Le prolungate politiche di confinamento e chiusura delle attività produttive, prese dal Governo nel corso del 2020 per fronteggiare l’emergenza pandemica, hanno indubbiamente prodotto delle forti conseguenze negative sulle condizioni di vita e di lavoro del mondo giovanile, accentuando ancor più le ineguaglianze strutturali che caratterizzano da tempo il mercato del lavoro italiano: sono le famose 3 G che riguardano Geografia, Genere e Giovani. Una illustrazione, per quanto sintetica, della situazione che si presenta all’inizio del nuovo anno 2021 può fornire un contributo utile a riflettere sulla complessità dei nodi da sciogliere e sulle aree sulle quali sarebbe necessario intervenire con misure correttive.
L’impatto della pandemia sul mercato del lavoro in Italia: la situazione a fine 2019 e a fine 2020
A fine 2019, cioè prima della manifestazione del Covid-19, la situazione del mercato del lavoro giovanile descritta dalle rilevazioni dell’Istat era la seguente. Gli occupati giovani (15-34 anni) erano 4,9 milioni, il 22% del totale, mentre quelli in cerca di occupazione erano 2,5 milioni, il 45% dei disoccupati totali. La percentuale di giovani tra gli occupati è stata però in costante diminuzione dal 2006 quando essi incidevano per il 32% (7,1 milioni di occupati). Questo evidenzia un loro ruolo sempre più marginale, a causa della difficoltà di trovare occupazione, del ritardo dei giovani nell’acquisire esperienze lavorative e, soprattutto, per il peggioramento del ricambio generazionale nella forza lavoro. Un ruolo marginale che potrebbe quindi incidere fortemente sulla futura produttività del lavoro e sulla futura sostenibilità economica della popolazione.
Sono tutte cause che hanno comportato il conseguente aumento degli inattivi, troppo spesso, accompagnato anche dalla rinuncia a un percorso formativo, ampliando le file NEET (dall’inglese Neither in Employment nor in Education and Training – Né al Lavoro, né nell’Istruzione e Formazione). I NEET nel 2019 sono stati 2,9 milioni, facendo dell’Italia il paese europeo con la più alta incidenza, pari al 23,4%, quasi un giovane su quattro, mentre a livello europeo (UE 27) l’incidenza è pari al 14% (Fonte Eurostat). Un dato preoccupante in quanto esprime lo smarrimento e la sfiducia di molti giovani nel futuro, scoraggiati dalla scarsa possibilità di trovare un lavoro senza i vantaggi che l’istruzione può dare. I rischi per questi giovani non sono solo la deprivazione materiale o la dipendenza economica dalle famiglie ma anche la depressione psicologica e il disagio emotivo, senza contare l’impossibilità di delineare un progetto di vita.
La situazione di grande difficoltà dei giovani è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro, che ha origini antecedenti la crisi finanziari del 2007 e dalla quale l’Italia non si è ancora ripresa. Questo diviene chiaro esaminando il tasso di disoccupazione giovanile che nel 2006 era del 12,1%, mentre nel 2014, durante il picco della crisi dei debiti sovrani, era salito al 24,4%. Successivamente, il tasso ha iniziato a diminuire scendendo al 18,3% nel 2019, una ripresa che però rimane lontana dai livelli antecedenti la crisi.
Analizzando il tasso di disoccupazione in base all’area geografica emerge la diseguaglianza geografica del mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno nel 2019 era al pari al 31,1%, un valore molto distante da quelli del Centro, 16,1%, e del Nord, 10,9%. D’altronde, la situazione del Mezzogiorno era peggiore anche prima del 2007 ma la crisi e soprattutto la diversa capacità di ripresa dei territori hanno portato ad un aumento del divario geografico.
A quello geografico si aggiunge il divario di genere. Un divario che denuncia non solo una discriminazione tra maschi e femmine sul mercato del lavoro, ma anche l’assenza di un cambiamento di rotta, in quanto il divario è rimasto sostanzialmente costante negli ultimi anni. Misurando l’ineguaglianza di genere attraverso la differenza dei tassi di disoccupazione tra maschi e femmine, nel Mezzogiorno, l’ineguaglianza di genere è stata in media del 6,4%. Questo vuol dire che una giovane donna ha una probabilità di non trovare lavoro più alta del 6,4% rispetto ad un suo coetaneo maschio. Il confronto tra i divari di genere è anche più marcato se si esaminano i tassi di partecipazione alla forza lavoro. Nel 2019 la differenza nella partecipazione alla forza lavoro tra femmine e maschi è stata di 19,29 punti percentuali nel Mezzogiorno, di 8,8 punti percentuali al Centro e di 9,7 punti al Nord.
Emerge quindi che nel 2019 il mercato del lavoro ancora non era riuscito a riprendersi dalla crisi, mostrando poca capacità di resilienza e forti ineguaglianze: Giovani, Genere e Geografia. Questo è il difficile contesto in cui scoppia la pandemia da Covid-19. L’Italia è stato il primo paese europeo ad essere pesantemente colpito dalla diffusione del virus e l’emergenza sanitaria si è rapidamente trasformata in una emergenza economica e sociale. Molti luoghi di attività produttiva sono stati chiusi per contenere la diffusione del virus generando inevitabili ricadute sul sistema economico. La sospensione delle attività è entrata in vigore il 12 marzo 2020 con effetti immediati sul mercato del lavoro.
Inizialmente il numero dei giovani disoccupati è sceso di 275mila unità, una variazione in positivo contro intuitiva, ma facilmente spiegabile se si osserva l’impennata nel numero dei giovani inattivi. Sono infatti 280mila gli inattivi in più nel mese di marzo 2020; a questi si sono poi aggiunti altri 269mila inattivi ad aprile. In maniera analoga, i giovani occupati hanno subìto un drastico calo a marzo, -131mila, seguito da un altro calo ad aprile, -149mila. La situazione degli occupati ha continuato a peggiorare fino a giugno, seppur con cali più bassi, mentre nei mesi estivi la situazione è leggermente migliorata, con la riapertura delle attività. Ma la riapertura è stata temporanea e da ottobre, con la nuova chiusura, è iniziata una nuova parabola negativa. I disoccupati, che erano cresciuti dopo aprile tornano a diminuire e, specularmente, gli inattivi, scesi a 6,2 milioni nei mesi estivi, sono tornati a crescere arrivando a 6,4 milioni a dicembre 2020.
Una situazione particolarmente difficile per i giovani, che hanno infatti subìto le conseguenze più gravi delle politiche di chiusura necessarie ad arginare la pandemia. A fine 2020 le posizioni lavorative dei giovani sono diminuite di 287mila unità, a fronte di una diminuzione di 150mila unità per gli adulti. Quindi, anche se i giovani rappresentano solo il 22% degli occupati totali, essi hanno perso quasi il doppio dei posti di lavoro.
La causa principale della sproporzione tra giovani e adulti può essere rintracciata nelle diverse forme contrattuali che caratterizzano le due classi di età. Difatti, stando ai dati Istat, nel 2019 l’incidenza dei giovani tra i contratti a tempo determinato superava il 50%, mentre non arrivava neanche al 20% tra i contratti a tempo indeterminato. Gli adulti hanno quindi maggiori tutele contrattuali e lavori stabili, mentre i giovani lavorano con contratti a termine o atipici che devono essere rinnovati di volta in volta; cosa che non è stato possibile fare con la chiusura delle attività. Ciò ha portato al diverso impatto dell’emergenza tra le classi di età, causando anche una disparità nella possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali, sia tradizionali sia straordinari messi in essere da Governo per fronteggiare la crisi.
L’impatto delle misure governative di contrasto alla pandemia SARS-CoV-2
L’emergenza occupazionale causata dalla crisi pandemica appena descritta è stata sicuramente contenuta dall’adozione di misure straordinarie in materia di lavoro e di politica sociale. Nel 2020, gli impieghi straordinari (ossia “interventi” consistenti in maggiori spese e in riduzioni di entrate per le misure introdotte) hanno raggiunto l’importo circa 107,6 miliardi di euro: tra questi 39.763 milioni di euro sono stati spesi per il sostegno alle imprese e all’economia, 33.252 milioni per misure a favore dei lavoratori, 928 milioni per l’emergenza alimentare mentre 17.097 milioni sono le mancate entrate per sgravi fiscali (Fonte: Rapporto sulle politiche di bilancio 2021 dell’Ufficio parlamentare di bilancio).
I principali provvedimenti messi in atto a sostegno del lavoro sono stati il blocco dei licenziamenti, le misure di sostegno al reddito e il potenziamento degli ammortizzatori sociali.
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Il Reddito di emergenza.
Ai nuclei familiari in difficoltà a causa dell’emergenza epidemiologica è stata riconosciuta una misura di sostegno economico straordinaria. Il beneficiario della prestazione non è stato quindi il singolo richiedente ma l’intero nucleo familiare. Il reddito di emergenza non è però compatibile con le altre forme di sostegno previste dal Governo per far fronte all’emergenza Covid-19.
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Ammortizzatori sociali.
Il Governo ha cercato di garantire la copertura della platea più ampia possibile di lavoratori, non solo quelli subordinati ma anche i lavoratori autonomi, attraverso diverse misure di sostegno al reddito. A tal fine, da un lato sono state semplificate le procedure per accedere alle misure ordinarie, dall’altro lato sono state introdotte misure per i settori e i lavoratori esclusi. Inoltre, sono state applicate deroghe ai limiti di durata complessiva ed esenzioni, anche parziali, dal pagamento delle addizionali contributive.
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Divieto di licenziamento.
È stato precluso l’avvio delle procedure di licenziamento per ragioni economiche e/o organizzative. Sono preclusi sia il licenziamento collettivo (più di 4 persone), sia individuale, indipendentemente dal numero dei dipendenti.
L’obiettivo dei provvedimenti emanati per fronteggiare l’emergenza da Covid-19 è stato quello di tutelare non solo tutti i lavoratori subordinati (indipendentemente dalla natura/durata del contratto di lavoro) ma anche, per quanto è possibile, i lavoratori autonomi e i professionisti. D’altro canto, le misure messe in atto sono state politiche passive, mirate a ridurre il disaggio causato dalla situazione straordinarie, e certamente non attive, con l’obiettivo di riuscire a promuovere l’inserimento del lavoro e l’occupazione futura. Se questo aspetto è stato dettato dall’urgenza e immediatezza che la situazione richiedeva durante la prima ondata di diffusione del virus, meno giustificabile è l’assenza di una programmazione attiva nella seconda fase di chiusura, per quanto di difficile attuazione tecnica. Inoltre, va rilevato che le misure del Governo sono straordinarie e temporanee, e nel momento in cui cesseranno il mercato del lavoro potrebbe subire delle ulteriori, pesanti conseguenze negative.
Conclusioni
Gli interventi messi in campo sono stati quindi indubbiamente eccezionali sia per la portata economica sia per il raggio di azione, gli àmbiti e i soggetti coinvolti. D’altro canto, non sono riusciti a coprire effettivamente tutti, e hanno lasciato intatte le difformità nei livelli di protezione sociale, accentuando la disuguaglianza tra giovani e adulti già esistente. Disuguaglianza che, come abbiamo visto, ha una genesi di lungo periodo e che tende ad acuirsi nelle situazioni di crisi. Il rischio del peggioramento della situazione dei giovani, ma anche di quella delle donne e del Mezzogiorno, è acuito dalla mancata adozione di politiche attive per il lavoro visto che l’erogazione degli aiuti non è stata accompagnata da una visione di medio-lungo termine e da azioni concrete necessarie in vista dell’uscita dalla crisi.
*Jan Martin Rossi, Ricercatore Eurispes.
Sintesi della relazione svolta al Seminario scientifico internazionale sul tema “La condizione dei giovani nel mercato del lavoro. Situazione attuale e prospettive” promosso dal Comitato per il Lavoro e le Politiche Sociali dell’Accademia delle scienze di Polonia, Varsavia, 29 gennaio 2021.