Autorevolezza, la parola dell’anno secondo Eurispes

A partire da quest’anno il Rapporto Italia pubblicato dall’Eurispes intende contribuire al dibattito sul futuro del Paese con un’importante novità: sintetizzare, con una parola, una sfida che attende ogni cittadino e, in particolare, le classi dirigenti. La parola dell’anno compie una duplice operazione: descrive un tema, identificando un nodo che si è palesato nel corso dei dodici mesi che si hanno alle spalle e prescrive una linea guida per l’azione.

Autorevolezza

È noto che le società occidentali stiano sperimentando un passaggio epocale, la cui piena espressione è ancora lontana dal compiersi.

Ogni corpo sociale – le istituzioni di ogni ordine e grado, le imprese, le organizzazioni sociali – presentano tradizionalmente un’architettura piramidale, che istituisce compiti e ruoli, distribuendo responsabilità e doveri, plasmando le modalità di relazione.

In questi modelli l’autorità è un qualcosa di cui il singolo è investito attraverso un ruolo, e che gli è riconosciuta de facto da tutti i soggetti con i quali questo ruolo intrattiene relazioni.

La svolta culturale dell’era digitale sta mettendo in discussione profonda questo modello: la filosofia e l’etica social, infatti, schiacciano ogni piramide, “appiattendo” il livello di connessione fra ruoli e persone. Nello spazio social siamo tutti simili, se non uguali, seguiamo i medesimi riti, condividiamo gli stessi codici linguistici e simbolici.

Il passaggio da una struttura verticale a una rete orizzontale, è dunque un tratto distintivo della contemporaneità occidentale e si riscontra facilmente in molteplici contesti: da quello familiare, dove il pater familias è chiamato a guadagnare il rispetto che si deve al ruolo, a quello politico, dove l’eletto è chiamato a legittimarsi presso l’elettore secondo forme, tempi e metodi non gerarchici.

Il modello di rete orizzontale si accompagna a quello piramidale, impostando su basi nuove il principio di autorità: da un qualcosa di cui si è investiti, a un qualcosa che si guadagna.

L’autorevolezza è dunque un risultato, legato ad attributi elevati -quali il prestigio, la stima, il credito- che il singolo è chiamato a conquistarsi sul campo, giorno dopo giorno, in uno spazio di relazione orizzontale sovente always on –senza, cioè, interruzione temporale.

2016: la descrizione

Il 2016 è stato l’anno che ha portato a emersione “estrema” la crisi di autorevolezza delle classi dirigenti occidentali: dalla Brexit alle elezioni statunitensi, per finire al più modesto referendum italiano, è facile intravedere un fil rouge di crisi di autorevolezza della classe politica.

I politici sono in buona compagnia: dagli insegnanti alle forze dell’ordine, dai medici pro-vaccini ai giornalisti, sembra che nessuna categoria “alta” della società sia immune da questa crisi di reputazione, credito, stima.

Il tema, come evidente, s’intreccia con il fenomeno della cosiddetta post-verità, ma sarebbe un errore marchiano esaurirlo in essa. Siamo in presenza di qualcosa di ben più strutturale e profondo.

2017: la prescrizione

Il 2017 potrebbe rappresentare l’anno zero della ricostruzione d’autorevolezza nel Paese, laddove ciascuno s’impegnasse nell’opera di (ri)conquista della (ri)legittimazione sociale del ruolo rivestito.

È un compito al quale è chiamato ogni cittadino, non solo le classi dirigenti: dall’autista di mezzi pubblici al professore, dal manager all’amministratore locale, e via dicendo, non vi è chi non sia ricollocato nella nuova dimensione orizzontale, social, delle relazioni. È lì che deve vincere la propria partita.

La crisi di fiducia pervasiva delle società occidentali si combatte con un ritorno all’antico, a riscoprire espressioni morali che, se non dimenticate, non hanno goduto di grande attenzione nel recente passato.

Senso del dovere e buon esempio: espressioni concrete con cui prendere coscienza che ciascun “io” possiede una dimensione “noi” spesso preponderante affinché si sia riconosciuti degni, magari con un semplice like o retweet, del rispetto altrui.

 

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