L’Italia che funziona

«Ogni Paese deve cercare di valorizzare gli asset dei quali dispone, specialmente di quelli unici e irripetibili. E quelli di cui dispone l’Italia sono tanti. Quel che oggi veramente occorre è assumere la decisione di voltar pagina e rimboccarsi le maniche, con la modestia, l’umiltà, l’impegno e la capacità costruttiva di altri tempi». In un momento di cambiamento strutturale profondo nel quale si rende necessario ripensare il ruolo dello Stato e della politica, le riflessioni del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, rappresentano un’indicazione possibile. Nella rubrica “Metafore per l’Italia”, pubblichiamo un brano del nuovo libro L’Italia del “Nì” (Minerva Edizioni).

«Piuttosto che alle sirene del declino dovremmo prestare attenzione ai messaggi e ai protagonisti dell’Italia che funziona e che in questi anni di crisi hanno tenuto in piedi il Paese e che sollecitano la promozione di un nuovo modello di sviluppo che ponga al centro di ogni scelta la qualità, vero grande patrimonio italiano. In un contesto globale e in quello europeo nel quale siamo immersi, la genericità non è più ammessa. Occorre, invece, la specializzazione, nel senso che ogni Paese deve cercare di valorizzare gli asset dei quali dispone, specialmente di quelli unici e irripetibili. E quelli di cui dispone l’Italia sono tanti. Basti pensare alla bellezza delle nostre città e del nostro territorio, alla nostra storia, all’immenso patrimonio artistico e culturale, alle tradizioni religiose e popolari, al folklore, alle nostre produzioni agroalimentari, alle nostre capacità manifatturiere, alla nostra creatività in tutti i campi.
Cultura, manifattura, turismo e agricoltura sono i pilastri della nostra economia e, insieme, i fattori determinanti per una ricostruzione del ruolo dell’Italia nel mondo. Ma non andremo da nessuna parte se non sosterremo le nostre imprese manifatturiere, assicurando loro i servizi e il credito necessari a favorirne la proiezione internazionale, e se non le libereremo dai mille vincoli e dal peso di una burocrazia soffocante e di una tassazione opprimente. Non andremo da nessuna parte se non cominceremo a pensare al turismo come un asse portante dello sviluppo, se non ammoderneremo e non metteremo in rete le nostre strutture ricettive e dispiegheremo a livello internazionale adeguate campagne di promozione e di marketing. Superando, quindi, la ridicola frammentazione che consente a regioni e città di sperperare risorse per improbabili quanto inutili singole campagne di comunicazione. Se non miglioreremo la nostra rete infrastrutturale e logistica. Non andremo da nessuna parte se non capiremo che con la “cultura si mangia”, eccome, al contrario di ciò che pensava un ministro di un vecchio governo, soprattutto in un Paese al quale la storia ha affidato più della metà del patrimonio artistico e culturale del mondo.
E addolora – almeno gli animi più sensibili – sapere che il Louvre a Parigi ha, da solo, più visitatori di tutti i musei italiani messi insieme. Ma, forse, nel calcolo statistico bisognerebbe tener conto del fatto che i nostri musei sono più
spesso chiusi che aperti e del numero impressionante di opere di raro valore e di autentica bellezza relegate negli scantinati per l’assenza degli spazi necessari ad accoglierle.
Non andremo da nessuna parte se non difenderemo la nostra agricoltura e le nostre produzioni agroalimentari dalla interessata ottusità degli uffici comunitari, che ostacolano l’etichettatura e la tutela delle nostre produzioni e se non combatteremo l’Italian sounding. Non andremo da nessuna parte se non creeremo le condizioni per frenare l’“emorragia di intelligenze” che ci priva del valore e dell’ingegno di centinaia di migliaia di nostri giovani, costretti a cercare all’estero le opportunità che la Patria non riesce a offrire
loro. Non andremo da nessuna parte se non avremo il coraggio di ammettere che la riforma del Titolo V della nostra Costituzione è stata un gravissimo errore. Ma tutto questo rappresenta solo un appunto, neppure un elenco, di quello che c’è da fare. Tanti altri ancora sarebbero i temi e le urgenze da affrontare. Quel che oggi veramente occorre è assumere la decisione di voltar pagina e rimboccarsi le maniche, con la modestia, l’umiltà, l’impegno e la capacità costruttiva di altri tempi. Se non le Istituzioni, almeno la politica sembra dar segni di ringiovanimento, sia pure solo anagrafico, e i nuovi protagonisti, oltre che poter dire “io non c’ero” per il passato, non avranno alibi e giustificazioni per ciò che faranno nell’immediato futuro». (Aforisma 84, 2014)

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