In Italia, i dati sulla dispersione scolastica, indice sensibile della qualità del sistema scolastico di una nazione, mostrano un generale miglioramento della media nazionale che si attesta intorno al 13%, in sostanziale recupero nei confronti della media Ue, intorno al 10%.
Resta, tuttavia, ancora un divario Nord-Sud che meriterebbe una seria riflessione da parte del sistema scolastico del Paese, sia per quanto riguarda i dati sulla dispersione scolastica, sia per quanto concerne l’offerta formativa di qualità in aree considerate da sempre difficili e trascurate.
Un ulteriore handicap per il Mezzogiorno si registra con i risultati delle prove Invalsi, che raggiungono punte di insufficienza intorno al 40%, soprattutto nelle prove di abilità in matematica e inglese. Le prove standardizzate mostrano che il Trentino è la realtà più avanzata in Italia, con un sistema scolastico in grado di garantire a tutti uguali opportunità di apprendimento, mentre in forte ritardo è ancora la scuola calabrese.
Tutto ciò si sostanzia in un divario di preparazione degli studenti calabresi di circa due anni rispetto ai coetanei del Trentino; ritardo che, ad una prima riflessione, appare dovuto a più di un motivo. I genitori, ad esempio, sembrano interessarsi ai voti più che alla reale formazione dei figli, dimostrando un complessivo disinteressamento ai programmi e alle verifiche oggettive del loro apprendimento. Poi, l’arretratezza delle strutture, l’assenza di servizi di mensa, dei laboratori e delle palestre, ampliano la forbice del ritardo. Sono circa il 50% gli alunni del Nord che usufruiscono della scuola anche nel pomeriggio, mentre nel Sud solo nell’11% dei casi si ha la possibilità di una scuola a tempo pieno. Professori demotivati e contesti sociali poco stimolanti culturalmente, spesso, fanno il resto.
Il risultato è ‒ come spiega Roberto Ricci, dirigente di ricerca e responsabile Area prove Invalsi ‒ che la differenza tra gli studenti del Nord e quelli del Sud nell’interpretare un testo scritto, nel risolvere un problema logico-matematico e nel comprendere la lingua inglese è minima nel momento in cui si accede alla scuola primaria e massima alla fine delle scuole superiori.
Una ulteriore analisi riguarda la polarizzazione della qualità dell’istruzione al Sud. C’è una tendenza a concentrare in alcuni Istituti un miglior insegnamento e migliori servizi aggiuntivi a discapito di altri. Inoltre, la maggior parte dei giovani insegnanti proviene dal Sud ma, dopo la laurea, si trasferisce al Nord, dove si riscontra una maggiore carenza di docenti, come risulta da un dossier Cnr sui docenti migranti. In tal modo, al Sud resta una classe di docenti più anziana, con minori competenze digitali, poco motivata dal contesto e costretta ad operare in strutture vecchie e insicure.
Servono, dunque, fondi per riequilibrare il divario del sistema scolastico tra le diverse aree del Paese; fondi che il Miur, in questi anni, ha stanziato per l’edilizia e il Piano scuola digitale. Vero è che, per rendere operativi nel tempo tali fondi, è necessario coinvolgere i territori, i comuni e le famiglie e insieme, occorre un piano di interventi organici generali da parte dello Stato che riequilibri le condizioni di investimento infrastrutturale nel Mezzogiorno.
Ma anche la situazione del sistema educativo e culturale italiano, in generale, mostra alcuni limiti se raffrontata con quella europea; basta incrociare i dati Invalsi con i dati Ocse sull’analfabetismo funzionale e l’intero Sistema Paese ne esce in difficoltà. In Italia, medie che superano ormai il 40% di analfabetismo funzionale (contro il 7,5% della Svezia) indicano cittadini con difficoltà di interpretazione di un testo e abilità ridotte nel far di conto, incapaci di veicolare e interpretare l’informazione sempre più sotto il controllo circolare da parte dei detentori di dati.
L’informazione si riduce spesso a semplice “comunicazione”, per di più, spesso, distorta e incontrollabile. Nel quadro di quella che Mario Caligiuri, docente di pedagogia della comunicazione all’Unical, chiama “Società della disinformazione”, si realizza una cesoia tra coloro che sono consapevoli della necessità di dotarsi di strumenti necessari al controllo e alla verifica dell’informazione e coloro che ne rimangono tagliati fuori. In questo limbo, dunque, si crea un forte disagio sociale che si cumula con il disagio digitale che sta segmentando la popolazione tra fruitori digitali e analfabeti digitali, governati entrambi da algoritmi che gestiscono la spesa e indirizzano sempre più le decisioni di consumo.
Ancora una volta è la scuola che, con la sua funzione di formazione ed educazione, dovrebbe essere l’antidoto alla disinformazione e al declino cognitivo della società, strumento di capacità utili e necessarie non solo all’economia ma anche e soprattutto alla gestione del pensiero delle nuove generazioni che dovranno reggere le sorti della nazione.
Heidegger diceva che la conseguenza di non coltivare la parola porta a un mondo sempre più stupido e povero; oggi, dovremmo aggiungere anche più incontrollabile e manipolabile.
Roberto Bevacqua è co-direttore di Eurispes Calabria