La “lobby delle lobby” ha raggiunto il suo scopo e il suo mondo ufficioso, ma non per questo meno importante e determinante nella formazione, ad esempio, delle leggi e dei processi decisionali, è rimasto dal punto di vista legislativo in un limbo indefinito.
Il volume fresco di stampa di Vincenzo Mascellaro e Carlo Pappagallo (Politica e potere, l’Italia delle lobby, edizioni Minerva, prefazione di Giancarlo Caselli e di Gian Maria Fara), fa il punto su un tema di pungente attualità, affrontando il tema delle lobby in Italia a trecentosessanta gradi.
È il primo volume organico redatto dopo la legge Severino (2012) sul “traffico di influenze illecite”, reato la cui applicazione si è rivelata nei fatti fumosa e vaga. Il provvedimento di regolamentazione generale del settore che avrebbe dovuto fare seguito alla legge è rimasto invece sospeso nel nulla. Una regolamentazione strutturata e organica non è mai arrivata e la professione di lobbista resta ammantata nel grigio della diffidenza con cui viene pronunciata troppo spesso la parola. Il lobbista è un soggetto che l’aneddotica svilisce con definizioni che vanno dal “trafficone” fino al millantatore, quando va bene.
Gli autori spiegano nel dettaglio come, quando e perché si è arrivati alla sistematica demolizione di ogni tentativo di normazione di tale attività. C’è stata una volontà concreta e pervicace di lasciare la situazione nel grigiore dell’indefinito dove tutto è possibile, le leggi in materia sono un albo volontario che è difficile capire anche se sia stato aggiornato. Un puzzle di norme del codice civile sono l’unico appiglio al quale si può fare riferimento. Gli autori, forti della loro esperienza professionale ultradecennale, tracciano il quadro della situazione avvalendosi delle testimonianze di otto autori che offrono il contributo della propria esperienza personale nell’attività di lobbying.
Alla latitanza del nostro Paese fanno da contraltare le discipline degli Stati che hanno già posto rimedio, legiferando e regolamentando l’attività: gli autori li inanellano in un’analisi attenta e puntuale. A pensar male si fa peccato (come ha sentenziato qualcuno), ma il pensiero che la volontà di lasciare questa attività nel grigio dell’indefinito venga proprio dai soggetti che operano in situazioni “borderline” è molto forte.