L’Europa raccontata alla generazione Erasmus. “Ecco perché ci abbiamo creduto”

Dentro l’Europa (brillante scritto di Carmelo Cedrone, ed. Ponte Sisto, 14,00 euro) non va interpretato come un titolo ad effetto, perché suona come un auspicio forte, che non si può ignorare facendo finta di niente. L’Europa siamo noi, è nel nostro destino, la dobbiamo difendere, cambiandola in meglio, per rafforzarla, non per distruggerla come tanti improvvisati detrattori vorrebbero fare.
I risultati elettorali, che il nostro autore non poteva né conoscere né prevedere (il libro è stato pubblicato due mesi fa), danno ancora più valore a questo lavoro, perché mai come adesso nulla appare scontato, bisogna riprendere a lottare per la democrazia, per i diritti di libertà, per il lavoro, che sono come l’ossigeno: senza, la vita sarebbe impossibile.
Cedrone, che proviene da una importante esperienza di dirigente sindacale, attualmente membro della Confederazione Europea dei Sindacati oltre che coordinatore del Laboratorio Europa dell’Eurispes, è un uomo di pensiero, ma anche di azione. Il suo non è il “solito” saggio paludato di politica economica o di geopolitica imperniato sulla crisi del vecchio Continente (troppi ne circolano in libreria, soprattutto in questi giorni), è piuttosto un diario aperto, che raccoglie un vivace e stimolante dialogo che l’autore ha intrattenuto e continua a intrattenere con i giovani. «Avrei potuto scrivere questo libro dieci anni fa – commenta – ma ho voluto prima che si sedimentassero alcuni filoni argomentativi, che mi permettessero di affrontare, con il linguaggio della quotidianità, gli snodi essenziali che dal Trattato di Roma del 1957 ci hanno condotto fino ai nostri giorni, attraverso una catena di errori commessi sul terreno della politica e dell’economia sociale, che hanno prodotto sfiducia e povertà nei cittadini europei. Per me era, infatti, di fondamentale importanza (ecco il perno attorno a cui si regge la trattazione) spiegare alle nuove generazioni alcuni passaggi chiave per permettere loro di maturare quel senso di responsabilità e di consapevolezza che sono le prime armi per risalire la china e riprendere la strada della crescita». Appassionante l’excursus che riporta il lettore alle origini del progetto di una casa comune europea, nato nelle atmosfere rarefatte dell’isola di Ventotene, dalla temperie culturale e morale di uomini del calibro di Altiero Spinelli, che hanno creduto nel valore dell’unità e del confronto pacifico dei popoli. L’Europa nasce da lì, dal ripudio della guerra, dalla condanna per un massacro immane che, sull’onda dei totalitarismi, aveva trascinato nel baratro tutto l’Occidente; peccato che ce ne siamo dimenticati così in fretta. «I ragazzi – continua l’analisi dell’autore – devono conoscere la storia per poter raccogliere adeguatamente l’eredità di chi si è battuto per alti ideali di giustizia e di progresso. Vivono troppo schiacciati nel presente, come in una bolla virtuale, spossati dalla narcosi dello schermo, che nasconde la realtà portandoli verso mondi lontani».

Avvertiamo tutti un senso di claustrofobia, come se l’Europa, in questi anni difficili si fosse ristretta. È divenuta un frammento dell’Occidente, mentre quattro secoli fa era l’Occidente un suo frammento. Confinata a periferia della storia, divisa tra paure e nuove steccati da “macchina primo motore di civiltà” si è tramutata (basti pensare al dramma in cui versa il Mediterraneo) in un teatro di morte e di sofferenza. Un fenomeno grave che interroga la coscienza degli europeisti più consapevoli, ma che deve sollecitare anche la generazione Erasmus, abituata ad attraversare paesi e nazioni, senza farsi troppe domande. I tanti percorsi di vita e di esperienza che i nostri figli intrecciano ogni giorno e che hanno segnato la mobilità, traccia distintiva della contemporaneità, potrebbero interrompersi, per la nascita di nuovi steccati ideologici, prima che fisico-geografici, ma di questo rischio continuiamo a non avere adeguata consapevolezza. È Il tema della frontiera, mai esplicitamente chiamato in ballo da Cedrone, ma che sottende la trattazione, che ritorna con prepotenza di fronte all’emersione del “sovranismo”.

Dalla Cee, alla Ue, da Maastricht alla moneta unica è cresciuto il mercato, ma non sono cresciute la qualità e l’efficienza delle Istituzioni, non l’Europa dei popoli, mentre i meccanismi di partecipazione democratica sono rimasti come inceppati. Le lobbies finanziarie mantengono il pallino, continuano a pesare sulle decisioni politiche e sugli asset strategici per lo sviluppo, sostenendo policy ostinatamente orientate a una cieca austerità, che ha di fatto strangolato ogni ipotesi di rilancio in paesi, come l’Italia, soffocati da un forte indebitamento. Lo spettro agitato dall’ultimo Ulrich Beck di una “Europa tedesca in una nuova geografia del potere” evidentemente ha preso corpo generando uno scollamento tra le élites e la cittadinanza, con le conseguenze che a diversi livelli molte nazioni stanno già pagando. Non deve dunque stupire il ringraziamento che viene rivolto dall’autore all’indirizzo di Mario Draghi, che ha gettato l’unica scialuppa di salvataggio a un Continente che stava di fatto affondando.
Non serve però la condanna. Bisogna reagire. «Basta stare con la testa reclinata sui social», per primi i giovani devono sentire tutto il peso della responsabilità e il desiderio di invertire la rotta. È tempo di creare un terzo spazio sfuggendo dalla contrapposizione “populisti – sovranisti” che ha dominato il dibattito di questi ultimi mesi. Per ritrovare la stella polare verso cui orientarsi, occorrerà far convergere in maniera virtuosa lavoro e diritti, eguaglianza e libertà, dignità e progresso, abbattendo pregiudiziali e steccati e inaugurando la stagione di un dialogo sociale virtuoso. Riemerge la tempra del Cedrone, uomo di sindacato, fautore del ruolo dei corpi intermedi che una “falsa” democrazia immediata vorrebbe oggi spazzare via. Sulla scorta del grande insegnamento di Vittorio Foa, occorre ritrovare una collocazione alla “libertà dentro il lavoro”, ripartendo dal principio, per affrontare con fiducia questo “cambiamento d’epoca”. Sarà probabilmente decisivo un “cambio di passo”, che lasci del tempo (dopo la combustione delle contrapposizioni ideologiche, cristallizzata eredità del ’900) a una pacata riflessione sul nuovo corso di un’Europa, che sarà sempre più obbligata a misurarsi con le leggi della competizione internazionale e con la rete dei nuovi fenomeni che stanno attraversando la società, facendo emergere orizzonti ancora tutti da esplorare. Coraggio, dunque, la sfida per tutti noi è appena cominciata.

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