Democrazia, libertà e salute: valori sotto scacco in tempo di pandemia

Il saggio di Michele Mezza (Il contagio dell’algoritmo, ed. Donzelli) giornalista Rai già inviato in Russia e in Cina, docente presso l’Università Federico II di Napoli, è uno scritto che merita grande attenzione, perché entra sulle grandi questioni del nostro tempo. Se ne è parlato in un recente e molto partecipato evento-dibattito che si è svolto nella Capitale promosso dall’Associazione Culturale “Happening Cult” (www.happening-cult.com) che ha visto la partecipazione dello stesso autore e di Armando Traverso. La pandemia – questa la tesi di fondo del volume – è la cartina al tornasole di una più ampia crisi delle Istituzioni democratiche che deve farci riflettere. Lo spazio pubblico è diventato uno spazio numerico in cui solo la potenza di calcolo ha piena agibilità. A fronte di questo «bisognerà trovare la forza per dare vita a un’identità sociale altra rispetto alla dinamica del mercato. Una sfida che attiene per definizione alla sinistra, ma che investe un’intera classe dirigente, se vuole essere al passo con i tempi».

Sul controllo e sulla capacità di lettura dei dati si sta, infatti, giocando la possibilità di contrasto della “nuova peste” che ci attanaglia. Diventa dunque essenziale, come sostiene il virologo Andrea Crisanti, autore di un saggio contenuto nel libro, che le autorità pubbliche abbiano piena autonomia all’accesso delle fonti per poter affinare una strategia efficace. Questo purtroppo non sta avvenendo, ci stiamo di fatto piegando agli interessi di Google e Facebook, monopolisti del mercato digitale. «I padroni del calcolo dividono il mondo in calcolanti e calcolati, perché sono loro i nuovi “imperatori” che dominano il pianeta». Le conseguenze di questo sono sotto gli occhi di tutti, e portano un terribile carico di morti, peso intollerabile per una società che si definisce evoluta e tecnologicamente avanzata.

L’intervista

Stiamo vivendo, come giustamente sottolinei nel tuo interessante saggio, la più grave crisi sociale in tempo di pace. Cosa ci sta insegnando la pandemia e cosa ci ostiniamo a non capire?

La pandemia sta riorganizzando le nostre relazioni sociali. Dopo che per tutta una lunga fase dell’antropocene abbiamo identificato il progresso e la civiltà con l’avvicinamento e il rapporto diretto fra gli esseri umani, ora siamo costretti a ripensare la famiglia, il lavoro, la scuola, il tempo libero, in base al distanziamento sociale. Questo ci sta portando a riclassificare gerarchie e modelli di vita, con schemi del tutto inediti. Il secondo aspetto su cui vorrei insistere riguarda l’algoritmizzazione della società, come scriveva Ivan Illich, ossia la strutturazione di linguaggi, procedure, esperienze e decisioni in base esclusivamente a indicatori numerici, dove proprio la natura e la qualità del numero, nel suo ancora esoterico simbolismo, ci sintetizzano brutalmente la complessità di un ragionamento. Il protagonismo del numero, che io poi riconduco al dominio dei titolari di queste procedure, determina ormai ogni decisione istituzionale. Lo spazio pubblico è diventato uno spazio numerico in cui solo la potenza di calcolo ha piena agibilità.

Contagio e algoritmo, medicina e matematica, politica e capacità previsionale. Il vulnus più grave, che ci ha trascinato in questa tragica situazione, è a suo giudizio imputabile all’incapacità di comprendere lo stretto legame che intercorre tra questi due versanti?

In questo passaggio d’epoca appare concreta e clamorosa la mancanza di una cultura scientifica dei ceti dirigenti, persino di quelli manageriali. Da Galileo sappiamo che il libro della vita è scritto con il linguaggio della matematica. Lo stato nazionale nel XVII secolo si afferma mediante il controllo della violenza e dei numeri, inventando la statistica, nell’Inghilterra della rivoluzione di Cromwell. Nella spaventosa epidemia spagnola – siamo a cavallo della prima guerra mondiale – Donald Ross, il padre degli epidemiologi moderni aveva già spiegato che una pandemia è essenzialmente un fenomeno matematico di cui bisogna afferrare meccanismi e tecnicalità se vogliamo combatterla. Oggi tutto questo ci è visibile e inesorabile.

Tutte lezioni che abbiamo dimenticato, purtroppo…

Al lettore pongo e mi pongo una domanda: come mai questa epidemia ci è raccontata non da medici ed epidemiologi ma da matematici e fisici? La risposta è che il virus è esattamente una particella che vaga nell’ecosistema come tutte le particelle che la fisica studia: con le stesse dinamiche e reazioni, oltre che con la stessa possibilità di analisi e di previsione. Ed è qui che si gioca la partita: quali sono i dati essenziali per prevenire l’incubazione? Da quello che abbiamo vissuto – lo spiega lo stesso Andrea Crisanti in un intervento cui è dedicato un capitolo del saggio – sono i dati di Rete, quelli di Google e Facebook, che stiamo regalando ai monopolisti del mercato digitale rinunciando a prevenire le fasi acute del contagio.

L’eredità di Giulio Giorello

Nel testo “aleggiano” la sensibilità e lo spirito di Giulio Giorello. “Siamo nel gorgo tra libertà e sicurezza” diceva il grande epistemologo allievo di Geymonat. Come si può uscire da questo dilemma che sta segnando la contemporaneità in modo drammatico?

Giorello è stato un grande maestro e un amico straordinario. A lui devo proprio l’intuizione del libro, che avevo cominciato a discutere poco prima che si ammalasse, a marzo. La sua storia per altro è un monumento dell’incapacità di una società di proteggere i propri cittadini, che in Lombardia si è rivelata in tutta la sua terribile ferocia. Ho voluto, grazie alla testimonianza commovente di Roberta Pelachin, moglie e compagna di lavoro di Giorello, raccogliere la sua ultima lezione per rappresentare un approccio che benché non sia il mio, non può essere esorcizzato o banalizzato: per lunghi tratti, ancora oggi si propone il dualismo fra libertà e sicurezza, che costringe la politica, lo stato, in particolare la cultura progressista a riflettere su quanto sta accadendo nel mondo. Nelle recenti elezioni americane nelle 376 contee dove si sono avuti più morti per Covid-19, il Presidente Trump con le sue strampalate sparate anti terapeutiche è risultato il primo in ben 356, è evidente che esiste un popolo liberista che non accetta la disciplina pubblica. Come si fa a parlare con questi soggetti?

Nel “tempo sospeso” dell’emergenza cosa sta accadendo alle Istituzioni e alla qualità della democrazia?

Per rispondere bisogna tornare al buco nero del rapporto fra libertà e sicurezza. La democrazia si sta inaridendo. La filosofa Donatella De Cesare in un suo saggio pubblicato proprio nell’estate, interpreta la democrazia della pandemia come un regime noli me tangere, che tradotto vuol dire “separazione molecolare”: ogni individuo si arrocca nella sua tana e considera il prossimo un nemico. Questa dinamica sta svuotando proprio l’idea di aggregazione e partecipazione, vitale per una democrazia rappresentativa. Come dicevo prima, il distanziamento sociale rovescia i comportamenti tradizionali del progresso, basato sull’avvicinamento e la relazione diretta. Oggi bisogna accentuare i meccanismi di coinvolgimento e di deliberazione partecipata, attraverso le modalità che la Rete rende plausibili, per ridurre l’effetto alienante della terapia.

Mentre siamo nel bel mezzo di una seconda “orribile ondata”, improvvisamente viene annunciato l’arrivo imminente del vaccino. Il sospetto che ci sia una regia occulta emerge. “A pensare male si fa peccato (…) ma spesso si finisce con l’avere ragione”. Chi ci guadagna da questa crisi planetaria?

Non credo per cultura a una regia planetaria, credo a speculazioni e inerzie. Speculazioni di gruppi che stanno trasformando la pandemia in un saccheggio dei dati di tutta l’umanità, e inerzia di Istituzioni e comunità politiche che non colgono la straordinarietà di questo passaggio critico.

Le “Idi di marzo” del contagio e il “novello” Augusto

Le “Idi di marzo” della pandemia. Quello che stiamo sperimentando, viene spiegato molto bene nel saggio, rievoca un punto di snodo della storia universale come l’uccisione di Cesare. Non è un’analogia un po’ forzata?  

Intanto, mi soffermerei sulla suggestione cronologica: il fatidico mese di marzo torna ad essere uno spartiacque della storia del mondo. Come è avvenuto allora, la storia si data prima e dopo quell’evento storico. Poi la dinamica dello scenario: un turbine che in pochi minuti cambia la storia, illude qualcuno che si possa far tornare indietro il tempo, che si prende invece la sua rivincita con un’improvvisa accelerazione. In quell’epoca con Augusto, adesso con la pandemia, che “piega” le Istituzioni, trasformando e concentrando i poteri.

La domanda a questo punto diventa: chi è l’Augusto della contemporaneità?

Per rispondere bisognerebbe individuare chi è capace di finalizzare eventi e circostanze anche diversi fra loro in un unico disegno complessivo. Sono di fatto i “padroni” del calcolo che dividono il mondo in calcolanti e calcolati, perché sono loro i nuovi “imperatori” che dominano il pianeta.

Potenza di calcolo, big data, automatizzazione, la decisione non è più della politica, avviene e si matura in altri àmbiti. Esiste una nuova entità difficile da collocare nella tradizionale dialettica tra i poteri, che decide per noi sul nostro futuro. Il controllo dei dati insieme alla grande capacità di calcolo, appare come il deus ex machina della società digitale. Quali sono le conseguenze di tutto questo sul piano dei diritti di libertà e della sovranità che dovrebbe appartenere ai cittadini?

Come diceva Musil, chi dice che inizia una nuova èra non sa in che èra sta vivendo. Significa che i processi e le dinamiche di cui abbiamo parlato erano già in atto prima del marzo del 2020. Ma con quel mese tutto cambia, diventando cronaca. La centralità del calcolo, con il corredo del monopolio dei big data, ci porta a chiederci se questo scenario debba essere popolato da conflitti e negoziati o debba rimanere una plaga pulviscolare dove ognuno cerca nicchie individuali. Tutto si gioca su questo: l’algoritmo è negoziabile? È il luogo di un nuovo patto sociale? Dalle risposte a questi interrogativi discende la speranza di una democrazia immunitaria. Un esempio concreto lo possiamo riscontrare nella prefazione di Enrica Amaturo che fa comprendere molto bene quello che è avvenuto al governo inglese che aveva adottato l’algoritmo per valutare milioni di studenti, sollevando una forte contestazione, sfociata in una vera e propria protesta sociale.

Un’ultima sollecitazione viene dall’interessante metafora utilizzata nel saggio: il “delta” contrapposto al “duomo”, cui corrisponde il concetto di “cura” e di “terapia”. Sullo sfondo di questa contrapposizione si intravede quanto è successo in Veneto e in Lombardia, che sono diventati “paradigmi” a confronto, sui metodi di intervento e di contrasto del Coronavirus. Il messaggio sembra essere questo: senza un salto epistemologico, culturale e filosofico sarà impossibile superare la pandemia. È una lettura corretta?

Anche su questo aspetto c’è poco dibattito purtroppo. Le due esperienze, su cui mi concentro anche grazie al contributo di Andrea Crisanti diventano da manuale di cultura politica, “verticale” e “orizzontale”, come diceva Vittorio Foa, il conflitto moderno si basa su questo. Quello che vedo è una folle corsa alla semplificazione. Le regioni – si dice – non hanno funzionato, centralizziamo tutto. Come se lo stato centrale possa dirsi innocente. Il Veneto con la sua tradizione di governo orizzontale, pensiamo al delta del Po’, ci mostra come sia stato possibile contrastare il virus rispettando le diverse sensibilità e l’efficienza delle realtà locali. Credo che bisogna ripartire da quella esperienza.

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