In occasione della recente riunione dell’Osservatorio su Salute, Previdenza, Legalità, finalizzata alla preparazione del secondo Rapporto sulla Sanità italiana, ho espresso più volte la necessità che, dopo la pubblicazione del primo Rapporto – che ha raccolto unanimi valutazioni positive non solo per l’accuratezza della ricerca ma anche per essere la prima completa ricostruzione realizzata nel nostro Paese sul Sistema Sanitario italiano e sulla sua gestione dopo circa quarant’anni –, ci si impegni ora per evidenziare quegli aspetti che mettano in evidenza i processi di cambiamento intervenuti, nell’arco di qualche anno, nel settore.
Ho evidenziato in particolare, in quella occasione, un punto che, anche per la mia esperienza professionale di magistrato della Direzione Nazionale Antimafia (e oggi anche Antiterrorismo), mi sembra rivestire una particolare importanza per la salute del Sistema Sanitario italiano. Mi riferisco alle infiltrazioni e, in qualche caso, all’occupazione della criminalità organizzata di tipo mafioso nella gestione delle unità territoriali, negli ospedali, nel traffico di medicinali, nelle procedure di affidamento di forniture e servizi, nella selezione del personale dirigente e di quello sanitario. La proposta ha ricevuto l’adesione dei partecipanti, essendo comune la consapevolezza, da una parte, del pericolo di spregiudicate operazioni di riciclaggio dei proventi illeciti delle organizzazioni mafiose, dall’altra, di esercitare, attraverso le strutture sanitarie nuove, inedite forme di occupazione di spazio politico, di condizionamento, di corruzione e di vera e propria espropriazione, in un settore che assorbe una parte maggioritaria della spesa regionale.
Dopo appena qualche settimana, è giunta la conferma che quanto l’Osservatorio aveva individuato come obiettivo prioritario della ricerca, si rivelava del tutto ineludibile. Alle tante vicende giudiziarie e investigative, oltre alle inchieste di importanti Centri di ricerca e a quelle giornalistiche, si aggiungeva lo scioglimento dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, deliberato il 7 marzo dal Consiglio dei Ministri, per gravi e documentate infiltrazioni mafiose (ovviamente da parte della ‘Ndrangheta), accertate dalla Commissione d’accesso. Analogo provvedimento era stato adottato nel 2008, evidentemente senza esito positivo, segno che la ‘Ndrangheta reggina non intende “lasciare la preda”, nel contesto del progetto (in buona parte già realizzato) dell’occupazione economica e istituzionale della città. Il Ministro della Salute, Giulia Grillo, aggiunge l’esistenza di «un disastro economico mostruoso», che si pone come una delle più dirette conseguenze del clima di corruzione, di sprechi e di illegalità, che domina la sanità reggina. Non si dispone, purtroppo, della relazione della Commissione di accesso (di contenuto riservato), anche se penso che l’opinione pubblica avrebbe il dovere di essere resa edotta sullo sconcertante quadro che la Commissione ha registrato.
Tornerò sull’argomento, anche per il collegamento tra la vicenda reggina e quella milanese, nella quale la ‘Ndrangheta ha in atto un piano di acquisto massiccio di farmacie e strutture sanitarie: in questo senso, segnalo, come particolarmente significativo, l’acquisto della storica farmacia Caiazzo nel cuore di Milano, circostanza sulla quale è già intervenuta la DDA milanese. D’altra parte, sin quando il sistema consente alle mafie di acquisire enormi, incalcolabili, profitti dal traffico di droga, in particolare, di cocaina (settore nel quale la ‘Ndrangheta occupa un ruolo di assoluto primato in Europa), non c’è da sorprendersi se poi, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, esse si impadroniscono di blocchi di economia, di finanza, di commercio e persino di servizi pubblici.
Vincenzo Macrì è il Presidente dell’Osservatorio su Sanità, Previdenza, Legalità Eurispes ed Enpam