Un dialogo con il Generale di Squadra Aerea Fernando Giancotti, Presidente del CASD, su temi inerenti la leadership e la sua importanza storica e contemporanea nella realizzazione di scopi comuni e appartenenti a tutta la collettività. Dalla prima leadership che dobbiamo imparare a fare, cioè quella su noi stessi, fino al pensiero strategico, un excursus su questa importante funzione collettiva.
Generale di Squadra Aerea Fernando Giancotti, Presidente del CASD. Che cos’è il CASD?
Il CASD è il Centro Alti Studi per la Difesa della Istituzione Vertice del Dicastero per l’alta formazione, la ricerca e la consulenza al Dicastero difesa e gli altri attori del sistema paese con cui collaboriamo intensamente. Ci occupiamo, appunto, della formazione di tutta la dirigenza strategica di tutte le Forze Armate.
In sostanza, una sorta di Università?
Sì, questo centro è stato accreditato, con legge, come Scuola Superiore a Ordinamento Speciale. Abbiamo avuto l’accreditamento iniziale e stiamo avviando la scuola di dottorato per quest’anno accademico e poi proseguiremo nel nostro percorso di crescita verso ambiziosi livelli accademici.
A proposito di Università, parliamo di libri. Il suo ultimo lavoro sulla leadership ci porta a riflettere su una parola che nell’immaginario collettivo ha molti significati.
È una bella domanda, perché la semantica è sostanza. La leadership è una funzione dell’azione collettiva, che la orienta e la potenzia sugli scopi comuni; noi tutti viviamo nella e dell’azione collettiva e, quindi, l’efficacia di questa funzione è assolutamente primaria e strategica per tutti noi. Del resto anche antichi proverbi recitano: «il pesce puzza dalla testa», quindi se non c’è una buona leadership le cose non funzionano.
Ma la leadership per avere un significato deve essere accompagnata da alcuni complementi?
I complementi di cui questa parola abbisogna, e che spesso sono negletti, fanno intendere come la leadership è per le persone e deve coinvolgere le persone verso obiettivi che siano sentiti come comuni: deve fare e operare a diversi livelli. Un complemento fondamentale è declinare le dimensioni della leadership. La prima leadership che dobbiamo imparare a fare è quella su noi stessi, e forse è la più difficile, perché siamo più coinvolti emotivamente. Poi, dobbiamo imparare a lavorare bene in piccoli gruppi, che sono il fondamento ancestrale delle nostre dinamiche sociali e quindi anche di leadership; poi, dobbiamo essere capaci di trasporre questi concetti, o meglio queste prassi, alle grandi organizzazioni; e, infine, dobbiamo essere capaci di pensare a livello strategico che non è un’abilità innata, bisogna svilupparla attraverso strumenti culturali. Queste sono le dimensioni, che possiamo chiamare complementi alla parola leadership, in cui poi occorre declinare i concetti in maniera tra l’altro tutta integrata, perché ognuna di queste dimensioni è strettissimamente intersecante con tutte le altre.
Il concetto di leadership nella storia italiana che riflessi ha avuto sulla società?
Siamo passati – e qui semplifichiamo perché ovviamente diamo risposta di pochi secondi – da una delle migliori leadership della storia, che è stata quella romana, capace di produrre un sistema non solo potente, ma anche molto resiliente, che è durato molti secoli, con evidenti indicatori di efficacia in tutti i settori, non solo militare, ma anche istituzionale, economico, culturale. Quindi siamo passati da quella leadership a una disgregazione brusca del Paese, a dominazioni straniere che hanno alienato la relazione tra le persone, tra il popolo e la leadership. Tutto questo bagaglio, questa grande delusione della caduta dell’Impero (del tutto inconscia) e questa grande frammentazione e sfiducia nelle leadership – che erano per lo più rapaci e orientate ai loro interessi che a quelli comuni salvo diversi buoni esempi e parlo dei Comuni, di alcuni Principati del Rinascimento – tutto questo certamente ha deprivato un senso forte di una cosiddetta classe dirigente, ma più generalmente leadership, come dire in continua tensione alla elevata qualità e depositaria di fiducia da parte del sistema sociale. Questo diventa un anello diciamo di retroazione negativo, mentre invece potrebbe essere positivo il contrario.
Qual è il ruolo della leadership nei fenomeni organizzativi complessi?
Questa è un’altra bella domanda. I sistemi complessi non possono essere determinati in maniera lineare, devono essere influenzati. Quindi, la leadership che si interfaccia con problemi e con sistemi molto complessi e rapidamente mutanti, deve avere una capacità di visione strategica – quindi di pensiero strategico – e di leadership strategica: cioè una volta che hai compreso, devi sapere utilizzare le leve per influenzare sistemi complessi. Questo è il tema delle grandi organizzazioni, ma è anche il tema della politica. Per sviluppare una capacità di pensiero strategico di questo tipo bisogna investire nella qualità della leadership, anche attraverso degli approcci formativi complessivi. Noi ci stiamo di farlo, proprio in questo momento è in atto un executive master in “Strategic leadership and Digital transformation” che stiamo facendo per la NATO. Abbiamo trentasei ufficiali della NATO di cui otto generali, gli altri colonnelli e dirigenti civili, con cui ci stiamo confrontando su questi temi.
Quindi per avere una mentalità da leader non si può avere una mentalità ristretta.
No, perché rischiamo di sbagliare. No rischiamo, è certo che si sbagli se ci si confronta con una mente ristretta con problemi ampi, ambigui e incerti.
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Dalla teoria alla pratica. Un esempio per tutti: parliamo del 36esimo Stormo dell’Aeronautica Militare.
Beh nel libro c’è questo esempio, perché è stato un esempio che ho potuto studiare bene perché ero comandante dello Stormo e mentre gestivo lo Stormo prendevo appunti su quello che imparavo dalla realtà. Nel libro c’è anche questa dimensione empirica, oltre che le dimensioni concettuali sulla leadership ancestrale, i sistemi complessi, la storia, la leadership organizzativa. C’è anche un caso empirico, che è quello del 36esimo Stormo, ne abbiamo vissuti molti altri, ma questo è particolarmente interessante perché mostra, con degli indicatori peraltro quantitativi, nel senso dei risultati misurati, come il decentramento di autorità e responsabilità ai livelli più bassi e il coinvolgimento delle persone, un maggiore flusso di informazioni (anche attraverso la dimensione digitale) siano tutti fattori abilitanti di un’azione collettiva molto più efficace. Questo che le dico è nell’esperienza di tutti quelli che gestiscono organizzazioni ad alte prestazioni, che siano Storni o che siano d’altro tipo, e in particolare è importante per noi perché il prezzo del dell’errore può essere più alto della media.
In chiusura una domanda fuori sacco. Si parla tanto di investimenti per la difesa; si parla anche di ridurli. Ma si può pensare a una cosa simile in una Europa globalizzata?
Beh, innanzitutto, la scelta su come allocare le risorse pubbliche compete alla governance politica ovviamente e noi rispettiamo assolutamente le competenze, i ruoli e le responsabilità. Detto questo, proprio la leadership politica, specialmente quella europea, in questo particolare momento della storia che presenta molte sfide rilevanti, riedizioni o nuove edizioni di situazioni diciamo di tensione o di conflitti, purtroppo anche sanguinosi a volte, ma comunque una nuova ridefinizione degli equilibri, deve indicare una strada. Le indicazioni che vengono dall’Europa – c’è stato recentissimamente il Consiglio europeo – sono proprio quelle di mantenere un’autonomia strategica del cosiddetto Vecchio Continente che poi deve essere tradotta in pratica anche in una capacità militare di deterrenza al livello che i decisori politici decideranno. Ma, certamente, non sembra il momento storico per disinvestire.