La scorta: ultima linea di difesa nella lotta alla criminalità

« (…) e sono morti anche gli uomini della scorta». Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta, Domenico Russo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), solo per citarne alcuni. La scorta, una definizione che troppe volte esclude le vite, i nomi, le storie di donne e uomini silenziosi che svolgono nell’ombra uno dei lavori più difficili e rischiosi: proteggere i magistrati che lottano contro la criminalità organizzata. Il nome in rilievo è della personalità caduta in servizio, e la definizione “anche gli uomini della scorta” per tanti anni ha tolto la dimensione umana, la quotidianità, il dare un nome e un cognome.

Il mondo delle scorte che lavorano nel campo dell’antimafia è popolato di dedizione, di attenzione ai dettagli, di discrezione. Eppure, l’opportunità di dare uno sguardo al suo interno, alla sua quotidianità, restituisce un mondo fatto di donne e uomini che concretizzano in pieno, sulla propria pelle, il giuramento di essere servitori dello Stato. Ma prima di indossare giubbotti antiproiettile, di mettersi davanti come scudo vero e proprio dell’incolumità di un magistrato o di altra persona minacciata dalle mafie, sono madri, padri di famiglia che, quando chiudono la porta uscendo di casa, non conoscono mai l’ora che li vedrà tornare dai propri cari.

Nello Di Simone è un nome fittizio, per motivi di sicurezza e riservatezza, che ci introduce a questa straordinaria quotidianità di chi lavora nel mondo delle scorte per un nuovo appuntamento della rubrica “Cosa vuol dire mafia? – Dialoghi sulla legalità”.

Che cosa significa iniziare ogni giorno con la consapevolezza che, se accade qualcosa, dovete mettervi tra voi e la minaccia verso la personalità protetta, qual è lo stato d’animo che si vive ogni giorno?

Il nostro è un lavoro che si fa per passione, davvero per passione, altrimenti è bene fare tutt’altro. In quanto ai rischi, è necessario chiarire una cosa: rischiamo tanto quanto il nostro collega che esce di pattuglia in qualsiasi città in Italia o piccolo paese che sia. Non c’è alcuna differenza. Tanti, troppi colleghi di ogni forza sono caduti sul campo, mentre svolgevano il loro lavoro. Una rapina in banca, una sparatoria improvvisa. Tutti noi rischiamo allo stesso modo. Come dicevo prima, il lavoro che svolgiamo è fatto di passione. Poi è anche vero che ci sono personalità su cui grava una minaccia particolare e quindi c’è una maggiore consapevolezza dei rischi che si corrono. Bisogna essere discreti, cauti, attenti; soprattutto, bisogna avere enorme concentrazione su ogni particolare. È un lavoro e, come ogni lavoro, deve essere semplicemente svolto con serietà.

Tanti tuoi colleghi sono caduti sul campo, barbaramente uccisi da autobombe e in agguati sanguinosi. Che cosa si prova quando poi si fa lo stesso lavoro?

Lo si fa con tutta la dignità possibile, proprio per onorare la loro memoria. Per noi non è un avvenimento consegnato alla storia, è qualcosa che senti ogni giorno vicino. Le loro famiglie, i loro figli, sono un ricordo costante. Bisogna saper essere all’altezza di questi veri e propri eroi. Non è scadere nella retorica, è semplicemente il concetto di lavoro di cui parlavo prima. Se ognuno di noi svolge con dignità il proprio lavoro, ecco che tutto funziona e migliora, ed è anche la migliore risposta alle mafie e alle sue minacce. Bisogna rispondere alla violenza con la legge, alla sopraffazione con l’onestà di un lavoro svolto in maniera impeccabile. Bisogna che la legge venga applicata e si arrivi fino in fondo alle verità nei processi. Il nostro lavoro spero che sia d’ausilio a quanto ho appena detto, questa è la soddisfazione con cui si torna a casa.

Tornare a casa, sempre in orari che non si conoscono e non si sa per quanti giorni si sta fuori in certe occasioni. Eppure, avete famiglia, persone di cui avere cura, con problemi quotidiani come tutti noi.

Si pensa troppe volte che chi indossa una divisa, abbia una strada preferenziale, ma non è così. Viviamo come tutti e come tutti abbiamo i nostri problemi quotidiani da risolvere che vanno dal mutuo da pagare alla spesa da fare, far quadrare i conti, insomma. Quando esci di casa, non ci sono orari. La stanchezza la dimentichi e fai quanto è necessario per assicurare la protezione a chi accompagni. Gli affetti che abbiamo, che condividono la nostra vita sono armati di santa pazienza, ed anche questo è fondamentale. È da comprendere che non è facile condividere la vita con persone che non hanno orari, che non possono parlare del proprio lavoro se non per linee generali e basta. È una questione di fiducia. Certo, questo non impedisce che, una volta tornati a casa, la gestione del quotidiano familiare debba avere la sua preminenza, stanchezza o non stanchezza: la farmacia, l’insegnante a scuola non aspettano mica che tu abbia recuperato il sonno perso (ride… nda)”.

Che cosa pensi sia sbagliato nella percezione che hanno le persone di questo lavoro?

Che si passi dall’essere un supereroe ad essere uno sbruffone. Dall’essere invincibile e senza paura, ad essere qualcuno a cui piace correre a sirene spiegate. Ecco ci sono troppe definizioni che lasciano il tempo che trovano e non consegnano un’idea reale di questo lavoro. Ci vuole professionalità, dedizione ma anche formazione costante. Non ci si improvvisa, bisogna sempre studiare e perfezionarsi. I pericoli come le mafie si evolvono. Non bisogna mai pensare che è qualcosa di statico. Una minaccia che si protrae nel tempo può trovare mille strade per diventare reale. È un lavoro di squadra e non solo di noi che siamo direttamente sul campo. Ecco, c’è bisogno di comprendere che è soprattutto un lavoro di squadra, la differenza la si fa tutti insieme e si permette ad un magistrato minacciato di poter svolgere il suo lavoro che alla fine sarà di beneficio per tutti i cittadini e la società civile. La lotta alle mafie non deve avere mai un suo eroe, è sbagliato. Deve essere uno sforzo comune, perché altrimenti un eroe lo ammazzi e hanno vinto loro. Ma se invece è la maggioranza, ognuno per la sua parte, che svolge il proprio dovere, allora la vedo molto più difficile per le mafie riuscire a vincere.

C’è stato mai un momento in cui ti sei sentito in pericolo per davvero, anzi un momento in cui hai avuto paura?

Paura mai, qualche volta preoccupazione. Ma paura no, perché mi fido dei miei colleghi: il gioco di squadra del quale ti parlavo. Ognuno di noi deve essere preparato e formato, perché noi proteggiamo la vita della personalità che è sotto scorta, ma tra noi ci proteggiamo fidandoci del collega, della sua attenzione, della bravura a non farsi sorprendere da nulla. Da soli possiamo poco o nulla, il concetto è che bisogna essere uniti e aver fiducia. Poi è un lavoro che ogni giorno è diverso, un lavoro che non ha mai una routine proprio perché non deve assolutamente mai averla. È un lavoro fatto di tanti sacrifici, perché ogni passione significa anche sacrificio. E il momento più gratificante è quando finisce una giornata e ricevi una pacca sulla spalla senza nessuna parola, basta guardarsi in faccia e sapere che ancora una volta abbiamo tracciato una linea di difesa che non è stata valicata da nessuno. Facciamo la nostra piccola parte nella lotta alle mafie, e questo dà una grande soddisfazione, vera. Ecco quando torni a casa, prima di fare la spesa al supermercato o pagare le bollette, guardi i tuoi figli negli occhi e sai che hai lavorato onestamente. Più siamo, meno spazio diamo alla criminalità organizzata.

 

 

 

 

 

 

  

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