Immigrazione, dall’epoca dell’emigrazione al decreto Salvini. La ricostruzione

Intervento del Generale Tullio Del Sette, Presidente Osservatorio sulla Sicurezza dell’Eurispes al convegno “Dialogo permanente sulle immigrazioni”, organizzato da Eurispes, Università Mercatorum, Fondazione Anna Lindh, di Rete italiana Dialogo Euromediterraneo e di Russkiy Mir Foundation.

Quello dell’immigrazione, con le sue tante implicazioni, è uno dei temi al centro del dibattito, degli interessi, delle preoccupazioni, dell’agone politico; lo è in Italia, in Europa e in altri continenti.
Lo è sicuramente per l’Italia, Paese che fino a poco meno di un trentennio fa è stato uno dei territori di emigrazione più prolifici e che tuttora, come forse pochi altri Stati, si pone il problema della “fuga dei cervelli”, dell’emigrazione di migliaia di giovani, di qualità e volontà, che cercano altrove ‒ non solo nei paesi del mondo occidentale ‒ le opportunità di lavoro qualificato e giustamente remunerato.
Un’emigrazione italiana diversa da quella, permanente e temporanea, imposta dalla povertà e dalla fame che ha segnato decenni e decenni di vita dell’Italia unita, documentata a partire dal 1876, dal primo organizzato censimento della popolazione del nuovo Stato.
Un’emigrazione, una migrazione, un’emorragia che ha portato fuori dall’Italia oltre 14 milioni di persone, soprattutto verso le Americhe e verso altri Stati d’Europa.
Oggi, la popolazione di ceppo italiano che vive all’estero è stimata almeno pari a quella che vive sul territorio nazionale.
Un fenomeno imponente che ha segnato la nostra storia, approfonditamente studiato dall’Eurispes anche in un importante saggio contenuto nel Rapporto Italia del 2017 “Un Paese senza memoria”.
Un Paese, l’Italia che, negli anni Sessanta e Settanta soprattutto, ha contemporaneamente vissuto un’imponente migrazione interna, dal Sud al Nord, nelle tre regioni dell’allora chiamato “Triangolo d’Oro” (Piemonte, Lombardia e Liguria). A Torino, dove sono stato Comandante Provinciale dei Carabinieri dal 1997 al 2000, la popolazione, in trent’anni, dal 1945 al 1975, è più che raddoppiata arrivando a un milione e 200mila abitanti, oggi diminuiti di 200mila non per effetto di un massiccio ritorno nelle regioni di provenienza, che in parte pure c’è stato, ma per il trasferimento di molti dai quartieri degradati del centro del capoluogo ai comuni limitrofi, cresciuti a dismisura.
Quartieri del centro degradati nei quali gli immigrati interni sono stati sostituiti dai nuovi migranti venuti dal Sud del Mondo. Una storia cittadina – in verità emblematica sotto questo profilo – specchio della storia d’Italia.
È, infatti, dal 1991 che si è affacciata questa nuova realtà, con la grande fuga dall’Albania, in seguito alla morte di Enver Hoxa, verso le coste pugliesi dell’Italia, che da Paese di emigrazione, è diventato anche, e poi soprattutto, Paese di immigrazione, seppure c’erano state avvisaglie di arrivi, e però in numeri assai più contenuti, dall’Africa del Nord e dalla Cina.
È un fenomeno che comincia a imporsi all’attenzione crescente delle Forze di Polizia dapprima e poi dei media, dell’opinione pubblica e, quindi, delle forze politiche.
Un fenomeno che inizia a destare non solo attenzione ma anche preoccupazione man mano che il numero cresce, che la presenza degli stranieri si diffonde, dapprima nelle città, dal Nord, al Centro, al Sud, e poi nelle province fino ai più piccoli comuni, dappertutto, man mano che questa presenza si manifesta, difficilmente controllabile, spesso irregolare, apportatrice di ulteriore illegalità e degrado, non di rado refrattaria ad ogni minima integrazione.
Con la crescita del numero dei reati censiti, quasi per un quindicennio di larga massima, cresce il numero degli stranieri inquisiti, provenienti soprattutto da alcuni Paesi dell’Europa dell’Est (Albania e Romania per primi) e nordafricani, seguiti da centrafricani, che si rendono responsabili, anche sistematicamente, di reati predatori anche gravi, smercio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, violenze e resistenze a pubblici ufficiali. E la percentuale degli stranieri responsabili di reati diventa consistente e non decresce anche negli ultimi anni, quando i reati complessivi hanno un netto calo.
Si interviene, già dall’inizio degli anni Duemila, con la legge n.189 del 2002, la cosiddetta “Bossi-Fini”, per disciplinare il fenomeno dell’immigrazione: si impongono divieti, si prevedono procedure espulsive e reati, flussi migratori regolati annuali; flussi di regolarizzazione programmata che vengono meno dal 2009, con il sopraggiungere della crisi finanziaria ed economica e di nuove condizioni politiche che rendono più problematica la gestione della materia.
Si manifesta, nel frattempo, il trasferimento via mare dal Nord Africa alle nostre coste isolane e meridionali di masse di migranti in fuga da fame, povertà, conflitti e persecuzioni, attratti dalle migliori condizioni di sicurezza e di vita. Cresce, in misura che appare drammatica, emergenziale e inarrestabile, a partire dalla crisi libica del 2011, determinata dall’intervento militare francese al regime di Gheddafi, voluto dal Presidente Sarkozy, sostenuto dagli USA e, poi, anche da una riluttante Italia.
Una situazione che allarma sempre più, via via che i numeri crescono; le possibilità e le disponibilità all’accoglienza sul territorio diminuiscono, i costi per l‘Erario aumentano, crescono i rischi per la sicurezza anche per il contemporaneo proporsi del terrorismo jihadista con gli attentati, vili e sanguinosi, in alcuni Paesi europei, con il susseguirsi di inchieste sulla gestione affaristica e criminale di attività e fondi per l’accoglienza, il ripetersi di tragedie sul mare.
È un problema che non riguarda solo l’Italia, che è anzi preservata da questi dolorosi attentati sul suo territorio (certo anche in ragione della capacità di prevenzione messa in atto, sinergicamente dalle Forze di Polizia e dall’Intelligence anche sull’esperienza fatta con il contrasto dell’eversione interna degli anni Settanta e Ottanta), ma che in Italia è particolarmente sentito per l’ampiezza e la contiguità delle sue coste con il continente africano.
L’Europa, alla quale si richiede il doveroso intervento, a lungo tergiversa e poi fa meno di quanto gli italiani a ragione si attendono, restia a coinvolgere altri Paesi, riluttanti perché interessati da analoghi problemi, magari afflussi da diverse direttrici anche più consistenti (si consideri la Germania) ovvero semplicemente per ragioni di politica interna.
Il numero degli irregolari sul territorio diventa, nelle stime, via via più elevato, fino a raggiungere e superare il mezzo milione di persone: sono loro che preoccupano e questa preoccupazione pone in ombra, quando non desta diffidenza, la constatazione degli assai più numerosi stranieri regolari che svolgono, con dignità e sacrificio, lavori meno attrattivi per gli italiani.
È così che, superando anche problemi e contrarietà politiche interne alla maggioranza, il Governo Gentiloni, con il Ministro dell’Interno Minniti, attraverso interventi normativi, direttive, fondi e nuove disponibilità europee, accordi di cooperazione con Paesi del Nord e del Centrafrica, riesce a frenare finalmente il flusso dei “barconi della morte”: dal luglio 2017 il calo è sensibilissimo e costante.
Il risultato delle elezioni politiche del marzo 2018 attesta, tuttavia, che l’allarme percepito è ancora molto alto, che si richiede di più; nasce una nuova maggioranza, si costituisce un nuovo Governo assai determinato nell’affrontare il problema dell’insicurezza e dell’allarme che l’immigrazione irregolare suscita perché riconosciuta come moltiplicatrice di illegalità diffusa e di degrado urbano, sociale e culturale. Così come lo è del lavoro nero e dello sfruttamento dei lavoratori, della criminalità organizzata endogena e nei Paesi da cui i migranti provengono o che essi sono costretti ad attraversare, transazionale e finanche terroristica, di traffici opachi che paiono interessare a volte anche la gestione dei soccorsi in mare da parte di alcune organizzazioni private.
Di qui nuove, più stringenti, direttive; di qui il diniego di approdo a navi con a bordo migranti raccolti in mare imposto dal Ministro dell’Interno Salvini con la condivisione della maggioranza politica e della opinione pubblica prevalente; di qui il nuovo decreto-legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 settembre 2018.
Un decreto-legge molto discusso, da posizioni spesso contrapposte, sul piano morale, culturale e giuridico, politico e mediatico. Entrando in vigore e venendo poi convertito nei termini in cui è stato annunciato e presentato, porterà sicuramente una significativa stretta, con i suoi interventi restrittivi sulla protezione umanitaria, internazionale e sussidiaria e sul sistema Sprar di accoglienza diffusa, con gli interventi estensivi del periodo di possibile trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, della possibilità di trattenimento anche negli hot spot e degli stanziamenti aggiuntivi per i rimpatri degli espulsi.
Già dai primi mesi di applicazione, via via si avrà un’idea più fondata della reale incidenza di queste misure sul fenomeno, della loro idoneità a ridurre i problemi che comporta e l’allarme che suscita, della loro condivisione giuridica e compatibilità sociale.
Si tratta, comunque, di misure interne, finalizzate negli intendimenti soprattutto a impedire la crescita ulteriore dell’esercito degli irregolari, a incanalare l’immigrazione verso canoni di legalità e di sostenibilità, oltre che di utilità interna e globale, economica e sociale. Quindi, anzitutto, frenare la crescita del numero degli irregolari.
La sola previsione di maggiori stanziamenti per il rimpatrio di irregolari non sarà certo sufficiente a ridurre significativamente, e men che meno ad azzerare come si vorrebbe, quella massa assai poco controllabile di oltre 500mila di irregolari che si stima ci siano già, se non accompagnata da altre concrete misure.
La stipula di nuovi e più ampi accordi di cooperazione con gli Stati del Nord e del Centro Africa dai quali i migranti provengono, interventi di sostegno a questi Paesi e alle loro popolazioni, una decisa azione internazionale per la stabilizzazione della Libia (senza dimenticare la Siria), la collaborazione continua e incisiva tra le Forze di Polizia e le Magistrature dell’Europa dell’Est e dell’altra sponda dell’Adriatico, oltre che del Mediterraneo, con la condivisione dei rispettivi Governi. Serviranno anche, molto probabilmente, iniziative capaci di favorire l’integrazione culturale, sociale e lavorativa dei regolari e di coloro che irregolari sono diventati loro malgrado, che dimostreranno la volontà di integrarsi, che non potranno essere rimpatriati. Serve proseguire la repressione, sistematica, dei reati di sfruttamento del lavoro con la rapida condanna dei colpevoli e servono iniziative di riqualificazione urbana nei quartieri e nei centri degradati.
L’immigrazione ‒ ne siamo tutti consapevoli ‒ non può essere fermata; anzi è utile, quando non necessaria, a tanti Paesi e all’Italia, destinata, secondo le previsioni, a conoscere nei prossimi decenni un grosso calo della popolazione endogena. È imposta dal dovere dell’accoglienza e del soccorso umanitario, specie in un Paese di storica emigrazione come il nostro, che ha conosciuto, per tanti suoi abitanti, anche le stimmate del rifiuto ingeneroso e irriconoscente.
Però ci si aspetta che sia meglio regolata, per ragioni di sicurezza, economiche, geopolitiche, di preservazione e di crescita dell’identità culturale fondata sul rispetto dei diritti umani, sulla democrazia, sulla libertà, sugli altri princìpi costituzionali e valori condivisi, acquisiti in una secolare storia di civiltà. E ancora, per ragioni di carattere umanitario, che da Comandante Generale dei Carabinieri, ho ritenuto di dover coltivare anche con la promozione di Conferenze annuali sul Diritto Umanitario Internazionale. Queste Conferenze hanno visto la partecipazione di eminenti studiosi ed operatori provenienti da ogni parte del mondo e dalle organizzazioni e giurisdizioni sovranazionali, le cui elaborazioni essenziali sono state anche recepite nel manuale di Etica del Carabiniere stampato dal Comando Generale nel 2017 per la formazione di ogni appartenente all’Istituzione, forse, per diversi aspetti, interessante e utile per ogni cittadino.

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