata. Molto, insomma, dipenderà dal Parlamento e dal coraggio che avranno i singoli parlamentari, non tanto verso la Presidente o i Commissari, quanto piuttosto verso i Governi, gelosi della loro autonomia. L’alternativa, per il Parlamento, è chiara: finire col rassegnarsi a vivere nella “bolla” e nell’aria ovattata, autoreferenziale di Bruxelles.
Bisognerà vedere se i parlamentari europei saranno capaci di incalzare il Consiglio e/o di farsi promotori di un confronto serrato per indicare le priorità politiche del prossimo quinquennio e avviare una iniziativa politica, diciamo, “costituente” – con chi ci sta — per completare l’Eurozona e trasformare l’Unione. Una iniziativa in grado di affrontare il problema delle carenze democratiche nel processo decisionale dell’Unione, anacronistico ed insopportabile, che, se non cambiato, finirà con l’affossarla. Presto il sarà messo alla prova: la svolta “politica”, relativa alle scelte di fondo e di metodo, dovrebbe essere promossa già nei prossimi giorni.
Carmelo Cedrone è il coordinatore del Laboratorio Europa dell’Eurispes