«Nel contesto dello sviluppo globale e dei cambiamenti strutturali, una presenza statale direttamente impegnata nella produzione di beni e servizi, avrebbe senso solo se promuovesse la costruzione di nuove opportunità di profitto e di crescita, sulla base di un diverso equilibrio tra consumi pubblici e quelli privati. Tra la quantità e la qualità dello sviluppo. Tra esclusione e inclusione sociale sia nei processi produttivi sia nella vita comunitaria. Tra flessibilità e precarietà strutturale. Tra valorizzazione e dissipazione del capitale umano, soprattutto di quello giovanile. Da queste scelte dipende non solo il futuro dell’economia ma anche della tenuta stessa dei sistemi democratici». Riflette così il Presidente dell’Eurispes, nel suo nuovo libro L’Italia del “Nì” (Minerva Edizioni), sulla necessità dello Stato di riappropriarsi del suo ruolo, anche all’interno del mercato, ripensandolo, ad esempio, attraverso l’attivazione di forme originali di partenariato pubblico/privato per sostenere la crescita del Paese.
Lo Stato non può limitarsi all’esercizio di un ruolo esterno di vigile del mercato. Le sfide dei cambiamenti strutturali in atto impongono che lo Stato eserciti e qualifichi al massimo il ruolo – che peraltro già svolge – di attore protagonista dentro il sistema di mercato, per affermare al meglio il valore dei beni e dei servizi che produce direttamente, per operare a tutela degli asset strategici del nostro sistema, per promuovere la crescita dei cosiddetti “beni comuni”, appartenenti agli individui e alle comunità, il cui valore è sempre più riconosciuto dagli organismi internazionali, a cominciare dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite che anche l’Italia ha approvato e si è impegnata a realizzare. Certo, agendo direttamente sul mercato, lo Stato può fare senz’altro concorrenza agli operatori privati, ma anche promuovere con essi originali forme di collaborazione, creando condizioni nuove e favorevoli per la stessa formazione del profitto e degli investimenti privati. Nel passato – è un richiamo inevitabile – lo Stato italiano è già intervenuto direttamente nel mercato con il sistema delle partecipazioni statali, che, per quanto criticato, è stato indubbiamente alla base del processo di modernizzazione del Paese. Ma attualmente, nel contesto dello sviluppo globale e dei cambiamenti strutturali, una presenza statale direttamente impegnata nella produzione di beni e servizi, avrebbe senso solo se promuovesse la costruzione di nuove opportunità di profitto e di crescita, sulla base di un diverso equilibrio tra consumi pubblici e quelli privati. Tra la quantità e la qualità dello sviluppo. Tra esclusione e inclusione sociale sia nei processi produttivi sia nella vita comunitaria. Tra flessibilità e precarietà strutturale. Tra valorizzazione e dissipazione del capitale umano, soprattutto di quello giovanile. Da queste scelte dipende non solo il futuro dell’economia ma anche della tenuta stessa dei sistemi democratici. La crisi economica ha prodotto, insieme all’impoverimento di ampie fasce sociali, la progressiva delegittimazione della politica e quindi delle Istituzioni considerate ormai inadeguate a comprendere e a gestire la complessità e i percorsi dei cambiamenti epocali. Piaccia o non piaccia, in una democrazia la politica e, quindi, lo Stato e le sue Istituzioni, devono funzionare come “stanze di regolazione” tra gli interessi della finanza e del mercato e i bisogni e le attese del corpo sociale. La politica e le Istituzioni torneranno a essere credibili quando sapranno dimostrare di essere in grado di governare i processi piuttosto che di esserne governati. (aforisma 42, 2017)