Malaffare e politica, Franco Roberti: “Legame con la mafia ancora profondo”

Dal grande progetto di “videosorvegliare” Napoli e le sue periferie, al macrotema dell’immigrazione, a quello sulla legittima difesa; e poi il terrorismo e i pericoli per l’Italia. Intervista a 360 grandi a Franco Roberti, assessore regionale alla sicurezza e alla legalità della Regione Campania. Procuratore Nazionale Antimafia per quattro anni, è stato il primo a ricoprire, dal 2015, anche la carica di Procuratore Nazionale Antiterrorismo. Dopo una vita nella magistratura, ha deciso di mettere la sua esperienza al servizio della sua regione.

Assessore Roberti, la sua scelta di accettare l’incarico come assessore regionale nella giunta De Luca, ha suscitato diverse polemiche: che cosa l’ha veramente spinta a prendere questa strada?
Quello che mi ha sempre animato: ovvero lo spirito di servizio. Essendo andato in pensione, mi è stato proposto di occuparmi di sicurezza e legalità, in una posizione di indipendenza, ed ho ritenuto giusto accettare, pensando di poter mettere al servizio della collettività la mia esperienza di magistrato. Come assessore mi occupo di politiche integrate per la sicurezza e la legalità, ma anche di immigrazione, secondo la  competenza regionale, in particolare di accoglienza e integrazione dei migranti.

Quali sono, più nel dettaglio, la linee guida del suo assessorato e quali sono i primi obiettivi che si è prefissato di raggiungere?
In tema di sicurezza, sto portando avanti e ampliando un lavoro già abbondantemente avviato, quello della videosorveglianza, molto importante per la sicurezza urbana, soprattutto nei quartieri a rischio. Ad oggi, la copertura di videosorveglianza riguarda solo il quartiere Sanità e altri settori del centro storico; c’è ancora molto da fare: bisogna allargare, infatti, il servizio alle periferie, come Scampia, Ponticelli, Caivano e all’area metropolitana.
Poi c’è il grande tema della valorizzazione dei beni confiscati alle mafie. La gestione e la destinazione delle aziende e dei beni confiscati sono stati finora affidati all’Agenzia nazionale che, tuttavia, ha funzionato a scartamento ridotto. Oggi, la nuova normativa del 2017, nell’ambito della riforma del Codice Antimafia, permette di potenziare le funzioni dell’Agenzia in modo da renderla più efficiente.
La regione Campania, inoltre, sta per dotarsi di una legge, di imminente approvazione, che attribuisce alla giunta il ruolo di coordinamento ed impulso alla valorizzazione dei beni confiscati. Il problema, infatti, è che, una volta confiscato il bene, questo deve essere ristrutturato e valorizzato prima di destinarlo ad altre attività. E questa operazione di messa in sicurezza e recupero, proprio per la mancanza di una specifica funzione dell’ente territoriale, finora è stata molto difficile. Al contrario, con la legge che dà alla giunta regionale la possibilità di coordinare gli sforzi per valorizzare il bene, tutto dovrebbe funzionare meglio per essere destinato ad un effettivo utilizzo della collettività.
La regione Campania, che insieme alla Sicilia ha il maggior numero di beni confiscati alle mafie, per una volta arriva prima della altre regioni.

Come è cambiata la microcriminalità organizzata tradizionale e che ruolo ha la presenza degli stranieri?
La presenza degli stranieri non integrati interessa sia la micro che la macro criminalità. Le masse di giovani, spesso minorenni, che arrivano da altri paesi devono essere necessariamente integrate per impedire che cadano nelle maglie della criminalità. Le organizzazioni sono, infatti, oggi ancora forti perché possono contare su rapporti e relazioni con l’economia e con il territorio, bacini dai quali reclutano giovani disperati e, appunto, non integrati.

Come e quanto incidono l’illegalità e l’insicurezza sulle prospettive di sviluppo economico di un territorio?
Questo è tema spesso trascurato. Invece, l’incidenza della criminalità organizzata e delle mafie sullo sviluppo economico è molto forte poiché le organizzazioni criminali drenano denaro pubblico e impediscono gli investimenti. La situazione, in particolare nel Mezzogiorno, è dovuta proprio alla mancanza di investimenti: le iniziative imprenditoriali mancano anche perché c’è il condizionamento delle organizzazioni criminali, e l’attività economica è stagnante per la presenza della criminalità che la condiziona. Sicurezza e giustizia sono requisiti indefettibili affinché venga avviato un vero sviluppo economico del Mezzogiorno. Gli ultimi dati Svimez dipingono un panorama molto grave con 600mila nuclei familiari privi di reddito: il che significa, da un lato, la mancanza di sviluppo economico, dall’altro, lavoro nero, lavoro sottopagato e criminalità organizzata che lo controlla.

Negli ultimi anni, gli attori politici del Meridione sono cambiati. Molte indagini hanno colpito il legame tra politica e malaffare: quale la situazione oggi?
Non è migliore, come dimostrano, ad esempio, le ultime indagini della Procura di Messina, che ha accertato un grumo profondo di  malaffare politico mafioso, ma anche quelle della Procura Napoli, Reggio Calabria. Nonostante i grandi risultati giudiziari conseguiti negli ultimi anni, e un’azione di contrasto molto efficace, la criminalità è ancora molto forte.
La forza delle mafie sta nella rete di relazioni esterne con quell’area grigia che vive fuori dei gruppi mafiosi ma che fa affari con i gruppi mafiosi: parliamo di professionisti, politici, donne e uomini delle Istituzioni, soprattutto a livello locale. Bisogna considerare le mafie come grandi agenzie di servizi che incrociano un’offerta di servizi illegali e una domanda di servizi illegali: il mercato della droga, ad esempio, ancora oggi il business più potente delle mafie, nasce e prospera grazie ad una richiesta esterna all’organizzazione mafiosa che appartiene alla società civile. Quindi, offerta e domanda di servizi illegali si incrociano. Lo stesso avviene per il traffico di rifiuti illegali, o per il riciclaggio dei soldi sporchi che vanno a finire nei servizi legali.
Insomma, come mai le mafie ancora sono forti? Sono forti grazie alle loro relazioni con il mondo esterno. Nel gioco di domanda e offerta, ha un ruolo centrale la corruzione dei pubblici poteri, molto di più che la forza dell’intimidazione, mantenuta come garanzia del rispetto dei patti corruttivi.

Tra i suoi incarichi più importanti, senz’altro quello alla Procura di Salerno e poi, naturalmente, il suo compito come Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo dal 2013 al 2017. Qual è stato il momento più difficile della sua carriera?
Momenti difficili ce ne sono stati tanti, fin da quanto ero sostituto alla Procura di Napoli. Vorrei ricordare uno dei momenti più impegnati: quando nel 2015 è stata attribuita la competenza dell’antiterrorismo al Procuratore antimafia. La scelta di questa attribuzione al Procuratore nazionale non era affatto scontata ed ha rappresentato una grande sfida. La Procura nazionale ha avuto un grande onore ma anche una grande responsabilità, dovendo adeguare le sue strutture. Credo di essere riuscito a organizzare il coordinamento centrale sfruttando il know how raggiunto nel coordinamento antimafia.

A proposito di terrorismo, l’Italia è più fortunata o più preparata?
Diciamo fortunata e preparata, più preparata che fortunata. Credo che le ragioni per cui l’Italia non è stata ancora interessata dagli attacchi terroristici sono diverse, soprattutto è stato ed è essenziale disporre di un apparato di prevenzione e di contrasto giudiziario molto efficiente.

Qualche anno fa, lei ha pubblicato un libro Il contrario della paura. Qual è il suo contrario?
Sarebbe scontato rispondere il coraggio, ma per me è la verità. I cittadini non hanno paura se hanno fiducia nelle Istituzioni, ed hanno fiducia solo le Istituzioni dicono la verità. Credo sia necessario non enfatizzare e strumentalizzare la percezione del pericolo per fini politici. Si deve governare con il coraggio e non con la paura, e si governa con il coraggio solo se si dice la verità.

Razzismo, xenofobia: secondo lei sono conseguenze della paura? O non contribuisce anche una bella dose di ignoranza?
Torniamo al discorso della verità, spesso la paura è alimentata dall’ignoranza: sarebbe criminale sfruttare e alimentare la paura per acquisire consenso politico. Bisogna rassicurare i cittadini, e, al tempo stesso, dimostrare che si sta mettendo in campo l’energia migliore per prevenire i pericoli; non basta fare proclami, bisogna operare.

Che cosa pensa dell’idea di rafforzare i provvedimenti sulla legittima difesa?
Credo che la legge attuale sia sufficiente ad assicurare al cittadino il diritto di difendersi in modo proporzionale all’offesa. Sono ovviamente in attesa di conoscere la formula normativa a cui sta pensando il Governo per rafforzare questo diritto a difendersi, che, ripeto, secondo me già esiste in misura sufficiente. Sono laicamente aperto ad ogni innovazione purché sia nel senso di un rafforzamento dei diritti del cittadino. È comunque importante mantenere il principio di proporzionalità tra difesa e offesa.

Immigrazione e sbarchi dei migranti: tempo fa lei sostenne che le Ong dovrebbero ospitare ufficiali di polizia giudiziaria. È sempre della stessa idea?
Sono sulla linea dell’ex Ministro Minniti: insistemmo molto affinché le Ong potessero ospitare sulle navi agenti di polizia giudiziaria per poter identificare i trafficanti. Tuttavia, le Ong hanno rifiutato la proposta dicendo che in questo modo avrebbero perso la loro condizione di terzietà.

 

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