Intercettazioni, il limite della sfera privata

Il caso che attualmente vede coinvolta la Ministra Guidi ha suscitato una serie di polemiche sull’annosa questione relativa al rapporto tra intercettazioni e vita privata. La diffusione a mezzo stampa di stralci di conversazioni concernenti l’inchiesta sulle estrazioni petrolifere in Basilicata, non rilevanti per il proseguo delle indagini in quanto attinenti a questioni personali dei soggetti coinvolti, ha stimolato su vari fronti il dibattito sul fatto se sia giusto o meno rendere pubblico questo tipo di informazioni.

Innanzitutto è bene ricordare che le intercettazioni rappresentano un mezzo di ricerca della prova disciplinato dal codice di procedura penale nel Libro III, Titolo III, Capo IV artt. 266 e seguenti; ma ancora di più è imperativo tenere sempre presente il sentiero costituzionale tracciato dall’art. 15 della Costituzione in relazione al diritto alla riservatezza, il quale stabilisce che:La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Sulla base della previsione costituzionale appena evidenziata, e posta l’assoluta efficacia di tale mezzo di ricerca della prova, è possibile sostenere che le intercettazioni rappresentino un prezioso strumento investigativo funzionale alla formazione della volontà del Pm di esercitare l’azione penale. Tuttavia, in un contesto ove i processi si svolgono prima attraverso i media e poi nelle aule dei tribunali, la tutela degli aspetti privati emergenti dalle intercettazioni, ma non rilevanti ai fini delle indagini, dovrebbero essere collocati al primo posto nella scala dei valori applicabile a tale questione.

Anche in questo caso è la legge che chiarifica la situazione attraverso l’art. 329 c.p.p. il quale stabilisce che “Gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. Solo nel caso in cui sia necessario per la prosecuzione delle indagini il pubblico ministero può consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi.

Nonostante ciò non si comprende come la pubblicazione, durante la fase delle indagini preliminari, di frasi o discorsi concernenti la sfera privata e i rapporti personali tra i soggetti captati possano essere rilevanti per la prosecuzione delle indagini stesse. La violazione di tale obbligo provoca esclusivamente, come detto poc’anzi, il trasferimento della sede giudicante dal tribunale ai giornali o alle tv, con naturale pregiudizio dell’oggettivo svolgimento del procedimento penale, il decadimento della proceduralmente prevista distinzione tra indagato e imputato, nonché la assolutamente inutile violazione di altri diritti costituzionalmente garantiti.

Appare dunque evidente come sia necessaria una revisione delle previsioni normative volte a rafforzare il processo di utilizzazione delle intercettazioni in modo da equilibrare, nonché tutelare, le esigenze investigative e il diritto alla riservatezza. La legge delega di riforma è attualmente ferma al Senato ma si spera che su un argomento così importante si trovi presto un accordo. Ancora più auspicabile sarebbe l’utilizzo responsabile di uno strumento così potente da parte di coloro che hanno il dovere di utilizzarlo.

Fuori da ogni mistificazione. È noto a tutti chi può accedere ai tabulati, chi è parte di questa tracciatura di dati. Mi chiedo contro chi può chiedere risarcimento la vittima della pubblicazione,  con tanto di “simulazioni recitate” nei talk show televisivi. Tutto come fosse ordinaria amministrazione. Al contrario, un serio rischio di vanificare gli effetti delle indagini e di far percepire ai cittadini che lo strumento, anziché tutelare. diventa pericoloso.

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