La democrazia rende insoddisfatti?

È forse inevitabile che in tempi di emergenza, come ora per il Covid, crescano i segnali di malcontento nei confronti dei governanti, e in genere della politica ritenuta incapace di dare ascolto ai cittadini e di operare in modo efficace.

Troppe le incertezze e le contraddizioni, le promesse e i passi indietro. La barra del timone oscilla da una parte all’altra secondo i momenti e il caso. Così almeno sembra all’esterno. Nessun navigante in mezzo a tale tempesta riesce a catturare il vento giusto che sospinga la fragile navicella al sicuro.

Un fenomeno che riguarda l’Italia non meno di altri paesi. Una condizione che, nel mondo occidentale, alimenta la disaffezione dell’opinione pubblica nei confronti della democrazia rappresentativa.

Diritti, libertà, uguaglianza, sicurezza, concetti antichi sbandierati di continuo in ogni discorso, sembrano svuotati di senso, gusci vuoti abbandonati sulla spiaggia. Il destino stesso delle democrazie è vacillante, soffocato da sovranismi, populismi, movimenti di ogni risma che minacciano di travolgere l’assetto democratico.

La percezione di inefficienza e inadeguatezza diventa così, per la sorte delle Istituzioni, più importante dello stesso giudizio astratto sulla bontà delle regole democratiche, o sul funzionamento degli organi cui è affidata la responsabilità di fronteggiare situazioni preoccupanti come la pandemia.

Eppure, proprio in Italia l’azione di governo è risultata più efficace che altrove, nonostante tutti gli errori e i ritardi, mille volte ricordati. Oltreoceano o nel resto d’Europa, per fare un esempio, la situazione sanitaria è più grave e preoccupante; le misure di contenimento insufficienti; l’atteggiamento della politica spesso irresponsabile. I casi più estremi e significativi, trattandosi di solide democrazie indispensabili agli equilibri mondiali, sono l’America e la Gran Bretagna.

Donald Trump, pur infettato dal virus, continua a irridere la pandemia e a minimizzarne gli effetti. Va in giro sprezzante, senza mascherina, dopo il ricovero in ospedale, come a dire: «guardate sono più forte, nulla mi può abbattere». Il corpo è costantemente esibito come una clava pronta ad abbattere il drago. Moderno Superman.

Boris Johnson, sempre più scapigliato e disorientato, gli occhi persi nel vuoto, distolto da controversie familiari con la giovane moglie, è incapace di affrontare i problemi. Privo di idee, alterna decisioni contrastanti. E poco incisive. Non dà sicurezza. È surreale come, in tanto disastro, trovi la fantasia per dire cose avventurose: il no deal sarà comunque cosa buona per il paese.

Da noi, nonostante il buon comportamento dello Stato e l’esemplare condotta dei singoli (al netto di tutte le sciocchezze di strada), l’emergenza Covid catalizza critiche verso la classe politica. Non a torto, peraltro: scarso senso di responsabilità, mancata compattezza dei partiti mentre l’economia è in crisi e non si sa se sapremo risollevarci.

I politici hanno ripreso ad accapigliarsi, senza avvertire il bisogno di stare uniti almeno in questo momento. Le Regioni litigano tra loro e con lo Stato. Ognuno per sé. I partiti poi si muovono in ordine sparso, in nome del tornaconto elettorale, da capitalizzare alla prossima tornata. L’obiettivo è guadagnare posizioni di vantaggio, un posto in prima fila, quando ci sarà un nuovo giro di giostra.

Il Covid sornione presenta il conto anche nelle aule del Parlamento, infettandone i componenti. Allarma l’immobilismo governativo, frutto della contraddittorietà delle posizioni Pd-M5S. Però tutto ha un senso in vista del futuro, specie se, come funestamente previsto, si adotterà un sistema elettorale proporzionale. L’elettorato non potrà scegliere tra schieramenti contrapposti e gli verrà sottratto il diritto di decidere chi debba governare il Paese. Saranno importanti allora le posizioni ai blocchi di partenza.

Il giudizio negativo sul comportamento dei partiti nell’emergenza Covid si basa sulla percezione che manchi l’ascolto della gente e che le decisioni siano troppo lente o ambigue. Un malessere che minaccia di travolgere le Istituzioni della democrazia rappresentativa, non solo il destino di alcuni.

Inevitabile ricordare in proposito l’esito del referendum costituzionale di settembre sul taglio dei parlamentari, approvato da due terzi degli italiani, una percentuale non plebiscitaria, ma certamente assai elevata. Segnale evidente e inequivocabile della sfiducia verso il Parlamento, giudizio senza appello sulla qualità di quest’organo.

Può darsi che, per uscirne, si vogliano sperimentare situazioni nuove, ma le ipotesi formulate, in parte già sperimentate in passato, appaiono datate e fallimentari, oppure avventurose per le sorti della democrazia. Il futuro, su queste basi, è problematico.

Per esempio l’idea, cara soprattutto al centro-destra, di un maggiore decentramento (a favore delle Regioni), già coltivata con la riforma costituzionale del 2001, o di forme di accentuata ed esasperata autonomia, ha mostrato i suoi limiti proprio in occasione del Covid.

Abbiamo dovuto constatare una situazione frammentaria e contraddittoria nella gestione della salute dei cittadini. Le Regioni prendono decisioni proprie senza coordinarsi con le altre creando situazioni disomogenee: ognuna si è organizzata a modo suo quanto al trattamento del Covid e alle terapie. Le diversità creano disparità di trattamenti e ovviamente hanno tragiche ripercussioni: rapide cure da una parte, tanti contagi e morti dall’altra. Il “fai da te” incrina il principio di eguaglianza tra i cittadini.

L’opinione pubblica di segno opposto può essere tentata dalla suggestione della “democrazia diretta”, dinanzi alla manifesta crisi di quella parlamentare-rappresentativa. Sono operai, disoccupati, persone in difficoltà economica, e non solo. Più in generale coloro che lamentano la mancanza di risposte della politica, e che vorrebbero un più deciso intervento per il rinnovamento della società. Un bacino non sovrapponibile a quello, sempre più consumato e ridotto, che si è finora indirizzato verso il Movimento 5Stelle.

In effetti, il dibattito sulla democrazia diretta è ben più complesso di quello riducibile al giudizio sul M5S e tuttavia, per quanto divisivo e forse fuorviante, il discorso sul M5S ha il pregio di una chiarificazione estrema del problema.

Il contrasto tra governisti (alla Di Maio) e contestatori (alla Di Battista) è sovrastato dal richiamo di Davide Casaleggio, mentore del movimento a nome del padre Gianroberto e ovviamente di Beppe Grillo. A parte il “no al terzo mandato”, feticcio iconico in via di frantumazione davanti alle ambizioni dei singoli, ecco la proposta di sottoporre alla consultazione degli iscritti, tramite la piattaforma digitale Rousseau, le migliaia di nomine pubbliche che dovranno essere fatte tra poco. Un compito non da poco. Lo scopo? «Renderle più trasparenti e più ispirate alle meritocrazia».

Sarebbero dunque 120.000 (pare) iscritti al Movimento i soggetti chiamati a decidere su queste nomine importanti, al posto degli eletti in Parlamento. Il popolo messo davvero in condizione di scegliere direttamente e al meglio. Facili le obiezioni: come gli iscritti potrebbero valutare meriti e titoli? Quali garanzie ci sarebbero di scegliere i migliori?

Il meccanismo è di per sé viziato all’origine: i soggetti proposti sarebbero quelli graditi al Movimento, non i più bravi; a sceglierli (meglio confermarli) sarebbero gli stessi simpatizzanti. Un corto circuito, a dispetto del merito. E, infine, quali sicurezze può offrire una piattaforma informatica gestita da un privato per interessi privati ad di fuori di qualsiasi controllo?

La qualità prescinde dall’appartenenza, e richiede che chiunque ne abbia titolo possa coltivare le sue chance di accesso al posto, sottoponendosi alla valutazione di un organo terzo. Proprio a questo soccorrono le regole del “concorso pubblico” tra soggetti esaminati da una commissione indipendente, modello costituzionale per la nomina dei funzionari pubblici.

Il discredito delle Istituzioni non è risolvibile con la rinuncia alle stesse, scavalcandole nell’illusione di riuscire a dar voce ai cittadini. Del resto, se la democrazia ai livelli di vertice è giudicata criticamente, anche i corpi intermedi della società non attraversano un momento più felice.

Circa un terzo degli italiani si dice socialmente attivo in qualche associazione, o gruppo professionale, o organizzazione di settore. A parte i gruppi di volontariato, e poco altro, è difficile però che gli iscritti si mostrino entusiasti di simili appartenenze e soddisfatti del modo in cui vengono rappresentati.

Sono le stesse critiche che investono partiti e strutture statali; ci sono note dolenti persino per i sindacati, che potevano vantare un consistente radicamento, ora poco attrattivi per giovani, e a rischio di irrilevanza storica.

Eppure, proprio il sentimento popolare manifestato da ultimo con l’adesione alle regole di condotta imposte dal Covid indica come, per uscire dall’emergenza e far ripartire il Paese, sia irrinunciabile il ricorso a forme di collaborazione, che possano sorreggere l’impegno di ciascuno in qualunque formazione sociale, dalla più piccola e periferica al vertice dello Stato: la politica in forma diffusa.

Non si tratta quindi soltanto di dare valore alla “società di mezzo” in modo che anche le Istituzioni ne traggano beneficio, positivamente contagiate dalla buona volontà dei singoli. Di supplire alle carenze della politica, di svolgere un ruolo sussidiario. Piuttosto: la crisi delle democrazie complesse non è risolvibile senza un cambio di passo generale, che riguardi innanzi tutto lo status del cittadino, il suo rapporto con la collettività di cui è parte.

Il perseguimento di scopi particolari è inscindibile dallo sforzo di contribuire alla crescita di tutto il Paese e al benessere sociale. Trovare le risorse umane e le energie morali per orientare il funzionamento delle strutture pubbliche in una direzione più consapevole dei diritti di tutti: questa la scommessa, impegnativa, per la quale servono segnali urgenti.

 

*Angelo Perrone, giurista, è stato pubblico ministero e giudice. Cura percorsi professionali formativi, si interessa prevalentemente di diritto penale, politiche per la giustizia, diritti civili e gestione delle istituzioni. Autore di saggi, articoli e monografie. Ha fondato e dirige Pagine letterarie, rivista on line di cultura, arte, fotografia.

 

 

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