Ma chi l’ha detto che la nostra è la migliore Sanità del mondo?

Per anni sia è ripetuto che il sistema sanitario italiano fosse uno dei migliori del mondo, se non il migliore. Da cosa derivasse questa convinzione non è mai stato precisato, ma il messaggio è stato ripetuto da politici e media, immodificato fin dalla riforma del ’79, tanto da diventare una specie di mantra: in Italia l’economia va male, la politica spesso appare inadeguata alle esigenze di un paese moderno, la corruzione dilaga, le istituzioni fanno acqua, il sistema pensionistico è al collasso, la criminalità organizzata prospera e le sue entrate superano il PIL della Finlandia… ma per fortuna il nostro sistema sanitario rimane uno dei migliori del mondo, se non il migliore, e una delle pochissime cose da salvare di questo Paese. Ma se davvero le cose stanno in questo modo, se davvero i cittadini contribuenti possono godere di un servizio così straordinariamente efficiente da risultare uno dei primi, se non il primo, del mondo, allora perché per riuscire ad accedere ai suoi servizi occorre aspettare mesi. Perché se un anziano ha bisogno di assistenza l’unica soluzione è quella di andare a intasare i Pronto Soccorso, dove si può restare per giorni buttati su una barella in mezzo al caos più totale. Perché ogni tanto viene fuori uno scandalo sulle nomine dei primari non sulla base dei meriti professionali ma della tessera di partito, e perché, quando sulla stampa si riporta la notizia di un cambio al vertice di qualche ASL o di qualche importante azienda ospedaliera, accanto al nome dei candidati compare sempre, al posto di un breve ed esauriente curriculum che ne faccia comprendere il valore, l’appartenenza politica, se non direttamente il nome del politico di riferimento? E come è possibile che uno dei migliori sistemi sanitari del mondo, se non il migliore, sia da sempre appesantito da un livello di corruzione mostruoso, che sottrae all’assistenza miliardi di euro e, nonostante questo, continuare ad essere una tale eccellenza da essere invidiato nel mondo?

La verità è che il nostro sistema sanitario nazionale non ce lo invidia nessuno, non solo perché non è uno dei migliori, se non il migliore, ma, a conti fatti, sembra essere ben al di sotto della media europea, dietro persino alla Macedonia, che non è più quella di Alessandro Magno ormai da tempo.

Da anni, dunque, chi gestisce il nostro SSN ne decanta le meraviglie, mentre, sempre da anni, chi usufruisce del medesimo SSN si dichiara largamente insoddisfatto di come sono erogati i servizi. Si tratta dunque di una “inefficienza percepita”, un po’ come la vecchia “inflazione percepita” di berlusconiana memoria? O non sarà che è proprio così, che abbiano ragione tutti e due e che il sistema si riveli perfetto per gli interessi di chi lo gestisce e assolutamente insoddisfacente per chi, finanziandolo con le proprie tasse, dovrebbe usufruirne? Già nel 1998, uno studio comparativo del Parlamento Europeo sui diversi sistemi sanitari nazionali considerava i livelli di cura erogati in Italia al di sotto della media europea e poneva l’accento sulla discrepanza tra livelli di spesa e grado di soddisfazione degli utenti. Lo stesso rapporto faceva notare che il grado di soddisfazione è normalmente proporzionale al livello di spesa sostenuto, con due eccezioni, l’Italia, appunto, con alto livello di spesa e bassissimo livello di soddisfazione, e la Danimarca, con basso livello di spesa e alto livello di soddisfazione, attribuendo l’eccezione italiana a due fatti: il frazionamento in 21 sistemi sanitari, tanti quante sono le regioni, con grandi differenze qualitative tra Nord e Sud, e una inappropriata gestione e un cattivo utilizzo delle pur cospicue risorse. Già allora, inoltre, veniva notato come il livello di insoddisfazione fosse in progressiva crescita. Eppure, in tutti questi anni, la favola di quanto fossimo fortunati ad avere un simile sistema sanitario ha continuato ad essere raccontata senza il minimo imbarazzo. Allora può darsi che dalla fine del secolo scorso sia cambiato qualcosa, forse con il consolidarsi del sistema bipolare e l’alternanza al governo, per periodi più o meno equivalenti, tra forze conservatrici e forze progressiste si è modificato lo scenario e il nostro SSN si è rafforzato in termini di equità e efficienza. Per capire se le cose sono o meno mutate negli ultimi tre lustri, si può fare riferimento all’Euro Health Consumer Index, elaborato dall’ Health Consumer Powerhouse, un istituto di ricerca svedese che da anni si occupa di monitorare la performance dei diversi sistemi sanitari europei, e giunto al suo decimo anno di attività. Il rapporto svedese prende in considerazione diversi indicatori suddivisi in sei gruppi a loro volta composti da diversi sottogruppi. I gruppi principali sono: diritti e informazione dei pazienti (12 sottogruppi), accessibilità (tempi di attesa per il trattamento con 6 sottogruppi), esiti delle cure (8 sottogruppi), gamma dei servizi di cura (8 sottogruppi), prevenzione (7 sottogruppi) e accesso e utilizzo dei farmaci (7 sottogruppi). Sommando i risultati di questo ampio ventaglio di indicatori, in totale 48, l’Italia si colloca al 22° posto in Europa, sopravanzata da paesi di recente ingresso nel novero dei paesi occidentali, come Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Slovenia e Macedonia, paesi che nel frattempo hanno anche dovuto riparare le profonde ferite inferte al loro tessuto sociale ed economico da anni di appartenenza al blocco comunista. Da notare che nel 2009 il nostro Paese risultava collocato al 15° posto e già nel 2012 al 21°. Ma qual è il motivo di una così bassa performance del nostro SSN rispetto al resto d’Europa e del suo progressivo e inarrestabile declino? In realtà i motivi sono molteplici e di natura diversa. Il primo è rappresentato dal sistema in sé. I Paesi che si collocano peggio in Europa, relativamente al PIL, sono quelli che hanno scelto il modello introdotto in Inghilterra dal primo governo laburista post bellico, il sistema Beveridge, dal nome del suo creatore, basato sull’utilizzo della fiscalità generale per garantire a tutti i cittadini prestazioni gratuite e paritarie, che si è dimostrato nettamente perdente rispetto al sistema così detto bismarckiano, basato sulle assicurazioni sociali con una maggiore o minore integrazione da parte dello Stato, a seconda dei diversi paesi. Da notare che il sistema bismarkiano è stato in vigore in Italia fino alla riforma del 1979, ma non era percepito dalle forze politiche della sinistra come sufficiente democratico, equo e universalista. Il secondo motivo risiede nella straordinariamente grande disparità di risorse e di organizzazione tra le diverse regioni italiane, la maggiore disparità interna di tutta l’Europa, con le regioni del Nord che realizzano performance di assoluta eccellenza europea e le regioni meridionali che totalizzano punteggi da Terzo mondo. La sommatoria finale fa sì che il punteggio medio totalizzato sia molto al disotto della media continentale. Il terzo motivo, tutto italiano, tanto da rappresentare una sorta di eccezione rispetto al trend mondiale, ed evidenziato dal rapporto 2014, risiede nell’altissimo livello di corruzione generale e in campo sanitario in particolare. Normalmente il livello di corruzione di un paese è inversamente proporzionale al suo PIL. Fa eccezione ancora una volta l’Italia, che presenta un alto PIL e un altissimo livello di corruzione. Questo dato, innestato nel sistema sanitario “beveridgiano” e con l’aggiunta, tutta nostrana, di un totale, si potrebbe dire militare, controllo politico della gestione, fa si che, a fronte di una spesa pro capite tra le più alte d’Europa, il giudizio finale dei cittadini contribuenti sia pessimo e che tale giudizio non dipenda da una “inefficienza percepita”, ma da una inefficienza reale del sistema. Controllo totale della gestione, controllo dei concorsi, delle assunzioni e delle nomine (in una parola, clientela politica) spreco di pubblico denaro, corruzione, tangenti, appalti senza fine e spesso fatti e rifatti, ecco spiegata la discrepanza tutta italiana tra alto livello di finanziamento del sistema e scarsa qualità media dei risultati. Così come è organizzato, dunque, il nostro SSN rappresenta il migliore dei mondi possibili solo per chi lo governa e che ricopre contemporaneamente, caso inconcepibile per il buon funzionamento di qualsiasi sistema produttivo, il ruolo di committente, erogatore e controllore. Chi governa il sistema, in sostanza, gestisce l’erogazione dei servizi, provvede al pagamento del servizio stesso e, in caso di criticità, controlla e riferisce a se stesso per i necessari provvedimenti. Non sarà per questo che, dopo averlo meritoriamente avversato nella sua formulazione originaria e dopo avere fatto le barricate in Parlamento contro tutte le successive riforme, tutte inutili se non peggiorative, i partiti non di sinistra, una volta giunti al governo delle diverse regioni, si siano rapidamente acconciati anch’essi a usufruire a man bassa, e senza mostrare alcun pudore, dei dividenti clientelari che questo tipo di sistema comporta per chi lo gestisce?

Da anni, ormai, il miglior sistema sanitario pubblico d’Europa si conferma il sistema sanitario olandese. Un sistema originale, molto complesso, che prevede il coinvolgimento del settore assicurativo con una forte concorrenza tra le diverse compagnie e regolato da un’Autorità indipendente non controllata dalla politica. Sarebbe possibile una riforma di questo genere in Italia? Occorrerebbe una classe politica determinata, dotata di sufficiente forza di immaginazione, o più semplicemente brava a copiare quanto da altri già realizzato, e disposta a rinunciare al controllo sulla gestione, con tutte le implicazioni, per lei negative, sui dividendi clientelari. Fra l’altro, del sistema sanitario olandese nessuno nel nostro paese riesce a dir male, ma per i nostri politici vale il vecchio detto: video meliora proboque sed deteriora sequor.

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