La città non può essere percepita soltanto come un accumulo di manufatti che servono alla vita quotidiana dei cittadini, ma è portatrice, nel suo insieme, di valori di convivenza e di aspettative: ad essi occorre riferirsi per introdurre modifiche relative al modo di occupare gli spazi e di stabilire diverse gerarchie per migliorare sensibilmente l’habitat di vita.
D’altra parte, la presa di coscienza della finitezza delle città e la necessità di ricostruire un canale di comunicazione tra città e campagna danno il via ad una vera e propria trasformazione urbana, diretta a migliorare la qualità della vita e a coltivare una rete di relazioni per favorire lo scambio di competenze, idee ed esperienze da mettere al servizio della comunità. Riconfigurare la città significa affrontare, così, le problematiche produttive del suolo agricolo, dai profili della (in)sicurezza alimentare ai cambiamenti climatici, dalla riduzione di ambienti degradati alla sperimentazione di tecnologie finalizzate al risparmio energetico.
La rivoluzione urbana imbocca la strada della creatività, nella consapevolezza che sebbene tutte le operazioni indicate siano tali da produrre numerosi inconvenienti, sia sempre la città a costituire il banco di prova di sistemi sociali innovativi. I vantaggi sono molteplici, garantiti ed immediatamente visibili non solo in termini di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, assorbimento dei rumori, delle polveri sottili, dell’acqua piovana ma anche in termini di fruizione maggiore del paesaggio.
Tali iniziative, d’altra parte, assolvono un ruolo fondamentale nel riconoscere un diverso valore alle periferie, disegnate solitamente come squallide aree prive di servizi. Chi vive nelle periferie, infatti, sente il bisogno di vedersi riconosciuti specifici diritti da esercitare liberamente per difendere e riqualificare l’ambiente in cui vive, attraverso la cura di aree verdi, l’utilizzo di aree pubbliche abbandonate, la creazione di spazi ricreativi da condividere con i vicini.
L’obiettivo ricercato è, dunque, quello di rigenerare lo spazio urbano per recuperare un’autentica dimensione di benessere, intervenendo attraverso attività di demolizione, recupero di edifici degradati, restauro di complessi edilizi non più utilizzati, al fine di affermare un diverso disegno della città. Dal riciclo degli spazi ne discende, tra l’altro, l’obiettivo di ridurre al minimo l’uso di terreno agricolo, avanzando soluzioni di integrazione funzionale nelle trame del contesto urbano con il contributo di iniziative economiche che dipendono dalla prossimità.
Sotto questo profilo, l’agricoltura si fa interprete di bisogni ulteriori rispetto a quelli tradizionalmente legati all’alimentazione, offrendo numerosi servizi a garanzia dell’inclusione sociale che vanno ben oltre il conseguimento di un mero ritorno economico ma che sono incentrati sulla cura della persona, con l’effetto di rinsaldare il legame tra città e campagna (si pensi agli agriasilo, alle fattorie didattiche, agli agriospizi, alle fattorie sociali, ecc.).
Certo, occorre prendere atto che la sensibilità riguardo alla serie delle funzioni di interesse collettivo che l’agricoltura sembra in grado di svolgere verso la società sia un fenomeno del tutto recente, essendo rimasta a lungo prevalente la domanda di alimenti, in aree espressamente ritagliate a tale funzione rimaste esterne ad una logica di integrazione.
Solo più tardi, sotto la spinta dell’intensificazione dei processi produttivi e degli effetti provocati sull’ambiente e la salute da uno sviluppo insensato e privo di limiti, si comincia a guardare all’agricoltura per i servizi che può offrire alla collettività attraverso l’azione di presidio del territorio e di conservazione delle risorse e ciò porta ad un ripensamento degli strumenti di sostegno ad un modello sostenibile e multifunzionale che apre un intenso dibattito con riflessi anche sul terreno della elaborazione urbanistica.
Si ritiene, in questo senso, ancora possibile stabilire salde relazioni tra strutture artificiali e comunità, far rivivere qualcosa di collettivo, immaginare complessi residenziali e centri commerciali, poli tecnologici e zone industriali come luoghi dove recuperare emozioni uguali a quelle suscitate dalla qualità degli ampi territori naturali esterni all’urbanizzato, se assumiamo di non concepirli più solo come spazi funzionali o manufatti destinati a rendere il massimo utile economico, ma aree in cui innestare anche esperienze verdi di contaminazione con attività più tradizionali legate alle pratiche agricole (la recente collocazione di alcuni alveari sui tetti del palazzo pontificio è un esempio emblematico).
Il punto di partenza per ricucire lo strappo tra città e campagna resta, comunque, quello di ricucire il territorio attraverso il rammendo delle periferie che rappresentano, «la città del futuro, non fotogeniche, d’accordo, anzi spesso un deserto o un dormitorio, ma ricche di umanità» e di occasioni imperdibili per scoprire una gioventù vivace dalle idee bellissime [Piano 2014].
Le città devono essere ripensate a misura d’uomo e non a misura di automobile, per offrire alle persone effettive occasioni di vivere l’ambiente con maggiore consapevolezza e rispetto. In questa chiave, vanno lette le iniziative locali promosse per orientare i cittadini verso stili di vita più salubri attraverso l’adozione di specifici programmi alimentari e sportivi, con l’obiettivo di moltiplicare gli spazi comuni e i momenti di convivialità responsabile.
Occorre prendere atto che il metabolismo urbano non è meno dannoso dell’obesità per gli sprechi ed i rifiuti che si producono in città, con perdite evidenti di risorse preziose destinate ad esaurirsi. Interessante appare, quindi, osservare come possa essere curato, al pari delle degenerazioni dell’organismo, passando attraverso una nuova idea di agricoltura, non più vissuta come entità distaccata e lontana dalla città, ma come completamento necessario della stessa.
Si parla, in proposito, di agricoltura urbana per indicare un’attività che si svolge in un contesto artificiale, nella consapevolezza che possa offrire l’occasione per riappropriarsi della città in modo creativo e propositivo, condividendo idee originali che nascono dalla necessità di fornire soluzioni utili ai problemi che caratterizzano il contesto urbano.
Da qui la proposta di superare la vecchia pianificazione urbanistica per consentire alle città di evolversi e di innovarsi attraverso interventi e programmi volti a favorire il cambio di destinazione dei suoli e l’integrazione dei mestieri nel tessuto economico e sociale di realtà sempre più estese. Le aree metropolitane, infatti, costituiscono il centro propulsore dello sviluppo in cui si raccolgono gli investimenti pubblici e privati, si concentrano i più alti livelli del Pil, si formano, si confrontano e circolano risorse umane, economiche e infrastrutturali.