Smart working: una nuova organizzazione del lavoro?

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Prima del 2020 lo smart working era ancora poco diffuso in Italia, regolato da una legge di recente approvazione (legge 81 del 2017). Le resistenze sono di natura culturale, ma anche legate all’arretratezza del nostro Paese nel campo della digitalizzazione.

Un nuovo modo di lavorare 

Secondo i dati raccolti nell’indagine dell’Eurispes e pubblicati nel Rapporto Italia 2021, tra coloro che lavorano, quasi la metà (49%) lo ha fatto in smart working dall’inizio dell’emergenza sanitaria: il 22,8% sempre o per un lungo periodo, il 26,2% occasionalmente/con turnazione/per un breve periodo. Il 4,9% dei lavoratori dichiara che già lavorava in questa modalità prima della pandemia, mentre il 46,1% risponde negativamente.

L’analisi dei dati per area geografica di residenza mette in luce situazioni differenti: la pandemia ha portato a lavorare a distanza soprattutto i residenti al Sud (il 31,8% sempre o per un lungo periodo, il 25,2% in modo temporaneo) ed al Nord (al Nord-Ovest 24,2% sempre e 28,4% temporaneamente; al Nord-Est 22,4% e 26,5%). Lo smart working ha dunque coinvolto la maggioranza dei lavoratori al Sud ed al Nord-Ovest, mentre la quota più contenuta si registra nelle Isole, dove il 12,8% già lavorava in questa modalità ed il 50% non la ha adottata neppure con l’arrivo della pandemia. Intermedia la posizione dei lavoratori del Centro Italia: 4 su 10 hanno iniziato a lavorare in smart working (13,8% sempre, 27% temporaneamente/occasionalmente), il 55% non lo ha fatto neppure in emergenza.

Lavoratori autonomi e liberi professionisti fanno registrare le quote più alte di soggetti in smart working

La professione svolta incide, inevitabilmente, sulla possibilità o meno di lavorare a distanza. Con l’emergenza sanitaria hanno usufruito dello smart working la maggioranza degli impiegati (66,2%), dei dirigenti/direttivi/quadri (65,1%, ben il 46,3% sempre o per un lungo periodo), dei liberi professionisti (62,4%). Valori non trascurabili riguardano lavoratori autonomi (45,6%), imprenditori (41,8%) e Forze dell’ordine/militari (37,5%). Le percentuali più basse si trovano, comprensibilmente, tra operai (12,4%) e commercianti (13%). Lavoratori autonomi e liberi professionisti fanno registrare le quote più alte di soggetti in smart working già prima dell’inizio della pandemia (rispettivamente il 12,6% ed il 10,3%).

Anche a distanza prevale il “modello ufficio” con orari fissi di attività

Nella maggior parte dei casi il lavoro a distanza è stato organizzato sulla base della presenza negli orari prefissati (54,4%), in quasi un terzo per obiettivi (30,2%), mentre nel 15,4% dei casi sulla base della reperibilità senza limiti fissi di orario.

Una modalità mista presenza-distanza, per il futuro

Interrogando coloro che hanno sperimentato lo smart working sulle loro preferenze per il futuro, emerge come la maggioranza, potendo scegliere, quando sarà terminata l’emergenza sanitaria vorrebbe alternare lavoro da casa e lavoro in presenza (53%); il 28% vorrebbe interrompere lo smart working, mentre il 19% vorrebbe continuare a lavorare sempre da casa.

Prendendo in considerazione la tipologia famigliare, i dati indicano che tra i monogenitori con figli è più elevata della media la percentuale di chi vorrebbe continuare a lavorare sempre in smart working (25%); tra le coppie con figli la quota si attesta al 20,1%, tra le coppie senza figli al 18,1%, mentre tra le persone che vivono da sole risulta più bassa (13,6%).

Oltre un terzo dei lavoratori ha avuto difficoltà di carattere pratico, avendo a disposizione strumenti inadeguati

Il 66,2% di chi ha lavorato in smart si dice soddisfatto rispetto all’organizzazione del lavoro, il 62% riguardo alla gestione dei tempi e degli orari. Più della metà del campione si è inoltre trovato bene nel coordinamento con i colleghi (57,5%), con i superiori (56,4%) e con il carico di lavoro (56,2%). Se prevalgono le esperienze positive, occorre però sottolineare la percentuale non trascurabile di lavoratori a distanza che si sono trovati in difficoltà; in particolare, il 18,7% si dice per nulla soddisfatto del coordinamento con i superiori, il 18,3% del carico di lavoro. I monogenitori con figli (78,6%) e le coppie con figli (62,7%) sono i più soddisfatti dello smart working in relazione alla gestione dei tempi e degli orari.

In smart working la netta maggioranza dei lavoratori ha gestito meglio gli impegni familiari e domestici (60%) e si è sentita più libera (58,2%). D’altra parte, si sono sperimentate anche sensazioni negative: al 64,2% è mancata la compagnia dei colleghi e per il 53,9% le giornate lavorative sono state più noiose. Il 46,5% dei lavoratori ritiene di essere stato/a più efficiente nel lavoro (al contrario, il 53,5% pensa di no) ed il 45,6% ha avuto difficoltà a trovare indicazioni e coordinamento nel lavoro.

Oltre un terzo dei lavoratori (34,9%) ha avuto difficoltà di carattere pratico, avendo a disposizione strumenti (pc, smartphone, connessione Internet) inadeguati/insufficienti.

Mettendo a confronto le esperienze di uomini e donne in smart working, i primi affermano con maggior frequenza di essersi sentiti più liberi (60,5% contro 55,8%), mentre le lavoratrici più spesso dichiarano di aver trovato le giornate più noiose (56,5% contro 51,4%).Tra chi vive solo sono più numerosi coloro che hanno sentito la mancanza dei colleghi – 68,2%, a fronte del 50%, in particolare, dei monogenitori con prole –, e coloro che hanno trovato le giornate lavorative più noiose – 64,8%, a fronte del 47,2% delle coppie con figli, del 53,6% dei nuclei monogenitoriali e del 55,2% delle coppie senza figli.

 Lavoro in smart? Soprattutto “tecnomuniti”

Per quanto riguarda la dotazione di strumenti informatici, ormai indispensabile alla gran parte dei lavori, la maggioranza del campione (52,3%) riferisce di aver usato i propri (pc, smartphone, connessione Internet), al 39,8% sono stati forniti dall’azienda per cui lavora, mentre al 7,9% sono stati forniti/rimborsati in parte dall’azienda.

I risultati mostrano, da questo punto di vista, notevoli differenze sul territorio italiano. Nel Mezzogiorno la netta maggioranza dei lavoratori a distanza ha utilizzato i propri strumenti informatici: il 68,8% al Sud ed il 64,4% nelle Isole. La quota resta maggioritaria al Nord-Ovest (54,5%), mentre scende al 41,2% al Centro ed al 34,1% al Nord-Est. Al Nord-Est ed al Centro la dotazione informatica viene nella maggior parte dei casi fornita dall’azienda – rispettivamente nel 56,1% e nel 52,9%, contro il 24,8% del Sud ed il 20,3% delle Isole (dove il 15,3% riceve però un rimborso, anche parziale, da parte dell’azienda per la quale lavora). Anche la tipologia contrattuale risulta in relazione con le modalità lavorative in smart working. Il 78,1% delle partite Iva utilizza i propri strumenti informatici, lo fanno anche la maggioranza dei lavoratori atipici (58,2%) e dei subordinati a tempo determinato (52,2%). Tra i lavoratori a tempo indeterminato prevalgono i casi in cui la dotazione è a carico dell’azienda: nel 45,1% dei casi essa fornisce direttamente gli strumenti, nel 9,8% fornisce un rimborso, anche parziale.

 

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