Ezio Cesarini. Italiano, antifascista, giornalista

Ezio Cesarini – Italiano Antifascista Giornalista è il titolo dell’ultimo libro di Claudio Santini (Minerva Edizioni), che ripercorre, in poco più di 140 pagine, la storia di un grande protagonista della vita politica, culturale, giornalistica della città di Bologna, com’è stato Ezio Cesarini. Il libro prende il via dall’infanzia e dai primi lavori per la casa editrice Messaggerie italiane (1914), nonché dalle prime prove di iniziazione alla professione giornalistica su La Squilla, giornale dei giovani socialisti bolognesi.

Una narrazione accompagnata da foto, ritagli di giornale, documenti, ricordi

Il libro di Santini rivela un accurato lavoro di ricerca, attraverso il quale sono stati portati alla luce documenti inediti; la narrazione è accompagnata da foto, ritagli di giornale, documenti, ricordi dei parenti. Un’attenta ricostruzione storica ci conduce, attraverso la formazione professionale e politica del giovane Cesarini, in una Bologna che da bolscevica diventa fascista, teatro di scontri ideologici e di stragi – come quella di palazzo d’Accursio – che finiscono per alimentare il clima di paura e di repressione voluto dal Regime. È in questo contesto che Cesarini, socialista moderato, si iscrive all’Unione rionale fascista, non per una mutazione ideologica, bensì per questioni lavorative e professionali, dal momento che intende diventare giornalista.

Il duce e il leader del Psi Nenni: storia di un’amicizia

Nel 1925 comincia la sua collaborazione, come segretario di redazione, con il Resto del Carlino, il quotidiano locale ormai entrato nell’orbita fascista dopo una serie di passaggi politici: dalla linea editoriale di stampo liberale passa ad una di stampo conservatore più vicina alla destra, con riferimento all’ormai noto e influente ras locale, Leandro Arpinati. Nel 1927, in seguito all’obbligo, per i giornalisti, dell’iscrizione al Pnf, pena la perdita del lavoro, Cesarini prende la tessera del Partitoche con una tetra ironia chiamava “tessera del pane” – e viene incaricato di occuparsi della cronaca nera. Fin da subito si rendeva conto però che il clima politico intorno a lui stava per cambiare e che stava per arrivare il peggio, anche sul posto di lavoro; ed è proprio pensando al pane e alla famiglia che decide di continuare per la sua strada, senza mettersi troppo in mostra, comportandosi sempre con diligenza nel suo lavoro di giornalista.

La partenza per l’Africa e il giornale di Addis Abeba

Qualche anno più tardi, nel 1933, quando il capo del fascismo bolognese Arpinati viene arrestato e mandato al confino tutti i suoi sostenitori vengono emarginati: anche lui, accusato, e non si sa quali basi, di essere uno di loro, cade in disgrazia, e per riavere la tessera del Partito Fascista e, ovviamente il lavoro, decide di partire per l’Africa Orientale. Qui è tra i fondatori e redattori del giornale di Addis Abeba, questa parentesi della colonia fascista gli permette di riacquisire la tessera del fascio e il lavoro.

La morte per mano fascista nel 1944

Arrivano gli anni della guerra e quando il 25 luglio del ’43 il Regime fascista cade, Cesarini è alla testa di un gruppo di tipografi de il Resto del Carlino che tiene un comizio di piazza per inneggiare alla ritrovata libertà. È proprio al grido di “Viva l’Italia libera” che morirà, fucilato dai fascisti nel gennaio del 1944, dopo essere stato processato – insieme ad altri nove uomini – quale autore dell’esecuzione del segretario federale del Pfr, Eugenio Facchini. Nessuno dei dieci imputati è però presente al processo, e nessuno di loro è a conoscenza del fatto. La sentenza di condanna a morte è, ovviamente, inappellabile e deve essere eseguita la mattina del giorno seguente, il 27 del 1944.

Una triste pagina della storia nel nostro Paese

Secondo la ricostruzione del figlio, Metello Cesarini, prima della scarica di fucile si era fatto accendere il sigaro, un toscano che stringeva tra i denti: tutti, infatti, lo conoscevano così, con il toscano fumante in bocca che si aggirava per le strade con il suo straordinario fiuto da reporter, sempre a caccia di notizie. La ricostruzione della vita, ma soprattutto della morte, di Ezio Cesarini, permette di gettare nuova luce su quella che è stata una triste pagina della storia del nostro Paese e, in modo particolare, su quella che è stata una categoria professionale – quella del giornalista – troppo spesso messa a tacere dal Regime fascista anche con la morte.

Un fedele testimone del suo tempo

Tuttavia, nonostante lo stesso Cesarini riconoscesse la necessità di intrattenere rapporti apparentemente cordiali con il Regime – se non altro per le esigenze economiche per il sostentamento di una famiglia di 5 persone – nella sua vita ha dimostrato anche come la professione stessa del giornalista debba essere indipendente, libera e svincolata da qualsivoglia imposizione politica, ideologica o di censura. Fedele testimone del suo tempo, e di molti che come lui non si sono mai piegati alla volontà del Regime, Cesarini è diventato uno dei simboli della Resistenza di Bologna, tanto che le sue spoglie sono state deposte nel Sacrario dei Martiri della Resistenza alla Certosa.

Il Comune della città gli ha intitolato una strada e l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna gli ha reso omaggio dedicandogli la sala delle conferenze. L’Associazione Stampa Emilia Marche ha fatto allestire una lapide in suo onore. Nell’atrio della sede de il Resto del Carlino fu murata una lapide con una epigrafe che recita: «Ezio Cesarini, giornalista, lottò e morì perché l’Italia fosse libera. Iniqua sentenza lo trasse davanti al plotone fascista il 27 gennaio 1944. L’Associazione Stampa Emiliana, fiera del suo glorioso Caduto, ricorda con Lui il pubblicista Giovanni Brizzolara vittima dello stesso odio di parte».

La guerra di Robert Capa, foto d’incanto in mostra a Palermo

Questi sono solo alcuni dei gesti che hanno reso omaggio alla memoria di un martire del fascismo, così come lo è il libro di Santini, mezzo per farne conoscere la vita e la battaglia. Nella parte conclusiva del libro, il ricordo del figlio Metello è dedicato proprio ai giovani allievi della Scuola di Giornalismo di Bologna, per mantenere vivo l’esempio di ciò che significa essere un professionista amante della libertà un uomo che «[…] aveva della libertà un concetto per così dire molto intimo, al punto da identificarla con la vita stessa, la vita di tutti i giorni intendo».

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