La prima reazione diffusa dopo il Brexit è stata la negazione, prolungando lo stesso sentimento, prevalente tra molti conoscenti, funzionari delle istituzioni europee e non, con il quale qui a Bruxelles se ne era atteso l’esito.
L’argomento Brexit nel pre-referendum era, se non vero e proprio tabù, da trattare in maniera marginale, proprio per privarlo di legittimità ancor prima di conoscere il risultato del referendum.
Le istituzioni europee e chi le rappresenta non potevano ovviamene contemplare un così brusco distacco da parte di uno degli Stati membri.
Ma c’è dell’altro: ecco che dal 23 giugno riaffiora un sentimento europeo, proprio nel suo centro amministrativo che non ha nomea di essere negli ultimi anni mosso e regolato dalle emozioni, ed alla negazione è subentrato lo smarrimento.
Lo shock è grande per la così detta “generazione Erasmus”, che comprende al suo interno una larga fascia generazionale, essendo l’Erasmus un progetto europeo di mobilità studentesca creato nel 1987.
Londra non sarà più una possibile meta di espatrio, almeno lo sarà in un modo diverso, più difficile per burocrazia e meno probabile, dato il futuro distacco del sistema universitario britannico da quello europeo.
Una generazione privilegiata e mobile che si è scontrata con i sentimenti di rivalsa di un ceto basso medio britannico che la parte del “leave” ha saputo intuire e cavalcare, con un tempismo perfetto.
Altri invece continuano nella negazione, minimizzando gli effetti del Brexit sul futuro dell’Unione, dal punto di vista politico ed economico. Una forma di protezione o semplicemente puro pragmatismo, che per definizione, non va d’accordo con statici sentimentalismi.
Ed è questa in parte anche la posizione dell’Unione e la reazione da parte degli Stati membri dopo lo sgomento iniziale: autocritica e progettazione di quella che molti definiscono come un’opportunità di una nuova spinta per l’Europa, da affrontare con la competenza delle istituzioni europee, ma anche con un sentimento europeista che, a quanto pare, è molto più vivo del previsto, almeno qui a Bruxelles.
La vera sfida per Bruxelles e gli Stati membri (di cui l’Unione stessa segue le direttive e non solo il contrario), sarà ora di convincere i cittadini europei e soprattutto le ultime generazioni, non solo dei vantaggi economici dei singoli, ma di quei valori di pace e solidarietà che hanno ispirato i suoi fondatori, da Schuman a Monnet.
Non a caso Renzi si esprime con parole come “cuore” e “anima” parlando dell’Europa dopo la Brexit all’uscita del Consiglio europeo del 27 giugno.
La storia procede per corsi e ricorsi storici e questo Brexit potrebbe rimanere un episodio epocale ma circoscritto e non il presagio di una tendenza. Ma forse questa è un’analisi che porta a una pericolosa negazione che ne minimizza le cause.
Ora una profonda autoanalisi e una reazione forte e decisa risulta indispensabile per un futuro comune europeo, che ha bisogno di innovazione e nuovi scenari (e già si parla dei beneficiari di questo cambio di prospettiva e delle potenzialità che altre zone europee possano emergere dal punto di vista economico e finanziario come alternative a Londra).
Inizia il lavoro dell’Unione e dei suoi Stati membri per trovare nella Brexit un’occasione di crescita del sentimento europeo grazie ed attraverso un rilancio economico e sociale equamente condiviso.