Tutti a casa. La sfida della didattica a distanza in un Paese in affanno

La necessità di ricorrere alla didattica a distanza, come conseguenza della chiusura delle scuole dovuta all’attuale emergenza sanitaria per il Coronavirus, ha colto in buona parte impreparato – e senza direttive dettagliate ed univoche – un sistema scolastico solo in parte abituato all’utilizzo delle tecnologie di supporto. 8 milioni e mezzo di studenti ed 800.000 insegnanti si sono trovati ad affrontare per la prima volta modalità di studio ed insegnamento interamente basate sugli strumenti informatici. Per l’82% degli Istituti si è trattata della primissima esperienza di lezioni online (i dati sono stati appena rilevati dal Miur).
La recente indagine dell’Osservatorio Scuola a Distanza di Skuola.net sostiene che la didattica a distanza, con il passare dei giorni dalla chiusura delle scuole, sta entrando a regime. Quasi 9 studenti su 10 stanno usufruendo dello smart learning. 7 genitori su 10 si dicono impegnati a sostegno dello studio dei propri figli. Maggiori difficoltà si riscontrano per le verifiche: solo in un caso su quattro si sono svolte interrogazioni o compiti in classe. La partecipazione ad attività didattiche a distanza risulta più elevata nei corsi superiori: nelle scuole secondarie di primo grado raggiunge il 77%, in quelle di secondo grado, nell’ultimo triennio, il 90%.
Tuttavia, l’attivazione di modalità di didattica a distanza non sempre equivale ad un percorso di insegnamento ed apprendimento assimilabile, per qualità, completezza ed efficacia, a quello classico. Si osserva un andamento a “macchia di leopardo”, con aree geografiche e singoli alunni in difficoltà. Tutto ciò dipende dalla dotazione digitale delle famiglie, dalla diffusione e dalla velocità della Rete sul territorio, dalle iniziative delle singole scuole e dei singoli insegnanti, dalla possibilità dei genitori di seguire i figli (alcuni continuano a lavorare!).
Le lezioni interattive con video conferenza, attraverso strumenti più evoluti (Microsoft Teams, G Suite, ecc.), sono più diffuse al Nord (che si è confrontato prima con la chiusura delle scuole), mentre al Centro e, ancor più, al Sud, più spesso ci si affida al già collaudato registro elettronico, ad email e chat. In pratica, semplice assegnazione di compiti. Il Ministero dell’Istruzione ha recentemente sollecitato i docenti a non limitarsi ad impartire compiti, ma procedere anche a verifiche con l’attribuzione di voti, affinché l’anno scolastico sia valido non solo formalmente ma anche nella sostanza. Ciò anche in vista del sempre più probabile prolungamento della chiusura delle scuole, che apre alla concreta possibilità che non si torni in aula prima della fine dell’anno scolastico a giugno.
Occorre trovare un equilibrio che eviti un sovraccarico di lavoro per il corpo docente, ma anche una presenza non eccessiva davanti al video per bambini e ragazzi.
Alcune difficoltà nascono anche dalla mancanza di uniformità nella gestione della didattica da remoto da parte dei diversi insegnanti. Non pochi alunni riferiscono un’esperienza problematica, sia per la comprensione delle dinamiche, sia per la dotazione, in alcuni casi non adeguata, degli strumenti necessari (connessione, pc, ecc.). Rimane poi l’impossibilità di svolgere lavori pratici e laboratoriali, soprattutto per chi frequenta istituti tecnici e professionali, licei artistici e musicali. Per quanto riguarda gli esami di maturità, sta inevitabilmente maturando la scelta di semplificarne la struttura in questa contingenza straordinaria.

Una recentissima nota del Ministero annuncia uno stanziamento di 5 milioni di euro per la formazione degli insegnanti e di 10.000 euro per scuola da destinare alla dotazione tecnologica (in comodato d’uso gratuito) degli studenti in condizioni economiche sfavorevoli. È stato inoltre istituito un Fondo per le esigenze emergenziali delle università e degli enti di ricerca, così da rafforzare le attività formative a distanza.
Le scuole italiane non possono essere definite Hi-tech, per un ritardo che caratterizza più in generale l’informatizzazione del nostro Paese, da sempre in ritardo rispetto ai principali paesi occidentali. Connessioni Wi-Fi insoddisfacenti; parco Pc e tablet insufficiente e, spesso, vetusto; laboratori informatici addirittura assenti o poco organizzati. L’utilizzo di queste tecnologie, soprattutto in alcune aree territoriali, è ancora sporadico. La collocazione delle postazioni informatiche nelle classi risulta poco frequente.
È inevitabile che queste debolezze preesistenti si ripercuotano sulla gestione della didattica nell’emergenza attuale, a partire da una impreparazione rispetto alla gestione della didattica da remoto, che rende quanto mai necessario il coordinamento all’interno dei singoli Istituti – coordinamento che, per ora, è spesso carente, contribuendo alla demotivazione ed all’isolamento di troppi alunni.
In questi giorni stanno prendendo piede iniziative di solidarietà a supporto dell’e-learning. Il gruppo Mondadori e Rizzoli ha messo a disposizione tutti i propri contenuti digitali. Le risorse multimediali sono state organizzate per agevolare il lavoro dei docenti, già suddivise per ordini scolastici e per materia, e comprendono anche lesson plan su argomenti specifici.
Sarebbe opportuno che queste iniziative divenissero prassi generale – basti pensare che i testi scolastici sono rimasti in buona parte nelle scuole e la loro versione online necessita lo sblocco da parte delle case editrici per essere consultabile online.

La didattica, dopo questa esperienza, non potrà non mutare per sempre, accogliendo stabilmente i contenuti digitali e l’approccio multimediale ad integrazione dei metodi tradizionali.
Perché la didattica a distanza si svolga in modo realmente proficuo, per un periodo che, ormai è purtroppo chiaro, non sarà breve, è d’altra parte irrinunciabile una piena collaborazione tra insegnanti, alunni e genitori. È indispensabile che venga stipulato un patto che garantisca fiducia e motivazione da ogni parte.
In questo senso torna quanto mai attuale la riflessione sul ruolo del sistema scolastico nella società italiana, ruolo troppe volte messo in discussione, talvolta anche nel modo più violento. Nel nuovo Millennio, molto più che nella seconda metà del Novecento, il tema sembra dividere.
C’è chi ancora crede nel valore fondamentale di una buona educazione e di una buona istruzione, ma esiste anche la schiera dei disillusi che ha perso la speranza nel valore formativo della scuola, nella sua capacità di far germogliare e curare i talenti e di prestare attenzione alle particolari necessità e ai bisogni specifici di tutti e di ciascuno.
Ormai da anni, da più parti proviene un certo tipo di critica, che accusa il nostro sistema di istruzione di essersi trasformato in un dispenser di nozioni, informazioni e dati, un arido canale trasmissivo privato della possibilità di far nascere e coltivare il pensiero critico nei giovani, di stimolare la riflessione, di fornire gli strumenti per affinare la propria capacità di giudizio. Molti, al contrario, sostengono ancora strenuamente l’idea che, laddove esistono persone capaci di coltivare la relazione con gli altri, con i propri studenti, la didattica non sarà mai un semplice contenitore di sterili concetti da veicolare, ma che la scuola rimarrà fonte di conoscenza, nel senso più alto del termine.

L’instabilità della situazione politica nel nostro Paese, il frequente avvicendarsi dei Ministri nel Dicastero di Viale Trastevere, le ampie riforme della Scuola e dell’Università degli ultimi anni che hanno scontentato moltissimi italiani, le riforme vagheggiate e non realizzate ‒ che avrebbero dovuto porre rimedio a provvedimenti legislativi di riforma assai sgraditi ‒ gli investimenti e le risorse di anno in anno più esigui destinati alla scuola e al mondo della ricerca e l’insieme di conseguenze e di dinamiche connesse ad una situazione di questo genere, non hanno certo favorito il riaccendersi della speranza, né hanno potuto alimentare la percezione di rinascita di un comparto essenziale della Pubblica amministrazione, che da molte parti è avvertito, invece, come vittima di uno smantellamento deliberato e sistematico.

L’ipotesi del divorzio tra istruzione ed educazione sembra essere avvalorata anche da una recente indagine realizzata dall’Eurispes su questi temi. Solo una piccola percentuale dei cittadini italiani intervistati ha indicato la scuola come elemento fondamentale per la propria educazione.
Interrogati su quali siano state le persone, le realtà sociali o aggregative o le passioni ed interessi che maggiormente hanno influito sulla loro educazione, gli italiani hanno attribuito un peso fondamentale in primo luogo alla famiglia (47% del campione). Le esperienze personali hanno giocato un ruolo fondamentale per il 16,9% degli intervistati, mentre per il 7,2% la lettura e gli approfondimenti sono stati altamente formativi. Il 6,6% ritiene che gli amici abbiano rivestito un’importanza essenziale, mentre il 6,5% del campione attribuisce alla scuola una rilevanza di primo piano. Il 3,7% riconosce nella frequentazione della chiesa o della parrocchia un’importanza basilare nel proprio percorso di vita. La famiglia rappresenta, come è fisiologico che sia, il nucleo di solidarietà fondamentale all’interno del quale gli individui imparano e coltivano il sistema di valori fondante la propria vita; eppure, un tempo la scuola svolgeva un ruolo se non altrettanto strategico, quantomeno di grandissima rilevanza, che oggi, nel senso comune, sembra purtroppo ormai essersi perso.
La maggioranza degli italiani si trova abbastanza (35,4%) o molto (17%) d’accordo sul fatto che si debba estendere l’obbligo scolastico fino alle scuole medie superiori, mentre – rispettivamente – il 31% e il 16,6% degli intervistati condividono “poco” o “per niente” tale opinione.
Meno della metà degli italiani è molto (10,6%) o abbastanza d’accordo (37,6%) sul fatto che sia opportuno introdurre nel sistema scolastico un criterio meritocratico, che consenta una migliore retribuzione per gli insegnanti più bravi e preparati, soluzione che convince – al contrario – “poco” o “per niente” il 27,5% e il 24,3% degli intervistati.
Solo l’8,8% degli intervistati ritiene sia un’ottima idea il prolungamento dell’anno scolastico fino a luglio, il 24,1% ritiene sia una proposta “abbastanza” valida, mentre la maggioranza delle persone non valuta con favore un’idea di questo genere: il 33,7% si dichiara “poco” e il 33,4% “per niente favorevole”.
Per ciò che concerne l’eventualità della riduzione del numero delle Università presenti in Italia, la maggioranza dei cittadini si dichiara o contraria (34,9%), o comunque poco favorevole (31,8%), ma circa un quarto degli intervistati (24,5%) è abbastanza d’accordo e l’8,8% accetta l’idea con pieno favore.
L’insieme dei dati, benché racconti posizioni differenti nella popolazione italiana, evidenzia anche una frequente sfiducia nei confronti del ruolo della scuola e degli insegnanti.
La presenza di questi atteggiamenti, talvolta esasperati, emerge anche nell’esperienza quotidiana.

Il Global Teacher Status Index 2018 della Varkei Foundation, che indaga la percezione del ruolo degli insegnanti nella società in 35 paesi, vede l’Italia solo al trentatreesimo posto (l’ultimo tra i paesi europei partecipanti) ed in netta discesa rispetto alla medesima rilevazione svolta nel 2013.
La cronaca degli ultimi anni riporta, sempre più spesso, notizie relative al maltrattamento degli insegnanti, tanto da parte degli alunni, quanto da parte dei genitori. Aggressioni violente, minacce, insulti. Si è, evidentemente, consumata una frattura nel rapporto di fiducia tra gli studenti, le loro famiglie e il corpo insegnante. Senza un patto di assunzione di responsabilità condivisa, indispensabile all’educazione dei bambini e dei ragazzi, sono inevitabili il disorientamento degli alunni, privati della figura del docente quale riferimento saldo ed autorevole, la demotivazione degli insegnanti, che vedono svilito il proprio ruolo sociale, il disagio dei genitori, che si rapportano con figure educative di cui sono state messe in discussione le prerogative. La conflittualità ha troppo spesso generato nel nostro sistema scolastico fazioni contrapposte incapaci di agire in sinergia nell’interesse dei giovani, con il risultato, al contrario, di comprometterne la disposizione all’apprendimento ed alla crescita personale.
La delegittimazione dell’istituzione scolastica e del ruolo dell’insegnante non può che precludere ai più giovani la concreta possibilità di fruire in modo proficuo del proprio percorso educativo.
Oggi, nel corso di una emergenza che richiede nuove forme di organizzazione ed adattamento, come domani, quando bisognerà fare un bilancio e, possibilmente, trarre insegnamento per il futuro anche in questo settore, la formazione delle nuove generazioni continua ad essere una delle sfide più importanti per il nostro Paese.

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