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Il 25 aprile e la stagione della pandemia

di
Angelo Perrone*

Il 25 aprile 1945, giorno dell’insurrezione generale contro il regime nazi-fascista nei territori ancora occupati, segnò la svolta conclusiva della lotta partigiana durante il ventennio di oppressione. Il momento culminante della Resistenza, dell’opposizione alla dittatura e all’invasione tedesca.

Già l’anno successivo ‒ con la guerra conclusa da poco, con il Paese ancora disastrato e coperto da macerie, con il compito immane di provvedere alla ricostruzione ‒ quella data venne scelta come festa nazionale. Fu sentita l’urgenza di indicare nella liberazione dal fascismo uno dei momenti più importanti della storia dell’Italia. La decisione ebbe una duplice motivazione.

Antifascismo come fondamento della nuova Italia

C’era la volontà di manifestare gratitudine e riconoscenza nei confronti di quanti (uomini, donne, di qualunque opinione) si erano battuti in modo coraggioso e talvolta con il sacrificio della vita stessa. Ma, nello stesso tempo, si voleva anche dare un segnale politico: qualificare l’antifascismo come il fondamento della nuova Italia, il Paese che stava nascendo nella libertà e nella democrazia, in condizioni disperate.

Era quella, la liberazione dalla dittatura, l’origine del nuovo ordine che poi avrebbe avuto gli altri capisaldi nel referendum istituzionale (con la scelta della Repubblica) e poi ancor più nella stesura della Costituzione, la carta dei diritti e dei doveri, delle regole democratiche, la base giuridica e istituzionale dell’Italia riunita e liberata.

25 aprile simbolo di una storia di individui e di un popolo

Il 25 aprile era il simbolo giusto; racchiudeva, nella semplicità della data, la storia degli individui e la storia di un popolo: le imprese compiute dai singoli e il significato generale della reazione popolare all’oppressione. Nella Resistenza si era verificato uno straordinario incrocio di destini e non solo perché gli uni si erano ritrovati a combattere accanto agli altri, senza magari conoscersi prima e avendo professato idee differenti e magari opposte: i liberali accanto ai comunisti, i socialisti insieme ai cattolici.

C’era stato anche questo. Sorpresa. Stupore. Dolore. Generosità. Altruismo. Coraggio. Gente comune e Chiesa cattolica che salvavano ebrei dal massacro. Operai, contadini, professionisti ed impiegati insieme sulla via della clandestinità per i sentieri di montagna. Professori ed intellettuali che non si piegavano alle direttive del partito, mantenendosi liberi, offrendosi alle ritorsioni.

C’era stata, in tante scelte compiute dai singoli, ognuno alle prese con la propria coscienza, una consapevolezza ulteriore, per tanti versi sorprendente in un paese come l’Italia, portatore di una tradizione radicata di individualismo e particolarismo; in una parola, di campanilismo, difficile da estirpare, degenerato in egoismo sociale oltre che individuale.

25 aprile come riscoperta dei valori comuni

Ebbene, la Resistenza portava con sé la riscoperta dei valori comuni, dei legami che facevano, di tanti individui separati, in polemica tra loro, addirittura un popolo. Un po’ alla maniera che si era vista durante il Risorgimento, quando sembrava non ci fosse distanza tra Nord e Sud, tra lombardi e siciliani e romani. Tutti dallo stesso lato, per costruire insieme il Paese unito.

Il 25 aprile porta con sé questo significato, oltre il ricordo di tante storie esemplari per coraggio e fermezza d’animo. Proprio le azioni di ciascuno hanno formato il destino di tutti. La data sta a sottolineare come, in un momento tra i più tragici della loro storia, gli italiani abbiano saputo riscoprire le ragioni dello stare insieme, l’appartenenza alla medesima comunità, grazie all’esempio dei singoli, così generoso ed altruistico. Appunto nel nome – più generale – di tutti coloro che combattevano la stessa battaglia, disposti a sacrificare sé stessi.

Fuori da ogni retorica, il valore del 25 aprile è il riconoscimento della necessità di un cammino comune sulla strada del progresso e del superamento delle difficoltà, attraverso l’impegno profuso dai singoli. Una somma di individualità destinata a diventare altro, una società solidale.

Si può immaginare la sorpresa degli studenti mentre Piero Calamandrei, nel 1955, spiegava loro la neonata Costituzione, raccontando che lì dentro c’era «tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie». Di questo passo, quei poveretti strabuzzavano gli occhi stupiti: se avessero voluto cercare le origini della Carta sarebbero dovuti andare, non nelle biblioteche o negli archivi giuridici, ma «nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare libertà e dignità».

Ogni anno che passa, aumenta la distanza temporale da quei fatti. Di quelli che parteciparono alla resistenza e furono protagonisti, molti sono venuti a mancare. La pandemia si è portata via tanti di loro, i più vecchi, i più fragili. Sono rimasti in pochi, allora erano adolescenti, ragazzi sbarbatelli, giovanissime fanciulle. Si riduce l’emozione di ascoltare dal vivo i loro racconti, si smarrisce il contatto diretto con quel mondo, che sta per finire inesorabile. Tuttavia, il tempo non è altrettanto distruttivo né con i ricordi né con il lascito morale di quella generazione.

La società che sognavano gli uomini e le donne che fecero la Resistenza è tuttora un obiettivo incompleto

Certo, non tutto è andato per il verso giusto; anzi. La società di eguali che sognavano gli uomini e le donne che fecero la Resistenza è tuttora un obiettivo incompleto, parziale. C’è molta amarezza, alla quale si aggiungono l’insoddisfazione, lo scontento, la protesta. Spesso, la realtà è disarmante: egoismi, faziosità, cattiverie, disinteresse per le sorti dell’altro. Istituzioni inadeguate, o mal gestite. E il futuro, ora che la pandemia ci ha travolto tutti, si preannuncia ancora più desolante: sono cresciute le diseguaglianze, è aumentata la povertà.

Tuttavia, quel passato, che nel tempo si allontana sempre più e si sottrae talvolta alla nostra vista distratta, è pur sempre all’origine del nostro presente, è il momento generativo del mondo attuale, ha lasciato sul terreno semi capaci di dare frutti. Ce ne siamo accorti in questa fase così tribolata a causa del Covid: i momenti migliori sono stati quelli nei quali più profonda è stata la consapevolezza dell’essere una comunità, alle prese con un problema tremendo, da affrontare senza divisioni, con lo stesso slancio.

Un approccio positivo non appartiene soltanto alla stagione trascorsa, quella delle bandiere esposte sui balconi, dei canti sui terrazzi, dell’ottimistico “andrà tutto bene”. Può essere l’impegno da mettere in campo oggi. Investe proprio l’attualità. Il senso più profondo delle regole per contrastare la pandemia sta nel legame indissolubile tra la tua e la mia salute. Proprio così, ci si salva solo se l’altruismo vince sull’egoismo. Se ne esce solo insieme. Serve tutto ciò anche per immaginare la strada della nuova normalità.

L’attualità del messaggio del 25 aprile in tempo di pandemia

Il messaggio di solidarietà, legato alla data del 25 aprile, ha dunque questa straordinaria attualità. Unisce, al ricordo degli eventi storici che sono all’origine della Repubblica, l’invito a seguire quell’esempio – unione, collaborazione, dedizione – in un contesto che non avremmo mai immaginato. Ha il suono di una parola utile e rassicurante (chi l’avrebbe detto?) nella precarietà del nostro difficile presente. Proprio vero, possiamo ancora rinfrancarci “all’ombra del bel fiore”, come suggeriva la più suggestiva delle canzoni popolari della Resistenza O bella ciao. Anche la memoria che custodiamo nell’animo è come un bel fiore: se ne abbiamo cura, si moltiplicherà nella radura.

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* Angelo Perrone è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale: diritti, libertà, diseguaglianze, forme di rappresentanza e partecipazione. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli. Scrive di attualità, temi sociali, argomenti culturali. Ha fondato e dirige Pagine letterarie, rivista on line di cultura, arte, fotografia. 

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