Sono passati oltre quarant’anni da quando il termine permacultura ha fatto la sua prima comparsa sul suolo australiano, per la precisione in Tasmania: è il 1974, anno in cui Bill Mollison, professore al College of Advanced Education di Hobart e il suo studente universitario David Holmgren ideano un nuovo metodo di agricoltura sostenibile. Il concetto di permaculture nasce, quindi, inizialmente come identificativo di permanent agricolture, agricoltura permanente, descritta in Permaculture One come «un sistema integrato in evoluzione di specie animali e vegetali, perenni o a diffusione spontanea, utili all’uomo». Tale definizione, tuttavia, mostra presto i suoi limiti, in quanto rischia di confinare la nuova idea sviluppata in un surrogato dei metodi produttivi utilizzati nell’agricoltura non tradizionale, come li biologico o il sinergico; si nota, infatti, un progressivo slittamento del termine permacultura da agricoltura permanente a permanent culture, cultura permanente, per la quale entrano in scena considerazioni che travalicano i confini della stessa agricoltura. La cultura permanente trova, dopo la pubblicazione di Permaculture One, una sua nuova identità definibile in «paesaggi consapevolmente progettati, che imitano modelli e relazioni presenti in natura e forniscono cibo, fibre ed energia per soddisfare i bisogni locali». Quindi, da agricoltura sostenibile a cultura sostenibile. In questa nuova ottica la permacultura, che pone nell’osservazione della natura il suo motore, si configura come un nuovo approccio per realizzare comunità perfettamente ecosostenibili, in cui i ruoli esercitati dalle piante, dagli uomini e dagli animali si integrano sinergicamente. Secondo tale prospettiva la permacultura investe una pluralità di saperi e campi d’interesse, per una gamma di applicazioni pratiche accessibili ai più svariati profili professionali.
Il fiore della permacultura di Holmgren è probabilmente l’immagine più esemplificativa della complessità del fenomeno descritto e delle sue enormi potenzialità in termini di risposte a un’epoca contemporanea che deve fare i conti con diverse criticità: dalla gestione dei rifiuti, alla crisi energetica, allo depauperamento del suolo fino all’irrisolta piaga della fame nel mondo.
Il centro del fiore è costituito dai principi etici e di progettazione. Rispetto ai primi si individuano tre parametri: la cura per la terra, la cura per la persona e, in ultimo, il limitare il consumo delle risorse con il fine di ridistribuirle in maniera equa. Dal punto di vista della progettazione ci si trova di fronte a una trentina di linee guida (https://www.permacultura.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6&Itemid=96), sviluppate nel corso degli anni sia da Mollison sia da Holmgren.
A oggi, è difficile avere un quadro esaustivo dello sviluppo della permacultura a livello mondiale; è tuttavia possibile far riferimento al social network Worldwide Permaculture Projects, atto a mappare i vari progetti di permacultura sparsi nel mondo, per avere un’idea indicativa del fenomeno. È l’area del Nord America quella in cui si insediano più progetti, con 422 iniziative censite al 2013; segue l’Europa con 284 realtà e, sull’ultimo scalino del podio, l’Australia a quota 173.
Fonte: https://www.lteconomy.it/it/articoli-it/66-focus-permacultura-cos-e-e-stato-di-diffusione-nel-mondo
E in Italia? La permacultura risulta ancora un terreno poco sondato, spesso ignorato anche dalle professionalità che ruotano attorno al mondo agricolo.
Il punto di riferimento è rappresentato dell’Accademia italiana di Permacultura, nata nel 2003 e ufficializzata nel 2006: essa eroga corsi di formazione e prevede, inoltre, un percorso di studio di due anni finalizzato al conseguimento del Diploma di Progettazione in Permacultura Applicata. Non mancano poi occasioni, come il Festival Italiano di Permacultura, giunto quest’anno alla sua seconda edizione, volte a creare un punto di incontro e confronto per tutti coloro che orbitano intorno a questa galassia.
Le ragioni di una scarsa emersione del fenomeno possono essere molteplici: dalla difficoltà nel classificare sotto un’unica etichetta una realtà dal perimetro estremamente fluido, alla natura intrinseca di quella che è una filosofia di vita che si presenta come alternativa agli imperanti princìpi del modello economico capitalista e che strizza l’occhio al pensiero della Decrescita.
Lo spazio di manovra che la permacultura ha dentro un mondo globalizzato e iperbolicamente veloce è oltremodo marginale e il rischio che venga accolto come l’ennesimo spauracchio è altrettanto alto.
D’altro canto la sua comprensione e diffusione rappresenterebbe una valida alternativa su cui investire per salvaguardare gli ormai labili ecosistemi e ricucire una sano rapporto tra l’uomo e il suo ambiente.