Quando il comitato elettorale della “Willy Brandt Haus” ha diffuso l’esito definitivo del ballottaggio per l’elezione della nuova presidenza della Spd, si sono alternate reazioni contrapposte tra i presenti rimbalzate sui media in pochi minuti.
Una profonda delusione è apparsa evidente tra i seguaci del Vice Cancelliere Olaf Scholz, opposta a un gioioso entusiasmo dei militanti schierati con i parlamentari della sinistra Spd, Saskia Esken, e l’ex ministro delle finanze del Nordreno-Vestfalia, Norbert Walter-Borjans, usciti vincenti dalla votazione. Il 53% dei voti degli iscritti espressi per posta o via web sono infatti andati a Esken e Walter-Borjans che pure partivano dal 21% del primo turno.
La partita era incerta, ma il risultato ha spiazzato lo stesso Scholz, presentatosi con la deputata del Brandeburgo, Klara Geywitz, formando un tandem incapace di superare quota 45,3%, otto punti percentuali in meno della coppia vincente Esken e Walter-Borjans, super-critica nei confronti della Grande coalizione con Angela Merkel e schieratasi apertamente contro il fedelissimo duo Scholz-Geywitz, favorevole invece all’alleanza con Cdu e Csu fino alla fine della legislatura.
Il risultato è che a Berlino dal 30 novembre trema l’intero governo federale.
Per la prima volta dal 1890 i socialdemocratici hanno eletto una donna e un uomo alla guida del Partei, emulando Verdi e Linke che già avevano scelto la doppia candidatura di genere per la leadership dei rispettivi partiti. Serve ora solo la ratifica dei delegati del congresso della Spd, che si terrà a Berlino dal 6 all’8 dicembre e chiuderà il travagliato semestre di commissariamento a seguito delle improvvise dimissioni, a giugno, di Andrea Nahles, aprendo ad una nuova fase della politica interna tedesca non priva di insidie per la tenuta del quarto governo Merkel.
Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans hanno avuto dalla loro parte gli Jusos, i Giovani socialisti (critici da sempre della “GroKo”) e la loro presidente Annika Klose che ha chiesto, compiaciuta del clamoroso ribaltone al Partei, «una nuova politica del lavoro basata sulla redistribuzione e sulla riduzione dell’orario di lavoro. Non ultima: la politica climatica socialmente giusta con la trasformazione dell’economia» o come Ina Czyborra, Vice Presidente della Spd del Land di Berlino, secondo cui «nella rinegoziazione dell’accordo con Cdu-Csu ci dovranno essere l’equa distribuzione del reddito e la partecipazione del governo federale sulla questione degli affitti su cui abbiamo già fatto molto a Berlino». Si sono poi distinte alcune figure politiche che ritengono di dover trovare una quadra programmatica tra la vecchia gestione Scholz e la nuova che avanza: Natascha Kohnen, leader Spd in Baviera, e Manuela Schwesig, governatrice del Meclemburgo-Pomerania, che, non a caso, hanno prudentemente invitato a sostenere “l’unità della Spd”.
Esken e Walter-Borjans non propongono, in buona sostanza, una uscita precipitosa dal quarto governo a guida Merkel ma intendono aprire un fronte di verifica sulle condizionalità che la Spd deve porre nel continuare a permanere nella “GroKo” con i cristiano-democratici. Il nuovo duo alla guida del Partei intende presentare un blocco di condizioni a Cdu-Csu da accettare in toto, a partire da temi sensibili per l’opinione pubblica tedesca come i finanziamenti per il clima, i fondi per modernizzare le infrastrutture, il salario minimo a 12 euro.
La segretaria della Cdu Annegret Kramp-Karrenbauer (Akk) non avrà vita facile nelle prossime settimane, stretta tra l’adattamento al nuovo indirizzo della Spd e la decisione di fare muro contro la rinegoziazione dell’accordo di coalizione, pena l’apertura di una crisi di governo al buio che inevitabilmente potrebbe condurre ad una scelta tra un governo di minoranza Cdu-Csu o le elezioni anticipate.
Difficile sarà evitare la rottura se a vincere nella Cdu sarà la linea di Kai Wegner, presidente dei cristiano-democratici a Berlino, che, all’indomani del cambio di guardia nella Spd, dalle colonne della Berliner Zeitung, ha tuonato: «La Spd adesso deve decidere se continuare a essere un partito di governo responsabile oppure sfuggire dalla responsabilità. Per quanto ci riguarda è sempre in vigore l’accordo di coalizione».