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Spreco di cibo nel mondo: nel secchio un terzo di quello prodotto

di
Alfonso Lo Sardo

I dati choc dello spreco alimentare. Un terzo del cibo prodotto sul pianeta, viene sprecato senza neanche arrivare a tavola. Con il cibo che finisce tra i rifiuti, si potrebbero sfamare 200 milioni di persone.

«Siamo in sei miliardi su questo pianeta e produciamo cibo per dodici miliardi di persone. Ogni giorno solo in Italia vengono buttate più di 4000 tonnellate di cibo, in Europa 50.000. Questo mentre 17.000 bambini muoiono ogni giorno di fame. Insostenibile è dire poco». A lanciare il grido indignato e documentato è Carlo Petrini, fondatore del Movimento internazionale Slow Food a proposito della questione irrisolta dello spreco di cibo nel mondo.
Si fa un gran parlare, soprattutto in certi periodi dell’anno, dello spreco alimentare, ma sono in pochi a conoscere la reale portata di questo triste fenomeno contro il quale non sono ancora state adottate le necessarie contromisure. Ma cosa si intende esattamente per “spreco alimentare”? Lo spreco alimentare è quella parte di cibo che viene acquistata ma non consumata e che, di conseguenza, finisce tra i rifiuti.
Ma per spreco alimentare si considera anche la perdita di cibo ancora buono per essere consumato dall’uomo e che interessa la catena di produzione e di consumo. Secondo una stima generale, per approssimazione, si spreca circa un terzo di tutto il cibo prodotto sul pianeta. Un fenomeno che riguarda le diverse fasi, dalla produzione agricola alla lavorazione del prodotto, sino alla vendita e alla conservazione degli alimenti.
Un dato su tutti, solo per capire di cosa stiamo parlando: gli Stati Uniti, da soli, sprecano 46 milioni di tonnellate di cibo l’anno. Il dato mondiale si attesta su un terzo del cibo (1,3 mld di tonnellate) sprecato senza neanche arrivare a tavola. Secondo le stime del WWF, la percentuale globale dello spreco é pari a circa quattro volte la quantità di cibo necessaria a sfamare 800 milioni di persone denutrite. I dati della FAO dicono che in Europa, con il cibo che viene buttato, si potrebbero sfamare 200 milioni di persone. Numeri allarmanti, soprattutto se si considerano i decessi per denutrizione che si registrano nei paesi sottosviluppati. Percentuali negative contro le quali alcuni paesi stanno lottando e, tra questi, alcuni stanno ottenendo grandi successi come il Sudafrica, la Francia e l’Australia, secondo quanto sancito dalla classifica del Food Sustainability Index, l’indice che analizza le performance di 67 paesi in base alla sostenibilità del loro sistema alimentare e al reddito.

La classifica Sustainability Index
I paesi presi in esame dall’Index rappresentano il 90% del Pil globale ma anche i quattro quinti della popolazione mondiale. Ebbene, l’edizione del 2018 ha riconosciuto la Francia prima della classifica nei tre pilastri della sostenibilità alimentare ossia spreco di cibo, agricoltura sostenibile e sfide nutrizionali. La Francia, nella fattispecie, é quella che ha adottato le migliori pratiche per la riduzione dello spreco di cibo, sia a livello industriale sia a livello domestico. Tra le misure adottate, la normativa che impone ai supermercati di redistribuire agli enti di beneficienza che operano nelle comunità limitrofe il cibo avanzato o in scadenza, ma anche la costruzione di infrastrutture in grado di ridurre le perdite lungo la catena di distribuzione. L’Italia si colloca al nono posto e questo per merito di una legge approvata nel 2016 e che punta a incentivare le aziende e i produttori che donano cibo ai soggetti più bisognosi; ma rimane molto da fare sul terreno della conservazione dei cibi e sulle pratiche capaci di ridurre gli sprechi lungo i percorsi della distribuzione.
Alte le percentuali italiane per quanto riguarda gli sprechi domestici di cibo, indizio di una scarsa attenzione e di una bassa sensibilità nei confronti dello spreco. Il consumatore di cibo italiano arriva a gettare una media di 110,5 kg di cibo all’anno. Analisti ed esperti della materia concordano comunque sulla necessità di intervenire sul fronte della informazione e della sensibilizzazione degli utenti.

Le conseguenze dello spreco alimentare sull’ambiente
Va anche considerato che lo spreco di cibo incide e in modo funesto sull’ambiente: l’impronta di carbonio dei rifiuti alimentari é infatti pari a 3,3 giga tonnellate di gas serra, ossia un terzo delle emissioni annuali derivanti dai carburanti fossili. Ma c’è di più: il gas metano prodotto dal cibo che finisce in discarica é 21 volte più dannoso dell’anidride carbonica. In termini di impatto ambientale, le perdite di cibo e lo spreco alimentare, in generale, costituiscono un grandissimo spreco di risorse usate per la produzione, come l’acqua, l’energia, la terra. Produrre cibo che non verrà consumato vuol dire sprecare beni primari.
In realtà, esistono diverse possibilità per una progressiva e sostanziale riduzione dello spreco alimentare: si tratta di quei miglioramenti necessari per l’intera catena di produzione e di consumo del cibo, ma anche degli investimenti in infrastrutture per la conservazione dei prodotti successiva alla raccolta, oltre che dell’incremento della conoscenza da parte dei consumatori, attraverso campagne di informazione sulle tecniche e sui comportamenti da adottare.

Le perdite e gli sprechi di cibo avvengono a diversi livelli della catena di approvvigionamento alimentare, nelle tre fasi principali: fase produttiva, fase distributiva, fase del consumo degli alimenti. Nella prima fase, ossia durante la coltivazione o l’allevamento, la raccolta e il trattamento della materia prima, lo spreco maggiore si realizza a causa delle scarse competenze nella gestione dei terreni agricoli, ma anche per la mancanza di infrastrutture elettriche e idriche idonee, senza considerare i problemi di stoccaggio e trasporto delle merci. Nella fase di distribuzione, gli sprechi più rilevanti si generano essenzialmente durante la fase di lavorazione industriale nella quale, per esigenze di marketing non appropriate, vengono scartati i prodotti che da un punto di vista estetico lasciano a desiderare. Nella fase del consumo, si hanno gli sprechi più significativi che consistono nelle cattive abitudini di spesa di milioni di persone, nella inosservanza delle indicazioni sull’etichetta per una buona conservazione degli alimenti, nelle date di scadenza troppo rigide, nella tendenza a servire porzioni di cibo troppo abbondanti, nelle promozioni che spingono i consumatori ad acquistare più cibo di quanto in realtà sia loro necessario. Quali sono le soluzioni? Esistono e riguardano vari aspetti del fenomeno. Sicuramente il sostegno alle organizzazioni che si occupano del recupero dei prodotti alimentari non più vendibili ma ancora commestibili, ma anche un miglioramento delle tecniche di raccolta e di conservazione dei prodotti da parte della aziende, una migliore educazione del consumatore.
In questa prospettiva assumono grande importanza alcune buone abitudini: fare la lista della spesa e comprare solo ciò che serve, preferire i produttori locali, scegliere prodotti di stagione, imparare l’arte della cucina di recupero con l’utilizzo di avanzi, non servire porzioni eccessive. È del tutto evidente che il contrasto allo spreco alimentare esige un impegno su diversi fronti e di diverse istituzioni, oltre ad un comportamento diverso e più rispettoso da parte dell’utente finale. Nonostante una maggiore consapevolezza, infatti, i numeri rimangono preoccupanti: per l’Onu – che ha indicato la prospettiva di un dimezzamento dello spreco alimentare entro il 2030 – ogni anno nel mondo si buttano via circa 1,6 miliardi di tonnellate di cibo, per un valore di 1200 miliardi di dollari. Un terzo della produzione globale.

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