La democrazia non si trova in natura: è un prodotto artificiale, frutto della ragione e del desiderio di libertà. Se non è curata, alimentata e potenziata, appare inevitabile la sua crisi di fronte all’apparente maggior efficacia del dispotismo». Così Luciano Violante nel suo libro dal titolo Democrazie senza memoria (Giulio Einaudi editore) in cui affronta con lucidità e disincanto la crisi dell’istituto democratico in un’epoca di grandi trasformazioni e lancia il suo appello: «È necessaria la memoria della democrazia, delle sconfitte e delle sue vittorie, dei suoi valori e delle sue difficoltà. Ed è necessario che questa memoria passi di generazione in generazione, altrimenti si resta prigionieri dei pregiudizi».
L’autore ci conduce in un viaggio affascinante nei meccanismi della democrazia, nelle sue trasformazioni odierne, paventando quello che non è più un rischio lontano ma molto vicino: l’avvento di regimi autoritari – spesso solo apparentemente democratici – persino nei paesi di lunga tradizione democratica. Stiamo vivendo un cambiamento epocale, segnato dalla crescita della globalizzazione e dalla digitalizzazione: crescono le diseguaglianze, le grandi migrazioni hanno messo in crisi il senso d’identità di milioni di persone, la sfiducia nelle élites esperte anima populismi e nazionalismi etnici. È necessaria una nuova cultura politica per sostenere la democrazia. Occorre dunque la memoria, occorre ricordare perché la democrazia è un prodotto della volontà degli uomini. Ed è necessario che, in Italia e in molti altri paesi occidentali, i partiti tornino alla società, si occupino della formazione delle classi dirigenti, costruiscano comunità politiche, difendano il primato della ragione.
Le democrazie hanno bisogno di luce: la democrazia muore nel buio, e a dirlo fu Bob Woodward, scopritore insieme a Carl Bernstein, dello scandalo Watergate che costrinse alle dimissioni il presidente Nixon. La libertà di stampa è connaturata con l’idea stessa di democrazia, con il suo pluralismo e con il rispetto dell’altro. Occorre poi far cadere il luogo comune per il quale la democrazia è la forma di governo più diffusa: oggi, secondo il Centro studi Freedom House, soltanto il 40% della popolazione mondiale vive in regimi stabilmente democratici, il 24% risiede in regimi semidemocratici, il 36% in regimi per nulla democratici. C’è in atto una crisi. Vengono messi in discussione la validità e la stessa efficacia dei princìpi democratici che avevano garantito pace, pluralismo, libertà di parola e di opinione, benessere diffuso.
I fattori che portarono al primato della democrazia si sono rovesciati nel loro contrario. La caduta del muro di Berlino ha avviato il crollo del muro sovietico; conseguentemente la democrazia occidentale si è rivestita dei propri allori e ha considerato se stessa come una ineluttabile certezza. Il capitalismo aveva segnato la più importante delle sue vittorie e l’intreccio fra capitalismo e democrazia appariva l’unico futuro auspicabile per l’umanità. E solo un Stato effettivamente democratico può garantire un’armonia tra crescita capitalistica ed equità sociale: il capitalismo senza regole svuota la democrazia.
Ma, presto, il mercato e il capitalismo sono divenuti globali, mentre la democrazia è rimasta locale. Le generazioni successive alla Guerra fredda sono cresciute in tempi pienamente democratici, certe della insostituibilità della democrazia, ignorando le fatiche della sua costruzione e della sua manutenzione. È progressivamente venuta meno l’idea che i cittadini abbiano una propria specifica responsabilità nella costruzione e nel consolidamento della democrazia. La riduzione della politica a pura tecnica di governo ha prodotto disinteresse per i suoi valori: l’uguaglianza, l’intangibilità dei diritti fondamentali, il merito, la responsabilità per l’esercizio del potere politico. Il conflitto politico è diventato uno scontro diretto a sostituirsi ai governanti o a distruggerne la reputazione. L’importante è vincere, non governare. È il triste spettacolo del teatrino della politica con i suoi attacchi ad personam e gli slogan urlati. E tutto ciò porta il cittadino a ritenere che la democrazia sia questo. Nulla di più sbagliato.
Altro fattore penalizzante, oggi, il fatto che sulla democrazia grava un sovraccarico crescente di domande: eguaglianza sociale, sicurezza, istruzione di massa, assistenza pensionistica e sanitaria, casa, lavoro. Le aspettative aumentano ma le risorse sono esigue e non tutte possono essere accettate. Da qui, la disillusione e la frustrazione. I nemici alle porte della democrazia? I nazionalismi e i populismi, le false notizie e la disinformazione organizzata, l’assenza di divisione dei poteri in uno Stato. Ma, soprattutto, la scarsa memoria sulla immane fatica e sui grandi sacrifici che la conquista della democrazia ha richiesto ai nostri padri.