La grande maggioranza delle fibre tessili che galleggiano negli oceani sono naturali: lo ha evidenziato un’analisi condotta dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar), in collaborazione con un team di ricercatori sudafricani e australiani. Lo studio, pubblicato su Science Advances, ha analizzato 916 campioni di acqua di mare durante 5 spedizioni internazionali condotte in 617 località.
«Abbiamo raccolto 23.593 fibre in sei bacini oceanici differenti e ne abbiamo analizzate circa duemila tramite un microscopio ad infrarossi (µFTIR) per identificarne la composizione polimerica, scoprendo che il 79,5% era a base di cellulosa (principalmente cotone), il 12,3% era a base animale (principalmente lana) e solo l’8,2% era sintetico (principalmente poliestere)», racconta Giuseppe Suaria, ricercatore del Cnr-Ismar e coordinatore dello studio insieme al Prof. Peter Ryan dell’Università di Cape Town. Le concentrazioni variano considerevolmente da una regione all’altra: da 0,02 a 25,8 fibre per litro. I numeri più alti sono stati rilevati in Mediterraneo, ma alte concentrazioni sono state rinvenute anche in Antartide durante una spedizione internazionale di circumnavigazione dell’Antartide organizzata dall’Istituto polare svizzero.
Il ricercatore Cnr-Ismar osserva: «I risultati del nostro studio concordano con altre ricerche nel dimostrare la maggior presenza in ambiente marino di fibre a base di cellulosa e indicano invece che studi precedenti potrebbero aver sovrastimato l’abbondanza delle fibre sintetiche. Tuttavia, per quanto le fibre naturali come lana e cotone siano considerate biodegradabili, sappiamo ancora poco sui loro tempi di degradazione. Inoltre, mentre la produzione globale di fibre tessili, naturali incluse, è più che raddoppiata in tutto il mondo negli ultimi 20 anni, raggiungendo 107 milioni di tonnellate prodotte nel 2018, quelle sintetiche dominano il mercato del tessile solo a partire dalla metà degli anni ’90».
Le fibre naturali e sintetiche sono utilizzate principalmente nella produzione di abbigliamento ed entrano in ambiente quando gli indumenti si logorano o attraverso le acque di scarico delle lavatrici. «Le fibre tessili vengono spesso incluse nelle valutazioni dell’abbondanza di microplastiche in ambiente e sono state rinvenute praticamente ovunque: nelle profondità oceaniche, nello stomaco dei pesci, negli alimenti e nelle bevande e addirittura nei polmoni umani, gli studi hanno però raramente dimostrato che percentuali significative di queste fibre ritrovate nei campioni siano effettivamente sintetiche», conclude Suaria.
Nel Rapporto Italia 2020, l’Eurispes aveva dedicato una scheda alla capacità inquinante della produzione di abbigliamento. I capi sono, infatti, composti da vari tipi di materiali, spesso un insieme di più tessuti. Il cotone si trova nel 40% degli indumenti mentre le fibre sintetiche, come poliestere e nylon, ben nel 72% di essi. Sebbene le coltivazioni di cotone occupino solo il 2,4% della superficie agricola del mondo, in esse viene investito il 10% di tutti i prodotti chimici agricoli e il 25% di tutti i pesticidi. La coltivazione del cotone, inoltre, richiede l’uso di enormi quantità d’acqua.
Per quanto riguarda la produzione di nylon, questa è responsabile della formazione di ossido di azoto, un gas a effetto serra 300 volte più potente del biossido di carbonio. Sia il poliestere che il nylon inoltre, se lavati in lavatrice, si rompono e ciò porta all’immissione di innumerevoli micro frammenti di plastica nei nostri sistemi idrici. Successivamente, tali frammenti, detti “microplastiche”, entrano nella nostra catena alimentare.
Secondo il Rapporto Rifiuti Urbani dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) – che fornisce i dati sulla produzione, raccolta differenziata, gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di imballaggio ‒ nel 2018 sono state raccolte tra i rifiuti differenziati, complessivamente 146,2 kt di frazione tessile, confermando un trend in crescita nel corso degli anni (nel 2017 erano 133,4 kt, nel 2016 133,3, nel 2015 129 e nel 2014 124,2).
Con riferimento alle macroaree geografiche, si registra un aumento della raccolta nel Nord (dalle 68,2 kt del 2015 alle 75,3 kt del 2018), al Centro (dalle 28,7 kt del 2015 alle 29,6 kt del 2018). Al Sud si è passati dalle 32,2 kt del 2015 alle 41,3 del 2018.