Chi ha letto Il ramo d’oro di Frazer sa quali terribili minacce incombevano sul capo in lontane ed antiche tribù.
Anche qui da noi i capi sono schiavi dell’opinione pubblica. Ne auscultano ogni minimo battito, ne osservano ogni più lieve movimento, cercando di interpretarne ogni desiderio, sempre pronti a darle ragione od assecondarla senza che a nessuno venga in mente che spesso l’opinione pubblica ha torto, senza che nessuno abbia il coraggio di affermare e di difendere qualcosa in cui creda veramente, anche contro le idee correnti.
E d’altra parte, chi se la sente di contraddirla questa fonte di democrazia e di legittimità? Non i politici, alla ricerca perenne di consenso e di voti; non i giornali e la televisione, perché ci sono tirature e audience da mantenere a tutti i costi; non gli uomini di economia e di azienda, perché hanno tutti qualcosa da vendere a qualcuno; non gli intellettuali, che sono di solito pagati dai primi tre.
Insomma, queste sono le regole del gioco: chi vuol fare il capo deve ben saper rinunciare ad esserlo. E comunque, se proprio si vuol fare il capo, bisogna essere pronti a lanciare sfide sempre più alte, od immaginare traguardi sempre più lontani. Il problema è che ogni tanto qualcuno vuole fare il punto, misurare i risultati.