Prof.ssa Pensavalli, molte famiglie, già prima del Coronavirus, vivevano tensioni e disagi che questa pandemia rischia di peggiorare. A queste famiglie, ad ogni loro membro, come professionista, che cosa si sente di comunicare?
Mi sento di poter dire che questa reclusione è anche un’opportunità per tornare all’essenziale, per darsi ed offrire tempo, per potersi scrutare dentro. È importante mantenere vigile l’attenzione alle sane abitudini, non sapremo quanto tempo durerà questa reclusione, quindi anziché vivere alla giornata è molto importante fare dei progetti minimali che consentano di poter guardare al futuro con progettualità attiva, viva. Fondamentale è ricentrarsi sulla narrazione di sé, dare ascolto alle persone care ed anche agli amici trascurati e lontani: il nostro dialogo interpersonale si è notevolmente impoverito sia alla luce della comunicazione tecnomediata, sia a causa della velocizzazione dello stile di vita di ciascuno di noi; prendiamo dunque per buona questa opportunità per poter parlare di più tra di noi.
Secondo gli ultimi dati ufficiali, sono oltre 1,3 milioni gli italiani malati patologici da gioco d’azzardo. L’astinenza forzata di queste persone può aumentare tensioni, frustrazioni e litigi in famiglia? Che cosa può fare la famiglia e quali strategie può mettere in campo, ad esempio, un ludopatico per riuscire a gestire questa dipendenza tossica, in questa fase?
L’isolamento forzato può determinare un’acutizzazione di problematiche comportamentali che riguardano lo spettro dell’impulsività, già presente, ad esempio, nei soggetti ludopatici. Nella nostra comunità terapeutica Sisifo, in Tuscania, e che cura le dipendenze comportamentali, si è notato come questi stessi soggetti siano in generale persone in cui sono presenti tratti di irritabilità ed irrequietezza, spesso rivolti verso se stessi o verso gli altri, quando sussista il tentativo di ridurre o impedire la messa in atto di comportamenti compulsivi, che potrebbero generare difficoltà, disagi interpersonali economici, familiari e sociali. La connessione virtuale, effettuata con maggiore frequenza in questo periodo, e la ludopatia leniscono uno stato di inquietudine, di noia e di vuoto: la necessità principale è rappresentata dal raggiungimento dell’eccitazione, della soddisfazione e del piacere che si genera attraverso il gioco o la connessione stessa. Viceversa, la richiesta di estinzione del comportamento genera una sensazione di insoddisfazione ed episodi di rabbia, di nervosismo, di frustrazione. La famiglia, tuttavia, in questo particolare momento, non può far altro che cercare di comprendere il disagio sottostante il comportamento dipendente della persona e, insieme, orientarsi verso una modalità di ragionamento che guardi alle soluzioni, alle possibilità future. Vietate e controproducenti sono le critiche, come anche i giudizi, i sermoni educativi e la celebrazione di soluzioni personali vincenti. Utili sono, invece, i consigli delle soluzioni trovate di fronte alle difficoltà anche di diverso genere ed entità. Parola d’ordine è, dunque, rinunciare alle aspettative perfezionistiche di comportamenti sconvenienti ed accettare che questi possano essere compresi in un autentico spirito di collaborazione.
Molti ragazzi, restando obbligatoriamente in casa, tendono a fuggire dalla quotidianità familiare precipitando in quella virtuale, con un’accresciuta dipendenza dai social, dai videogame, dai giochi on line, dalle chat. Anche in questo caso, quali raccomandazioni si sente di dare a questi ragazzi e ai loro genitori?
In questi giorni lunghi da trascorrere completamente in casa, viene difficile negare ai figli esonerati dalla vita scolastica, il piacere di distrarsi con l’utilizzo dei devices tecnologici e dei videogiochi. Tuttavia, il libero accesso e l’elevato tempo a disposizione fanno sì che si appiattiscano le loro funzionalità esplorative, socio-educative e socializzanti e al tempo stesso, nei casi più seri, si modifichino gli stati di auto-coscienza e progettualità. Molti ragazzi, non sapendo se e quando si rientrerà a scuola, trascurano completamente il dovere di aderire ai programmi scolastici, cadendo in una sorta di trance ipnotica, che sovente li induce a controvertire il ritmo circadiano (videogiocano la notte e dormono di giorno). La cattività, inoltre, non li esonera da quello che viene definito, nella pratica clinica, il fenomeno del “mental clock” ovvero la sottovalutazione del tempo trascorso sui social ed una errata percezione del tempo di connessione che sembra scorrere più rapidamente quando si è connessi. La famiglia, in questo scenario, dovrà senz’altro cercare di essere occhio vigile ed attento nei confronti dei ragazzi, supervisionandoli durante le loro attività in Rete e on line cercando, però, altresì, di offrire loro una valida ed altrettanto stimolante alternativa, ed in certi casi addirittura una condivisione concreta dei tecnopercorsi abituali, per gestire dal “di dentro” l’organizzazione di tempi e modalità di connessione. Quindi, la buona regola è dare per primi testimonianza di buon uso dei mezzi tecnologici. Per la verità, sta accadendo anche che si stia tornando in questi giorni ad utilizzare i giochi da tavola e di carte per stare insieme facendo passare il tempo piacevolmente.
Molti anziani vivono una drammatica solitudine. Sono persone spesso sole che hanno difficoltà ad accedere, ad esempio, a Internet per coltivare relazioni sociali essenziali per la loro sopravvivenza. Che cosa suggerirebbe ai nostri anziani soli per reggere al meglio questa fase di solitudine e sindrome da abbandono totale? E che cosa, come Paese, dovremmo mettere in campo per affrontare seriamente questo problema?
Per gli anziani la tecnologia non è proprio intuitiva, anche se per la verità in questo periodo molti nonni si sono dati da fare per entrare in contatto con i nipoti e i figli: le videochiamate a distanza tramite le più comuni applicazioni (Skype o Whatsapp) possono permettere di sentirsi più stretti, di continuare a frequentare gli amici di tutti i giorni. Stiamo assistendo anche ad iniziative di solidarietà e sostegno da parte di professionisti (fisioterapisti, medici, insegnanti di ginnastica, psicologi) che mettono al servizio della collettività le loro conoscenze, attraverso piattaforme di condivisione di contenuti audio e video. Sono questi, sicuramente, esempi virtuosi di utilizzo della tecnologia. Il nostro Paese speriamo potrà dare maggiore importanza a questi aspetti, potrà credere che sia corretto investire sull’educazione al sano utilizzo dei mezzi tecnologici e comprendere che ormai tutti viviamo immersi in una comunità tecnovirtuale, dove necessariamente tutti debbono avere le medesime opportunità di ricevere strumenti di formazione ed essere in grado di condividere parti della propria esperienza anche attraverso gli schermi dei devices.
In Italia ci sono circa 5 milioni di persone in stato di povertà assoluta, che il Coronavirus rischia di rendere ancora più povere e isolate. Molte di queste, peraltro, sono immigrati che vivono da sempre condizioni di marginalità e isolamento. Pochi giorni fa sono state denunciate cinque persone senza fissa dimora alla stazione Termini perché avevano disatteso le ordinanze governative sul Coronavirus. Non stiamo tutelando sempre più i già tutelati e abbandonando, invece, i non tutelati contravvenendo ai nostri doveri umani e costituzionali? Che fare?
È importante in questo momento essere accanto a tutte le persone, soprattutto le più deboli e svantaggiate, e a tutti coloro che sono maggiormente in difficoltà. È necessario fornire accoglienza a tutte quelle persone, italiane e non, senza fissa dimora, senza un lavoro, che vivono in condizioni di marginalità. Solo in questo modo, quando usciremo da questo dramma, potremo recuperare quella dimensione di socialità, di solidarietà, di unità e di umanità che da tempo abbiamo smarrito e trovare un nuovo modo di fare comunità che non lasci nessuno indietro e da solo. A nulla saranno serviti i flashmob se poi nella realtà non siamo in grado di tendere una mano a chi ne ha bisogno. Anche in questo caso segnalo, però, il proliferare di tante iniziative, ad esempio la messa a disposizione delle case vacanze inutilizzate per gli extra comunitari, per i medici, per gli infermieri, in Sardegna e in Sicilia.
Potrebbe essere utile, secondo lei, prevedere in questa fase assistenza psicologica gratuita per i cittadini, in modo da aiutarli a sviluppare le risorse migliori per gestire nel lungo periodo una tensione crescente ed evitare lo sviluppo di fobie pericolose? Come Istituto di terapia e con i suoi colleghi che cosa sta organizzando in questa fase così difficile?
Fornire un supporto psicologico alle persone significa dare un aiuto concreto nell’affrontare questa situazione di forte ansia e paura verso tutto quello che stiamo vivendo e che dovremo affrontare. Per questo motivo, anche il nostro istituto, l’ITCI, diretto dal Prof. Cantelmi, offre un sostegno ai propri pazienti, attraverso sedute psicoterapeutiche virtuali. È importantissimo, infatti, far in modo che le persone non si sentano abbandonate, sole, isolate, ma si percepiscano parte di un sistema, totalitario, che sia solidale e collaborativo e che abbia a cuore la salute fisica e mentale di tutti. Inoltre, fondamentale è offrire un’accessibilità ai servizi di sostegno, per le persone più disagiate economicamente, per questo il nostro Istituto è in grado di offrire psicoterapie gratuite e a costo popolare.
Michela Pensavalli è psicologa e terapeuta, docente presso la SCInt, Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Interpersonale e presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum in “Psicologia dei gruppi”, “Psicologia dei conflitti interpersonali”, “Psicologia della motivazione” e “Psicologia dello sviluppo morale”. È anche ricercatrice presso l’ITCI (Istituto di Terapia Cognitivo-Interpersonale)