Un riflessione giuridica sul referendum

Provando a non fare “terrorismo giuridico”, e politico, sulle ipotesi del dopo voto del 4 dicembre prossimo, tento di avventurarmi in una analisi ragionata e “legale” della situazione.

La riforma costituzionale proposta con il Referendum del 4 dicembre è, necessariamente, molto più complessa di quanto indicato negli slogan delle diverse formazioni politiche. Provando a fare una sintesi (personale e quindi soggettiva) delle principali novità che si verrebbero ad introdurre con il “si”, si potrebbero elencare le sottonotate argomentazioni:

  1. modifiche delle competenze degli Enti territoriali/locali (Regioni, Province, città metropolitane e comuni) e, in alcuni casi, loro espressa soppressione. In merito, occorre in particolare ricordare in premessa che nel 2001 una riforma del settore (il Titolo V della Costituzione) ha dato potere legislativo alle Regioni (il riferimento è l’attuale art. 117 della Costituzione): in pratica, fatte salve alcune materie esplicitamente indicate (“riserva di legge” dello Stato), il potere legislativo non è più dello Stato ma delle Regioni, che lo esercitano o in piena potestà (“Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”: un esempio in tal senso è quello della Sanità, che dal 2001 è divenuta una delle maggiori fonti di spesa e dissesto finanziario e di crescita del debito pubblico nazionale), ovvero nella forma della legislazione “concorrente”. Anche in quest’ultimo caso, pur se il nome trae in inganno, la primazia è delle Regioni (“Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata allo Stato”). In questo caso si può rammentare, a titolo di esempio, che costituiscono materia di legislazione concorrente i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni: da qui le Rappresentanze delle regioni all’estero, che hanno costi assimilabili alle Ambasciate ed ai Consolati, ma dei quali si fa, credo, fatica a comprendere l’utilità.

Nel merito, la principale modifica proposta dalla “legge Boschi” è la revisione delle competenze legislative di Stato e Regioni, la soppressione della citata competenza concorrente, cioè della sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni, e l’introduzione di una “clausola di supremazia”, cioè del principio per cui, nei casi d’interesse nazionale, le decisioni dello Stato prevalgono su quelle delle Regioni. In sostanza, aumentano le materie di competenza esclusiva dello Stato, si riduce la competenza delle Regioni e scompare la legislazione concorrente che produceva confusione.

  1. Modifica del Senato e delle relative competenze.

Partiamo dalle competenze: si supera il principio del “bicameralismo perfetto”. Il bicameralismo perfetto è un sistema parlamentare in cui le due Camere hanno gli stessi poteri. Nel sistema italiano tutte le leggi, sia ordinarie sia costituzionali, devono essere approvate dalla Camera dei deputati e dal Senato. Anche la fiducia al governo deve essere concessa sia dai deputati sia dai senatori. Con la riforma, invece, la camera dei deputati diventa l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica assemblea che dovrà accordare la fiducia al governo, approvare le leggi di bilancio e, nella stragrande maggioranza dei casi, le leggi ordinarie. In teoria da ciò dovrebbe derivare che il governo sarà più stabile perché non dovrà chiedere il voto di fiducia a entrambe le  camere e l’approvazione delle leggi sarà più rapida.

Passiamo alla composizione del Senato: esso diventa un organo rappresentativo delle autonomie regionali composto da cento senatori (invece dei 315 attuali), che non saranno eletti direttamente dai cittadini, ma dai consigli regionali e dal Presidente della Repubblica. I senatori  non saranno più pagati dal senato, ma continueranno a percepire solo lo stipendio da amministratori locali, e quelli nominati dal presidente non percepiranno indennità alcuna: in teoria non solo un risparmio, ma anche una razionalizzazione.

La scelta dei nuovi senatori non diverrà perciò arbitraria. Ogni consiglio regionale dovrà eleggere un senatore tra i sindaci dei comuni della regione: ci saranno quindi 21 senatori-sindaci. Gli altri senatori saranno eletti dai consigli regionali tra i loro componenti con metodo proporzionale “in conformità alle scelte espresse dagli elettori” in occasione del rinnovo del consiglio regionale. A ciascuna regione spetterà un numero di seggi in proporzione alla popolazione, secondo l’ultimo censimento generale, ma con un minimo di due. A ciascuna delle province autonome di Trento e Bolzano spettano due senatori: è un sistema simile a quello USA (può essere opinabile, ma con la proporzionalità in rapporto alla popolazione è rispettato il principio della “rappresentatività democratica”).

  1. Soppressione del CNEL: il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) si occupa delle leggi sull’economia e sul lavoro. Ha il compito di fornire dei pareri su questi temi al governo e al parlamento, ma può anche proporre delle leggi. È uno degli “organi di rilievo costituzionale”, cioè un organo previsto dalla costituzione, ma non essenziale al funzionamento dello stato. Per questo può essere abolito da una riforma. La legge Boschi prevede la sua soppressione perché ritiene che i costi del Cnel siano ingiustificati, e la tradizione lo conferma.

In sostanza, comunque, il “fronte del No” asserisce che la riforma è vasta e caotica, sarebbe migliorabile e così com’è avrebbe l’effetto di indebolire alcuni poteri di garanzia, come quello del senato, a favore di un rafforzamento del potere esecutivo.

Personalmente credo che tutto possa essere migliorato, ma che da qualche punto bisogna cominciare.

La riforma proposta sarebbe un buon inizio ed il fatto che conferisca maggiore stabilità e potere al Governo andrebbe considerato come un aspetto positivo. È, infatti , un bene che qualcuno possa prendere delle decisioni (assumendosene le responsabilità) che non siano il frutto di estenuanti compromessi che non conducono mai a benefici e dei quali nessuno ha mai la colpa perché il potere è frammentato in mille rivoli. In linea di massima mi sbilancerei poi nel dire che tutte le democrazie più evolute hanno un centro di potere (e responsabilità) che di norma si incardina o nel Capo dello Stato (es. Francia, USA) o nel Capo del Governo (Germania, Inghilterra), con i rispettivi Parlamenti che svolgono una funzione di rappresentatività, garanzia e controllo.

Non vedo, quindi, possibilità di “golpe”!

Aggiungo, poi, che il testo della legge è stato approvato tre volte da camera e senato (due volte con lo stesso testo) e ora sarà sottoposto alla volontà popolare, su richiesta di cittadini e parlamentari, come previsto dall’articolo 138 della costituzione.. Il procedimento di approvazione della legge è cominciato nell’aprile del 2014 e la riforma – che riguarda più di un terzo degli articoli della costituzione (47 su 135) – è la più vasta, ma non la prima, dal 1948, quando la costituzione italiana è entrata in vigore. Quindi essa risulta, “rebus sic stantibus”, il frutto di un compromesso, nel senso non necessariamente deteriore del termine. 

Un’ultima notazione sui risparmi: le cifre sono contestate ed oggetto di scontro politico.

Inutile entrare nel carosello delle previsioni. Le cifre comunque, questo è certo, variano meno nell’immediato e sempre di più nel prosieguo (cessano progressivamente indennità e vitalizi). Mi pare comunque che dei risparmi comunque ci siano, fermo rimanendo che i veri risparmi si otterrebbero se il sistema statuale funzionasse meglio, e forse così sarà.

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