Tra i tanti, tantissimi, effetti collaterali della pandemia di Coronavirus, c’è quello della modifica della nostra Costituzione. No, non quella di cui tanto parlano le opposizioni, di misure di contenimento che sopprimono le libertà individuali ‒ da quella di circolazione a quella di libera iniziativa economica ‒; Gustavo Zagrelbeski, con la sua autorevolezza, ha posto fine a questa inconsueta esplosione di interesse per la Costituzione, riaffermando la piena legittimità delle misure di contenimento: ne abbiamo parlato sulle colonne di questo magazine e notiamo con soddisfazione che l’illustre costituzionalista ha confermato le nostre valutazioni. La vera riforma costituzionale consiste, invece, nella trasformazione dello Stato unitario (art. 4, comma 1, “La Repubblica è una e indivisibile” e “riconosce e promuove le autonomie locali”) in Repubblica federale, composta da tanti staterelli regionali, diretti da “governatori”.
E che sia così, ne è prova la circostanza che sia la carta stampata sia, soprattutto, l’informazione televisiva abbiano attribuito questo titolo ai vecchi presidenti delle Regioni. A volte con effetti di comicità involontaria, quando all’interno di un medesimo servizio avente ad oggetto una medesima Regione, vengono usati i due termini, alternativamente, tanto da far pensare, all’ascoltatore, che in quella Regione ci sarebbe sia il presidente che il governatore. Quando poi ho ascoltato uno storico, ed opinionista di chiara fama, come Paolo Mieli, usare il termine “governatore”, ho capito che la riforma era giunta a compimento. Siamo gli Stati Uniti d’Italia; la Lombardia come il Texas, la Calabria come la Florida (quanto meno per il comune aspetto di Penisola pendula). Prima di arrendermi, ho voluto consultare la Costituzione. All’art. 121, comma 1, leggo che sono organi della Regione il Consiglio regionale, la Giunta e il suo “Presidente”; al quarto comma leggo che il «Presidente della Giunta rappresenta la Regione, dirige la politica della Giunta e ne è responsabile…» ed altro ancora. L’art. 122, comma 1, riguarda i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del “Presidente”; al quinto comma è disposto che «il Presidente della Giunta regionale sia eletto a suffragio universale e diretto». Di governatori non se ne fa cenno e le norme citate sono rimaste sempre quelle, senza modifica alcuna.
Ho voluto allora consultare lo Statuto speciale della Regione italiana che gode della più ampia autonomia, la Sicilia, nella quale i consiglieri regionali sono deputati ed il Consiglio regionale prende il nome di Assemblea. All’art. 2 dello Statuto leggo che «organi della Regione sono: l’Assemblea, la Giunta e il Presidente della Regione». Dal momento che sotto la dominazione spagnola governavano i viceré, c’era da aspettarsi qualcosa di più; un governatore ci poteva stare e, invece, solo un comune Presidente, come in Molise. Mi è venuto poi in mente che in Europa esiste uno Stato federale composto da 16 Lander (termine equivalente a Stati), la Repubblica federale tedesca. Anche qui un’altra delusione. Essi sono diretti da “ministri presidenti”, fanno parte del Bundesrat, assemblea federale dei delegati dei Lander, con funzioni legislative, sia pur limitate. Neppure loro assumono il nome di governatori.
Solo l’Italia, afflitta da inguaribile anglofilia, ha trasformato, contra legem, i “presidenti” in “governatori”; intendiamoci, il termine suona meglio, dà l’idea di un uomo solo al comando e, non ultimo, soddisfa le ambizioni di un personale politico che ne ha grande necessità. In più, rispolvera un termine che richiama i fasti del periodo coloniale…
Ma chi è stato, per primo, a inventare il titolo di governatore per i Presidenti di Regione? Il merito va attribuito a stampa e televisione, e chi lo ha usato per primo meriterebbe il premio Pulitzer per il giornalismo, vista la fortuna ottenuta, tanto da modificare, senza resistenza alcuna, il dettato costituzionale, la legislazione statale e quella regionale. Chapeau!
Tale deformazione linguistica autorizza inoltre i Presidenti delle Regioni ad autoattribuirsi poteri in materia di misure sanitarie che, nell’attuale situazione di emergenza, è stata riservata in esclusiva al Presidente del Consiglio con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 che dichiarava lo stato di emergenza nazionale, e del successivo decreto-legge 23.02.2020, n.6 convertito in legge 3.03.2010, n.13.
Se ci badate, non è quella suddetta l’unica modifica del nome legale di cariche istituzionali. Il Procuratore della Repubblica non esiste più (come nome s’intende), soppiantato da quello di “Procuratore capo”, anche questo introvabile tra le norme dell’ordinamento giudiziario, del Codice di procedura penale, sconosciuto persino nel ruolo dei magistrati in servizio. Il nuovo Ordinamento giudiziario, nella parte relativa all’ordinamento del Pubblico ministero, regolata dal D.lvo n. 106/2006, coordinato con la legge n. 269/2006, dispone (art. 1): «Il procuratore della Repubblica, quale preposto all’ufficio del pubblico ministero, è titolare esclusivo dell’azione penale e la esercita nei modi e nei termini fissati dalla legge».
All’art. 2 vengono precisati i poteri: «Il procuratore della Repubblica, quale titolare esclusivo dell’azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell’ufficio». È importare precisare che la legge non usa il termine “delega”, ma “assegnazione”, nel senso che il sostituto assegnatario svolge le indagini senza vincoli particolari, a meno che il Procuratore non abbia stabilito i criteri da eseguire, la cui violazione può portare alla revoca dell’assegnazione. Anche in questo caso il termine “capo” è stato usato impropriamente. Certo, tutti i dirigenti degli uffici giudiziari sono i “capi” di fatto dei rispettivi uffici, ma a nessuno verrebbe in mente di parlare di “presidente di tribunale capo” o di “procuratore generale capo” e così via. È un orpello riservato ai Procuratori della Repubblica.
Ristabilire un linguaggio giuridicamente corretto per i detentori di pubblici poteri è dunque importante, per evitare equivoci tra i cittadini meno informati e suggerire coloriture autoritarie del tutto improprie.
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