Immigrazione, Morcone: «Fake news e manipolazione usati a vantaggio del risultato elettorale»

Intervento del Prefetto Mario Morcone, Direttore Cir, al convegno di Napoli “Immigrazione. È ora di voltare pagina” del 16 novembre 2019

Grazie a Franco Roberti per aver costruito quest’occasione di confronto così autorevole e averci offerto l’opportunità di stare assieme questa mattina su temi strategici che riguardano non solo il nostro presente ma soprattutto il nostro futuro.
Consentitemi di dare subito un flash sul recinto nel quale intendo muovermi e sul presupposto di fondo che ispira la mia riflessione riprendendo in maniera estremamente sintetica un breve passaggio di una relazione di Umberto Eco. Era il 2013, governo Monti, e in un convegno a Perugia sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione Umberto Eco ebbe a dire:
«Il problema è che in un periodo abbastanza breve non computabile in secoli come era avvenuto per i popoli germanici verso il Mediterraneo, l’Europa sarà un continente multirazziale o se preferite, colorito. Se vi piace sarà così e se non vi piace, sarà così lo stesso».
È questo il punto a, mio avviso, da cui partire chiarendo che gli sbarchi o gli arrivi via terra attraverso i Balcani nel nostro Paese, non possono essere fermati, diversamente da come alcuni cercano di far immaginare ai nostri cittadini; piuttosto, dovrebbero essere gestiti in maniera sostenibile dal nostro Paese e dal contesto europeo. Uno dei primi punti di caduta che possiamo lamentare verso l’Europa è che, pur avendo fatto importanti passi in avanti, si è limitata a regolare il tema dell’asilo e della protezione internazionale senza invece avere la forza politica di occuparsi, in senso più ampio, delle poliriche in tema di migrazione.
Dunque, la debolezza della normativa internazionale e l’assenza di Istituzioni che ne assicurino il rispetto schiacciano, troppo spesso, i migranti nella morsa contrapposta degli interessi dei paesi di origine e di quelli di destinazione. Il cosiddetto “approccio globale” tanto declamato negli anni passati nelle politiche migratorie dell’Unione europea è solo un piccolo passo con scarsi risultati e non tocca in nessun modo un’altra fondamentale questione: quella delle politiche di ammissione legali sia di coloro in bisogno di protezione sia di coloro che cercano migliori prospettive economiche.
Anche nel nostro Paese, troppo spesso la necessità del consenso elettorale ha condizionato scelte non sempre funzionali all’interesse italiano; né sono state finalizzate al negoziato onesto da portare avanti con fermezza per una politica concreta e di lungo termine sul tema dell’accoglienza e dell’inclusione sociale.
E allora, sul tema degli sbarchi, molti di noi hanno salutato con sollievo l’archiviazione dell’inutile, quanto farsesca e tragica, operazione dei porti chiusi, apprezzando invece lo sforzo di costruire con chi ci sta ‒ ed in particolare Francia, Germania e Malta ‒ un’intesa sulla redistribuzione. Questa è certamente la strada su cui aggregare le posizione di altri, penalizzando in maniera concreta coloro che non sono disponibili a portare avanti una solidarietà tra tutti e 27.
Sarà un percorso lungo, complesso; il negoziato rimane però l’unica strada credibile per gestire il nostro rapporto con altri continenti dove diseguaglianze, disastri ambientali, condizioni ai limiti della sopravvivenza spingono le persone a cercare una speranza di futuro, mettendo a rischio la propria vita e spesso perdendola.
Su questo tema ho detto anche in altre occasioni che condivido pienamente la conferma del memorandum con la Libia, pur chiedendo profondi cambiamenti soprattutto a garanzia dei diritti delle persone che transitano in quel paese e trasparenza nei comportamenti delle Istituzioni dell’unico governo riconosciuto internazionalmente che è quello di Tripoli.
Ciò tuttavia rende indispensabile ‒ per non limitarsi a salvarsi l’anima con condanne puramente ideologiche che non ci portano da nessuna parte ‒ assumere decisioni concrete e strutturate oltre che un’azione politica costante ed intensa verso i paesi del Nord dell’Africa.
Svuotare le strutture di detenzione con canali umanitari certificati dall’Alto Commissariato per i Rifugiati non è una sfida particolarmente complessa se, come ci dice l’Alto Commissariato Onu, in questa condizione si contano circa 6mila persone. Ma ci sono anche persone prive di qualsiasi servizio e sostanzialmente allo sbando che magari non avevano nessuna intenzione di venire in Europa e la cui vita è stata segnata dalla guerra civile ormai in atto in quel paese.
La stabilità del Paese libico e la presenza di Istituzioni e standard di vita civili ed accettabili sono una priorità a cui l’Italia e l’Europa stessa non possono sottrarsi.
Non possiamo permetterci che paesi esterni all’Unione giochino la loro partita di influenza geopolitica in territori così vicini a noi e così strategici per la nostra sicurezza.
Quindi, canali umanitari che abbiamo già avviato nel 2017 ma che vanno strutturati stabilmente come misure alternative e complementari, finanziamento di progetti di comunità locali che, a suo tempo, erano stati presentati e che non so che fine abbiano fatto, e soprattutto un’intensa, costante tessitura di rapporti politici con tutti i paesi del Nord dell’Africa.
Un’attività politica che aveva preso avvio su iniziativa italiana con il formare il gruppo del Mediterraneo centrale, che, tuttavia, mi sembra liquefatto negli ultimi due anni.
Credo sia necessaria una riflessione seria anche sulle contropartite che da tempo alcuni paesi europei ci chiedono e che sono costituite dalla cosiddetta lista dei paesi sicuri e dalle procedure accelerate. Premesso che non è un obbligo previsto da una norma europea, non è un caso che non vi avevamo mai aderito.
Indipendentemente dalla mia personale opinione sulla rispondenza di questa scelta ai nostri valori, peraltro chiaramente indicati nell’art.10 della Costituzione, vorrei si riflettesse sul rischio che questo comporta; mi domando: chi rimanderebbe nel paese di origine le persone che sbarcano a Lampedusa, a Pozzallo, ad Augusta? Con quale meccanismo? E in quali tempi? Mi domando anche come si possa impedire a queste persone di rivolgersi legittimamente (art.24, 1 comma, Cost) ad un giudice in presenza di una affrettata decisione della Commissione Territoriale? Alla fine, dove potremo ospitare le persone che non hanno diritto secondo la cosiddetta procedura accelerata, tenuto conto che, credo, non possa essere loro consentito di allontanarsi? Diversamente avremo perso solo tempo.
Il tema che mi era stato affidato, però, era quello del ruolo delle prefetture. La prima considerazione, che mi viene in mente, avviandomi a trattarlo, è la distorsione comunicativa che ha trasformato un’azione onerosa e difficile del nostro Paese negli anni 2014, 2015, 2016, in una colpa invece che in un motivo di orgoglio.
Certamente, come è noto e certificato anche da inchieste giudiziarie, ci sono stati comportamenti fortemente censurabili, anche sul piano penale, ma alcune vicende di cronaca nulla tolgono al merito dell’Italia non solo di aver risposto in maniera civile ad una forte pressione migratoria, ma soprattutto di aver avviato una infrastruttura dell’accoglienza che era sempre mancata.
L’equa distribuzione nelle singole regioni italiane, l’accordo Interno-Anci sull’accoglienza diffusa e numeri proporzionati per singolo comune, il rilancio e la riqualificazione delle Commissioni Territoriali sono i pilastri sui quali si era, per la prima volta, costruita una politica dell’accoglienza e dell’integrazione non improvvisata attraverso il solito ricorso alla legislazione di protezione civile (legge 225) e alla nomina di un commissario.
Molti colleghi si stanno ancora “suturando le ferite” per la colpa di aver dovuto svolgere un ruolo di supplenza rispetto a tante istituzioni, anche locali, che hanno colto un momento di difficoltà del nostro Paese come un’occasione per rovesciare il tavolo…
A tutti loro vanno riconosciuti lealtà, senso dello Stato e correttezza istituzionale nell’aver dato sostanza al giuramento di fedeltà alla Repubblica pronunciato all’inizio della loro carriera.
Un doveroso ringraziamento anche all’Associazione Nazionale Comuni d’Italia e a quelle Regioni, non tutte in verità, che hanno onorato il rapporto di leale collaborazione in una fase complicata per la Repubblica.
Ma ‒ bando ad ogni polemica ‒ c’è solo da considerare che negli ultimi due anni c’è stato sostanzialmente un ritorno al passato.
Viene quasi da considerare che la persistenza di un conflitto, mascherato da percezione di insicurezza dei cittadini, sia funzionale al dibattito politico e al risultato elettorale atteso. Non voglio andare oltre.
Su tutto questo hanno avuto un ruolo strategico notizie false, un utilizzo fortemente strutturato dei social e una manipolazione, in buona o cattiva fede, della comunicazione.
Ora, però, che i dati certificano, a dispetto di qualsiasi alchimia, che siamo in presenza di arrivi in numeri assolutamente modesti e non paragonabili nemmeno a quelli del primo decennio degli anni Duemila, credo sia ragionevole porsi il problema di dare risposte adeguate e credibili alle esigenze del Paese, alla sua coesione sociale, alle sue necessità in tema di sviluppo economico e, complessivamente, alla sua sicurezza.
Prendo atto della prioritaria necessità di dare una risposta alle indicazioni date dal Capo dello Stato con la nota lettera di accompagnamento alla firma del “Decreto Sicurezza Bis”. E, tuttavia, questo non può bastare perché i danni più profondi nascono dalle scelte fatte dal cosidetto primo “Decreto Sicurezza”.
Due sono le questioni che dobbiamo tenere ben presenti; la prima attiene alla capacità dello Stato di garantire a coloro che chiedono rifugio nel nostro Paese un’esistenza dignitosa, laddove per dignità si intende l’effettività dei diritti costituzionalmente riconosciuti.
Diritti essenziali, dunque, che discendono dal loro stesso status, cui devono corrispondere, così come per ogni cittadino italiano, altrettanti doveri e responsabilità per garantire un’ordinata convivenza civile. E l’art. 2 della nostra Costituzione offre una lettura che non consente giochi di prestigio.
La seconda questione, altrettanto importante, riguarda la capacità delle Istituzioni di governare in maniera equilibrata il delicato rapporto dei territori con i migranti, operando un bilanciamento tra i diritti di chi è accolto con quelli di chi accoglie.
Ciò significa che accogliere chi proviene da una cultura ed una tradizione differenti non comporta solo di provvedere alle sue prime esigenze sul territorio, ma di sviluppare interventi diretti a facilitare l’inclusione nella società e l’adesione ai sui valori.
Non si tratta di essere buoni o cattivi, come viene talvolta infantilmente rinfacciato nel dibattito politico; l’auspicio è invece di un approccio ragionevole e non emotivo a tutta la politica dell’immigrazione per ritrovare il coraggio politico di affrontare il tema nella sue diverse dimensioni:
1)     Dimensione politico-culturale
·       La questione migratoria e la discussione delle politiche che la governano vanno sottratte ai preconcetti ideologici e affrontate nella piena consapevolezza dei vantaggi e dei costi che esse generano.
·       Vantaggi e svantaggi delle migrazioni vanno governati per aumentare i primi e attenuare i secondi e per far sì che il risultato rappresenti una somma positiva.
·       La migrazione deve sostenere la crescita della società mantenendone la coesione, rifiutando criteri discriminatori basati sull’etnia, genere, la religione e gli orientamenti sessuali.
·       La riflessione e l’azione politica devono ispirarsi a obiettivi di lungo periodo, sottraendosi a considerazioni meramente congiunturali.
·       Sviluppare attività di cooperazione con i paesi di origine e transito per una reale gestione dei flussi.
 
2)     Dimensione normativa
·       Abolizione del reato di immigrazione clandestina che ha dimostrato tutta la sua inefficacia nel governo degli arrivi limitandosi ad appesantire una inutile attività della polizia giudiziaria. Superamento della legge Turco-Napolitano (n.40/1998) confluita nel TU n.286/1998, così come emendato dalla legge Bossi-Fini (189/2002); vanno costruiti nuovi percorsi di ingresso ordinari, regolari e stabili.
·       Un rilancio ragionato dell’istituto dello sponsor che rappresenti un’opportunità di ingresso ordinario come strumento per ricerca di lavoro e di incontro tra offerta e condizione del mercato.
·       Una nuova flessibilità che copra il vuoto ingiustificato determinato dall’abolizione della protezione umanitaria consentendo “caso per caso” il recupero di quelle situazioni positive non inquadrabili nelle regole europee e di Ginevra.
·       Implementazione dei canali umanitari in stretta collaborazione con le Agenzie delle Nazioni Unite UNHCR e OIM per l’ingresso legale di persone in condizioni di ottenere la protezione internazionale.
·       Semplificazione dei percorsi per il ricongiungimento familiare, oggi, resi vischiosi da regole troppo macchinose.
·       Riforma della cittadinanza come elemento di partecipazione e di inclusione dei cittadini lungo-soggiornanti presso di noi riprendendo la normativa, già approvata in un ramo del Parlamento relativa allo ius soli temperato o allo ius culturae.
·       Nuovo protocollo di intesa e di regole condivise tra Stato e società civile impegnata nel salvataggio e nell’accoglienza dei migranti.
 
3)     Dimensione amministrativa
·       Il ripristino dei servizi nelle strutture di prima accoglienza e implementazione dei servizi SPRAR.
·       Iscrizione anagrafica per tutti i richiedenti asilo.
·       Allineamento dei codici previsti dal documento provvisorio per consentire la regolare iscrizione ad Istituti di previdenza sociale, sicurezza sul lavoro e sanitari.
·       Implementazione dell’acquisizione della lingua italiana per tutti i soggiornanti a qualsiasi titolo nel nostro Paese.
·       Istituzione del servizio civile obbligatorio per tutti i soggiornanti, nel nostro Paese, di età inferiore ai 28 anni.
·       Introduzione di lavori di pubblica utilità che sostengano e facilitino i percorsi di inclusione sociale.
La lungimiranza e la capacità di governo di Istituzioni seriamente preoccupate del bene del proprio paese dovrebbero, infine, valorizzare programmi che facciano dei minori non accompagnati una leva di sviluppo economico e sociale e non un peso da contenere.
I minori sono una ricchezza se sono messi nelle condizioni di fornire un adeguato contributo al Paese che li accoglie e che ha il dovere di permettere loro l’inserimento scolastico, percorsi di conoscenza e di formazione e opportunità di essere concretamente parte della nostra società civile: un sistema di accoglienza che ha fatto importanti passi in avanti attraverso la legge n.47 del 2017 che porta il nome del Sottosegretario Zampa, e in precedenza Vice Presidente del nostro Consiglio Scientifico e strategico.
Queste possono essere, a mio avviso, alcune delle linee guida per impostare nuovamente, nel nostro Paese, una seria politica per la gestione del fenomeno migratorio, coerente con la visione dei paesi più avanzati e che, attraverso la razionalità e la trasparenza delle scelte, possa sconfiggere quella visione riprovevole di una società basata sull’insopportabile refrain della paura.

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