Natale e tanta voglia di leggerezza

Fare shopping è la parola d’ordine nei primi giorni di cauta (ufficialmente: molto cauta) apertura di negozi ed esercizi commerciali. Il Natale è vicino. Comprare e spendere è l’impulso immediato cui è difficile sottrarsi. Si è incoraggiati dal cambio di colore per la propria regione, o dal mantenimento del rischio tenue, o infine, più semplicemente, dai provvedimenti emessi da presidenti di regione e sindaci, particolarmente solerti in questa fase.

Le ordinanze sono “interpretative” dell’ultimo dpcm, si dice con pudore; in realtà correttive e modificative delle regole esistenti. Meno limiti è meglio, qualche concessione è necessaria, non nuoce a nessuno. Ora si può largheggiare, ci siamo comportati bene in questi ultimi giorni e le cifre lo confermano. Le regole per salvarci dal contagio occorrono. Meglio però a maglie più larghe. Non farà male un po’ di diversivo dopo tanto grigiore.

L’aria di Natale è solo annunciata, vero, e si vede ancora poco nelle strade, ma il richiamo degli acquisti è comunque irresistibile, importante per l’economia, ragione di vita per le famiglie nei pomeriggi di fine settimana. Gli affari volano, appena il 15% in meno dello stesso periodo pre-Covid. Non ci può essere festa senza regali: pacchettini colorati e infiocchettati da condividere sotto l’albero illuminato, nella magica nottata.

Scarse le luminarie in giro, lontana la tredicesima, pochi i soldi in tasca. Quanto poi allo spirito, non è dei migliori. Non importa. Ci sono già il gusto e l’affanno dei giorni di festa. Anzi la frenesia dell’acquisto all’ultimo minuto, anticipato a prima. È un momento di liberazione, persino un augurio che tutto vada per il meglio. Tanto basta – il permesso di farlo – per scendere in strada, mescolarsi e confondersi spensierati (in genere con la mascherina d’ordinanza).

Lo scopo? Prendere d’assalto vetrine sgargianti. E poi godere fino in fondo quel momento sublime: quando si esce dai negozi con buste e pacchetti, poterli sventolare come scalpo, prova tangibile della riconquistata libertà, prima del rientro a casa soddisfatti. Più che immaginare il piacere del destinatario, conta il gusto dell’acquirente.

Siamo così inebriati dall’impresa, che non ci accorgiamo d’altro. Non siamo contrariati dal traffico, dai gas di scarico, dalle code. Altre volte le stesse cose ci hanno fatto imbestialire e bofonchiare. Abbiamo persino messo da parte il timore del contagio: non ci preoccupa rimanere per ore accanto a sconosciuti, in una vicinanza sospetta e pericolosa.

Era un po’ che avevamo l’acquolina in bocca. Sognavamo di farlo. Ci avevamo fatto un pensierino già al ritorno dalle vacanze estive – girare liberamente per le metropoli illuminate, vedere le novità dell’autunno – ma era andata male. Subito bloccati da nuovi, improvvisi divieti e rinchiusi a casa dagli ordini della seconda ondata Covid, come bambini troppo discoli, rimproverati e puniti dalla mamma per le marachelle delle vacanze.

Perciò ci siamo di nuovo intristiti e crucciati, prima che i numeri e le immagini aiutassero a capire: era il prezzo pagato all’imprudenza e all’imprevidenza. Ora il pensiero è già ai giorni di festa. Chissà quanto durerà l’ansia da acquisto sfrenato e se riusciremo a superare il momento compulsivo. Pensando a riconquistare il senso di libertà, senza tuttavia usarla a sproposito.

Questi giorni passeranno in un attimo, tra nuovi dpcm e ordinanze locali, il solito “tira e molla” sulle restrizioni, e ci ritroveremo presto al cenone. A proposito: come e con chi trascorrerlo? Sembra questo, più che il decorso della pandemia, il dilemma attuale. Che si presenta in forma nuova. Come sarà questo Natale, a confronto con l’anno scorso e con il passato? Molte cose erano già cambiate prima del cataclisma.

I numeri la fanno da padrone: un cenone necessariamente ristretto a pochi intimi è la soluzione più sobria e politicamente corretta. Magari anche più breve, con meno portate, per via degli orari ridotti e del coprifuoco se gli ospiti non sono conviventi. E inoltre badando a qualche cautela in più, insolita trattandosi di raduni casalinghi, ma importante. Bisogna pensare alla nonna novantenne, o alle zie più giovani, si fa per dire, con la salute malandata: occhio agli abbracci troppo stretti. I più esperti potrebbero decidersi per qualche test veloce, prima di cena.

Il numero significa soprattutto esclusione di commensali intorno alla tavola imbandita. Un processo già in corso: non ci sono più famiglie patriarcali, schiere di parenti d’ogni ordine e grado; moltitudini di fratelli e cugini da invitare. Si va per coppie, con o senza figli; parecchi sono i single, per scelta o necessità. I figli, ecco, sono spesso fuori, magari all’estero, per studiare o lavorare: è difficile che possano rientrare in famiglia. Rimangono sulla piazza amici di vecchia data, nuovi conoscenti, parenti ancora vicini: sarà inevitabile una sostanziosa sforbiciata. Non basterà la prudenza. Bisognerà ridurre i posti a tavola, non aggiungerne altri come si largheggiava una volta.

Rinunciare a qualcuno sarà inevitabile, anche se sul momento l’escluso mettesse il broncio. I candidati? Il parente che non sentiamo tutto l’anno. Gli amici/colleghi/vicini di scarsa frequentazione a cui siamo poco interessati. Tutte persone dei quali “dobbiamo” ricordarci a fine anno. Per abitudine, compiacenza, diplomazia. Sfrondare è il suggerimento pratico per le feste, indicato dagli esperti e giustificato da forza maggiore. Magari, seguendolo, non tutto il male verrà per nuocere (a noi).

La composizione della tavola al tempo del Covid è una buona occasione per cambiare registro rispetto al passato e guardarsi dentro. Festeggiare il Natale potrebbe essere un modo di vivere la quotidianità dando valore a sé stessi e alle persone che appartengono al nostro mondo. La festa non è banalizzazione delle giornate, semmai un modo di renderle più intense e gioiose.

Cerchiamo così nel festeggiamento che arriva il motivo per riscoprire l’essenzialità dei legami che contano. Ritrovarsi (solo) con le persone care, questo il senso, imposto dal Covid, della tavola imbandita con l’inevitabile tovaglia rossa. Avrà di sicuro, al centro, il consueto piatto della tradizione familiare. Con un sapore unico e speciale, quello dei ricordi comuni.

 

* Angelo Perrone, giurista, è stato pubblico ministero e giudice. Cura percorsi professionali formativi, si interessa prevalentemente di diritto penale, politiche per la giustizia, diritti civili e gestione delle istituzioni. Autore di saggi, articoli e monografie. Ha fondato e dirige Pagine letterarie, rivista on line di cultura, arte, fotografia.

 

 

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