A meno di una settimana dal voto delle Regionali in Sardegna, continua la protesta dei pastori sardi che negli ultimi mesi hanno visto il prezzo del latte crollare a meno di 60 centesimi a litro, a fronte di un costo medio variabile di produzione, stimato da ISMEA, di 74 centesimi.
Nella settimana scorsa i pastori si sono mobilitati in massa, le proteste sono cresciute e dalle campagne sono arrivate fino a Montecitorio. Secondo gli allevatori, il prezzo riconosciuto non è che una piccola “elemosina” che non riconosce, e anzi scredita, il duro lavoro svolto in oltre 12mila allevamenti presenti sul territorio che curano circa 2,6 milioni di pecore, il 40% del totale nazionale. Piuttosto che svendere il frutto del loro lavoro, ed affrontare una perdita di circa 14 centesimi per litro di latte venduto, i pastori hanno preferito sversare sulle strade circa 15 milioni di euro di latte, e di lavoro, come affermato da alcuni rappresentati del movimento. Di certo, il latte di pecora non sprizza dal sottosuolo come il greggio, ma è il risultato di tempo, fatica e passione impiegati nei pascoli da uomini e donne.
Se non altro, il gesto estremo ha sortito l’effetto desiderato, le immagini della “marea bianca” che ha inondato strade, autostrade e piazze, non solo dell’Isola, si sono diffuse in maniera virale generando sgomento sui Social e attirando l’attenzione del Governo e delle forze politiche che, forse anche in vista delle elezioni regionali del 24 febbraio, hanno eletto il pecorino a formaggio preferito, manifestando il loro sostegno a favore dei pastori.
L’esasperata protesta non è solo il risultato dello stato sfavorevole dei mercati, ma testimonia una realtà di estrema fragilità e di forte dipendenza economica di una categoria di imprenditori agricoli che, da più di una decina di anni, lamentano le mancanze strutturali e gli squilibri interni alla filiera.
Infatti, dei tre milioni di quintali di latte prodotti ogni anno, circa il 60% è destinato alla produzione di Pecorino Romano DOP, un prodotto altamente vocato all’export, che dopo una crescita della produzione nel corso del 2017, ha risentito di un calo della domanda, soprattutto nel mercato Usa. Il forte legame di dipendenza tra pecorino e latte sardo ne lega i prezzi (così come la sorte dei pastori) all’andamento dei mercati internazionali negli Stati Uniti e in Canada dove la guerra dei prezzi è spietata. Come se non bastasse, in questi mercati i prodotti Made in Italy sono messi a rischio dal fenomeno dell’Italian Sounding, anche ad opera di alcuni produttori europei.
Così i trasformatori del consorzio del Pecorino Romano DOP, vengono accusati di trasferire sulle spalle dei pastori l’onere dell’abbassamento dei prezzi del pecorino per favorirne l’export, imponendo prezzi al di sotto dei costi di produzione. Nel far ciò, i trasformatori abusano del loro potere contrattuale che, secondo l’Antitrust, è di gran lunga maggiore di quello dei pastori; sia per l’elevata deperibilità del prodotto sia per la frammentaria realtà delle imprese di allevamento. Per ora l’Antitrust ha aperto un’istruttoria nei confronti degli operatori aderenti al Consorzio per accertarne l’ipotesi; altre accuse arrivano nei confronti dei Consorzio, lo stesso Ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, sostiene che esso non effettui controlli sufficienti a garantire la provenienza del latte, mentre la Coldiretti si spinge a chiederne il commissariamento.
Si attende ora il risultato del tavolo nazionale di filiera, fissato a Roma per il 21 febbraio. Per il momento, né le contrattazioni svoltesi al Viminale giovedì scorso, né quelle di sabato a Cagliari, hanno portato a un accordo, mentre il malcontento e le proteste dei pastori crescono sempre di più e mettono a rischio le stesse elezioni del 24. L’ultimo prezzo offerto, di 72 centesimi a litro, non è abbastanza; per il resto, sono solo promesse. L’impegno del Governo di stanziare, insieme a Regione e privati, 49 milioni di euro per ritirare dal mercato 67mila quintali di forme di formaggio, avverrà con i tempi lenti della burocrazia e non garantisce l’aumento graduale dei prezzi del latte al di sopra di un euro più Iva, quanto richiesto dai pastori.
Oltre che non essere direttamente indirizzata ad aiutare i pastori, questa manovra di salvataggio milionaria rischia di non essere altro che una toppa su una falla ben più grande, per questa come per tante altre filiere in agricoltura. La distribuzione del valore e del potere contrattuale è totalmente sbilanciata verso le fasi di trasformazione e distribuzione, i prezzi dei prodotti finiti sono ridotti all’inverosimile. Basti pensare che per fare un chilo di pecorino servono circa 8 litri di latte, per capire che se il prezzo del latte dovesse essere fissato ad un euro a litro, il costo del pecorino lieviterebbe ben oltre i 6 euro al chilo. Dunque, anche i consumatori devono fare chiarezza su quanto sono disposti a pagare per un prodotto di alta qualità come la DOP in questione e riconoscerne il lavoro e la fatica in esso contenuta.
Oltre che ad un immediato incremento del prezzo del latte al di sopra di un euro a litro, i pastori chiedono incentivi per le imprese di allevamento per rafforzare la loro capacità cooperativa, abbattere i costi di produzione e ridurre la dipendenza dal pecorino, incentivando la diversificazione della filiera. Inoltre, chiedono di intensificare i controlli di origine delle materie prime onde evitare l’alterazione illegale dei prodotti finiti, e di intervenire con investimenti strutturali per: ridurre la insularità della realtà sarda ed abbattere i costi di trasporto; aumentare la sicurezza energetica ed ambientale e stimolare le sinergie con enti di ricerca e con l’industria di trasformazione per aumentare la competitività e la sostenibilità della filiera.
Al di là di ogni polemica, è vitale ribadire la grandissima importanza, economica, sociale ed ambientale del comparto per il territorio sardo e per la stessa nazione. Con la loro attività i pastori contribuiscono a dar valore all’ambiente e al paesaggio. Su quel prezzo del latte, oltre che alla cura dell’ambiente e degli animali, poggia il benessere di centinaia di migliaia di persone impiegate nella pastorizia e nei settori collegati, sia a monte, come i produttori di mangimi, agronomi e veterinari, che a valle, come quegli stessi operai, impiegati nei caseifici industriali, oggi costretti a “ferie forzate” per lo stop della produzione.
Mario Serpillo è il Presidente nazionale dell’UCI, Unione Coltivatori Italiani