Trump, patatrak

Impressionanti i volti di Trump e di Obama nell’incontro alla Casa Bianca, incontro che al di là di apparenti buone maniere, mostra la realtà dura e amara di due mondi che non possono comunicare.

Il viso austero, serio, bello e preoccupato di Obama a fianco del viso assente, lontano e annoiato di Trump. Forse entrambi consapevoli di svolgere solo un compito istituzionale doveroso: impedire ulteriori divisioni nel paese con lo slogan “Siamo tutti americani”. Purtroppo questo slogan ci sembra molto esaurito nella consapevolezza del popolo americano. Certo la Clinton si poteva risparmiare l’infelice uscita “chi vota per quello lì è un miserabile” e anche il presidente eletto poteva cercare di tenere un po’ più alto il livello del dibattivo, ma tant’è. L’America, lo sanno anche i bambini, è dura e per il successo ogni colpo basso è lecito. Ma qui stavolta è successo qualcosa di grave, di molto grave: il conformismo ha bendato gli occhi e le orecchie e la curiosità dei media americani. La melassa vischiosa del politically correct ha tolto passione e verità alla campagna della Clinton ed avvicinato a Tramp ed alle sue promesse la classe media della sterminata provincia americana delusa e spaventata dalla situazione di precarietà economica e sociale. Ed ora Donald è presidente Che farà? Non molto.

Qualche accordo di convenienza con la Russia e lascerà l’Asia alla Cina. Viva la dottrina Monroe. Isoliamoci nel nostro, apparente, paradiso. Per quattro anni basta coi furori ideologici e sanzionistici del politically correct.

I democratici dovranno riflettere molto sulla trappola nella quale si sono cacciati. Candidare la signora Obama fra quattro anni sarebbe, a mio parere, un altro errore. Gli americani non amano le monarchie ereditarie.

 

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