Il sociologo bielorusso e saggista di fama internazionale Evgeny Morozov ha tenuto per il terzo anno consecutivo una lezione in video conferenza al Master in Intelligence dell’Università della Calabria.
Morozov ha spiegato come funziona il capitalismo digitale (che si basa sullo sfruttamento dei dati), approfondendo il ruolo dell’intelligenza artificiale (che ha conseguenze sulla geopolitica) ed evidenziando i nuovi squilibri tra gli Stati e il mercato. Il docente ha iniziato il suo intervento parlando del capitalismo digitale il quale «ha un futuro non chiaro. La Rete è un’infrastruttura importante per l’economia globale, di cui non si può fare a meno, anche se bisogna guardarla da una prospettiva diversa, ovvero quella della nuova Guerra Fredda, commerciale e digitale, tra USA e Cina».
Morozov ha affermato che «siamo di fronte all’irrazionalità digitale, dove il mondo digitale è presentato come un mondo virtuale, ma in realtà non è così. Per esempio, il valore di Apple ha superato il valore totale delle 30 più grandi aziende della Germania, dimostrando come l’innovazione digitale potrebbe aiutare le aziende tedesche a crescere sul mercato. Nel 2019, il valore della marca di auto elettriche Tesla, ha superato il valore della Volkswagen che vende più auto ed investe di più in ricerca e sviluppo». Il docente ha anche ricordato che non è facile definire il valore delle aziende digitali. Per esempio, Uber, nel 2018, ha perso 8 milioni di dollari: un’altra azienda avrebbe fallito, ma gli investitori – tra i quali i fondi sovrani dell’Arabia – hanno fiducia nel progetto ed hanno continuato a credere in questa azienda.
Morozov ha poi evidenziato che l’economia mondiale non è del tutto uscita dalla crisi del 2008: per esempio il fondo sovrano della Norvegia continua ad investire 1.000 miliardi di dollari in tutte le aziende mondiali, soprattutto in quelle digitali per un sicuro rendimento economico; oppure, il fondo sovrano dell’Arabia Saudita cerca di diversificare gli investimenti per ridurre la dipendenza dal petrolio che in futuro è destinato a finire.
Il docente ha precisato che l’economia degli USA cresce per via dei profitti digitali, che non sono tutti tracciabili, tanto che potremmo definirla come un’economia “finta” ed ha precisato che nella situazione attuale, il Covid-19 potrebbe far crollare questo modello di crescita. Inoltre, ha ricordato che anche il Regno Unito ha puntato sull’economia digitale, affidando i dati della sanità e della pubblica istruzione alle aziende digitali come Google, portando però uno squilibrio tra settore digitale e pubblico. Il Covid-19 potrebbe essere una minaccia nel rapporto tra Stato e aziende digitali, le quali otterrebbero un forte vantaggio da questa situazione.
Morozov ha proseguito dicendo che «i dati rilasciati senza consapevolezza da parte degli utenti hanno consentito sia di vendere prodotti in modo sempre più personalizzato sia di migliorare i sistemi dell’intelligenza artificiale». E ancora «se lasciamo tutto nelle mani delle piattaforme digitali – che rappresentano il più decisivo elemento di sviluppo economico di questo tempo – tra pochi anni le multinazionali di Internet potranno prevalere sulla politica, gestendo direttamente servizi pubblici, come la sanità, i trasporti e l’educazione. Già oggi intere zone di Smart City, come Toronto, sono realizzate con l’apporto determinante di Google, con l’incremento esponenziale dell’uso di Internet e, contestualmente, la diminuzione della privacy». Ha quindi proseguito sostenendo che, proprio per questi motivi, «la popolazione di Toronto sta contestando la gestione della Smart City. Delegare alle aziende digitali anche il controllo delle Istituzioni significa, in effetti, porre in discussione il modello politico, mettendo a repentaglio la democrazia. L’esempio di Barcellona può essere esemplare, perché la città ha, invece, provato a sperimentare uno sviluppo tecnologico democratico a favore dei cittadini».
Morozov ha ricordato che l’Ue ha da poco definito una strategia sulle politiche digitali, perché fino ad ora è dipesa da quella statunitense e cinese. Le aziende informatiche nate nei mitici garage di Palo Alto in California, senza l’aiuto dello Stato o del mondo della finanza, oggi non sarebbero esistite. Nell’Ue non è stato elaborato un progetto politico, economico-informatico e geopolitico forte e comune. «L’unica opzione – ha detto – potrebbe essere quella di inserirsi tra USA e Cina, magari riuscendo a mettere l’una contro l’altra. Ma si tratta di una strategia pericolosa, perché non si può parlare di sovranità digitale senza avere una strategia politica digitale». Il docente ha poi focalizzato l’attenzione sugli investimenti della Cina riguardo l’intelligenza artificiale, precisando che fino al 2030 saranno investiti 300 miliardi di dollari. La necessità, ad oggi, nell’Unione Europea è quella di creare regole giuridiche e fondi strategici per difendere e costruire una rete di industrie digitali europee. A tal proposito, Morozov ha affermato che nel futuro potrebbe verificarsi il declino dell’egemonia americana e il predominio dell’economia digitale.
Per quanto riguarda il Covid-19, secondo lo studioso «sarebbe interessante vedere come l’intelligenza artificiale può essere applicata sia per l’analisi dei dati della diffusione della malattia sia per la creazione di un vaccino. Questo può portare ad una diversa percezione dell’utilità sociale delle aziende digitali che, a livello mondiale, da circa due anni sono fortemente contestate. Nelle prossime settimane i Big Tech, quindi, potrebbero intervenire direttamente nelle vicende del Covid-19».
Morozov ha ribadito che l’Europa non ha un progetto politico, economico e geopolitico per il settore informatico e proprio per questo non riesce ad adottare una strategia comune sull’utilizzo dei 5G proposto da Huawei. Si tratta di una scelta strategica per l’Europa la quale ancora oggi risulta troppo debole per influenzare gli altri. «Sarebbe essenziale da parte dell’Europa puntare alla sovranità tecnologica ma, al momento, è impossibile poiché non esiste una sovranità politica. L’Europa – ha proseguito – non riesce ad immaginare il suo futuro fuori dalla logica transatlantica costruita con gli USA negli ultimi 75 anni». Ha poi fatto cenno al Fondo Nazionale Innovazione, previsto nella Legge di Bilancio del 2019. Tale Fondo fa riferimento al Ministero dello Sviluppo Economico, ma sarà gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti, il cui obiettivo è quello di riunire e moltiplicare le risorse pubbliche e private dedicate al tema strategico dell’innovazione, con l’intento di sviluppare l’economia innovativa e sostenibile delle Start Up. Morozov ha quindi ribadito che la direzione giusta è sostenuta da dotazioni finanziarie adeguate, da una prospettiva geopolitica, da una politica industriale e da una strategia sull’intelligenza artificiale.
Per quanto riguarda l’emergenza sociale che si sta vivendo in queste settimane, ha ricordato che potrebbe affermarsi sempre di più il ruolo del digitale, per esempio con lo smart working e l’e-learning.
«Negli ultimi due anni – ha proseguito – c’è stata una interpretazione sbagliata del mondo digitale. Nel libro Il capitalismo della sorveglianza di Zuboff si sostiene la tesi dell’utilizzo dei dati per orientare il comportamento umano, utilizzando le tecniche della psicologia comportamentale per vendere prodotti insieme ai nostri dati. Va però evidenziato che ci sono diversi modelli di business basati sull’intelligenza artificiale: per Apple ogni servizio è a pagamento; per Facebook tutto è gratis; per Amazon vengono commercializzati prodotti e servizi realizzati da altri. L’unica alternativa sarebbe una politica pubblica sulla materia, ma non può svilupparsi senza creare infrastrutture tecnologiche pubbliche su cui possono transitare i dati. Sarebbe l’unica alternativa per contrastare la logica del capitalismo digitale dove tutto viene misurato, valutato e monetizzato, rappresentando una logica contraria al libero sviluppo umano».
Morozov sostiene che «occorre una politica alternativa che immagini un futuro che non sia dettato dalle aziende digitali, per cercare di contrastare la schiavitù tecnologica ed economica che le strategie della Silicon Valley ci impongono. Nella storia Stati, città, ospedali, università hanno creato benessere, collaborazione e solidarietà e hanno fatto crescere il genere umano».
In merito al Covid-19, il docente ha detto che si possono creare le condizioni affinché la solidarietà ritorni al centro del dibattito, stimolando le aziende digitali a mettere a disposizione i dati per trovare il vaccino se il settore pubblico non è capace di farlo.
Non possiamo essere solo utenti di Amazon o Google, ma anche portatori di diritti e doveri. Occorre allora pensare ad un’alternativa digitale, perché ormai non si può tornare indietro dal modello che stiamo vivendo, in quanto i politici stanno dimostrando di non essere capaci di affrontare questa crisi».
Per Morozov, le aziende digitali hanno un know how molto sviluppato ed hanno aspetti positivi ma anche negativi, perché creano squilibri sociali. Uber, seppur in perdita, ha due strategie per aumentare i profitti. La prima è quella di espandere il mercato; l’altra è quella di ridurre i costi attraverso, ad esempio, l’utilizzo di macchine guidate dall’intelligenza artificiale – questo, però, porterebbe al licenziamento degli autisti che rappresenterebbero un costo sociale molto elevato. Ha poi incentrato l’attenzione sull’utilizzo, da parte le settore pubblico e privato, delle tecnologie che hanno costi nascosti: «a breve termine, si riducono i costi ma a medio termine, se le Istituzioni pubbliche – che forniscono servizi collettivi, come le università – oppure gli editori – che pubblicano i giornali e i libri – vengono sostituiti da Google, Amazon, Facebook e Apple non è un bene per la democrazia».
«Oggi – ha proseguito Morozov – il settore pubblico non ha i mezzi per poter combattere alla pari questa battaglia perché la classe politica attuale non è capace di fronteggiarla».
Il docente ha poi parlato della Germania, che non è riuscita a compiere scelte di fondo su politiche strategiche decisive come, per esempio, l’innovazione tecnologica, il digitale, l’ambiente. E questo perché in Germania le aziende automobilistiche hanno un peso fondamentale, dettando in massima parte l’agenda politica.
Per quanto riguarda il socialismo digitale, Morozov ha sostenuto che si possono utilizzare le stesse infrastrutture per creare sia consumo sia democrazia: il problema è come vengono impostati gli algoritmi. Ha quindi citato l’esempio della Cina con il Social Credit System che promuove la convivenza sociale con regole in linea con il controllo statale, poiché è lo Stato che controlla i Big Tech.
Relativamente al disagio sociale, Morozov ha ricordato che la disuguaglianza è accentuata dalle aziende digitali e che bisogna trovare il modo per democratizzare la ricchezza, altrimenti si rischia un’esplosione sociale mondiale senza precedenti – precisando che la democrazia ha funzionato in un breve periodo, dal 1945 al 1975. La minaccia principale, oggi, non è rappresentata dall’intelligenza artificiale in sé, ma dagli squilibri sociali creati a livello globale dal mondo digitale. Per il docente, la ragione per cui oggi lo Stato esiste non è più chiara, perché non è capace di tassare le aziende Big Tech e le multinazionali finanziarie ed è anche incapace di fornire servizi pubblici essenziali.
«Tra 5-10 anni – ha concluso – il ruolo dello Stato potrà essere fortemente ridimensionato anche dalle grandi aziende digitali: è uno scenario molto delicato di fronte al quale le classi dirigenti democratiche dovrebbero porre la massima attenzione, ma ancora non sembrano consapevoli di quanto sta realmente accadendo davanti ai loro occhi».
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