Il paradosso Mediterraneo: “più largo, più frammentato, più interconnesso”

Mediterraneo come “paradosso geopolitico”, più largo, più frammentato, più interconnesso; una nuova centralità su cui si sta concentrando l’interesse enorme di nuovi soggetti e competitors internazionali. Qual è il ruolo dell’Italia e secondo quali direttrici deve sviluppare le sue strategie di cooperazione se vuole diventare un interlocutore stabile ed organico. Proponiamo l’intervento integrale del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, illustrato in occasione del convegno “Med Blue Economy: Il Mediterraneo veicolo per l’internazionalizzazione d’impresa”, che si è recentemente svolto a Napoli (https://eurispes.eu/news/med-blue-economy-per-linternazionalizzazione-delle-imprese-nel-mediterraneo-eurispes-tra-i-partner/).

di Gian Maria Fara

Sia nella valutazione del Governo italiano e in quella del Ministero degli Affari Esteri (MAECI) sia nella valutazione molto diffusa tra gli esperti italiani ed europei, il Mediterraneo si presenta oggi come “un paradosso geopolitico”. Per l’effetto di tre processi in atto, lo spazio mediterraneo si presenta oggi come una realtà più larga, più frammentata, più interconnessa.
Più largo, perché il suo spazio coinvolge ormai da tempo aree vaste che vanno ben oltre i perimetri delle tre sponde, Nord, Est e Sud, fino a coinvolgere il Medio Oriente, il Golfo Persico, i Balcani, l’Africa del Nord; più frammentato, perché lo spazio mediterraneo è articolato in nuove aree di influenza confessionale, politica, militare, economica; più interconnesso, perché molte questioni rimangono aperte nell’agenda internazionale ed in quella europea, dalle tensioni militari alla lotta al terrorismo, dai flussi migratori ad aspetti importanti della competizione economica e dei progetti infrastrutturali. Così, l’area mediterranea, che solo pochi anni addietro sembrava come posta ai margini dei processi di globalizzazione, attualmente ne risulta profondamente coinvolta. È la nuova centralità del Mediterraneo, definita dal nostro Governo come «una nuova piattaforma di connettività economica, energetica e infrastrutturale tra Europa, Africa e Asia».

Mediterraneo mare nostrum – ma nostrum, di chi? I nuovi competitors internazionali
Gli studiosi (come il grande storico francese Fernand Braudel) concordano che il Mediterraneo si è sempre caratterizzato in tutte le epoche per precisi «modelli di movimento con beni, idee e persone che fluivano da una parte all’altra» delle sue sponde. Questi modelli di movimento dei flussi di ricchezza e delle persone si sono coagulati in precisi centri di riferimento, come la Francia, l’Italia, la Spagna, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica. Ma negli ultimi tempi sono emersi nuovi centri di riferimento, soprattutto extra-europei, nuovi protagonisti dello sviluppo. I nuovi protagonisti delle dinamiche politiche, economiche e sociali si chiamano Cina, Russia, India che hanno costruito la loro penetrazione nel Mediterraneo sulla base di strategie innovative ben diverse, più avanzate e complesse di quelle tradizionali italiane ed europee. Ne sono indice, ad esempio: gli accordi di cooperazione omnicomprensivi che intervengono simultaneamente in una molteplicità di settori; le iniziative di co-sviluppo promosse spesso in esclusiva; i programmi comuni concordati per aree vaste, regionali ed anche continentali, cioè per aree che vanno al di là dei confini nazionali; i flussi di investimento settoriali organizzati in base a logiche di penetrazione in tutto il sistema mediterraneo, i piani condivisi per soddisfare le esigenze economiche ma anche sociali dei partner. In questo quadro rientrano, ad esempio, gli accordi di Russia e Cina per la gestione di Zone Economiche Speciali in esclusiva, come in Egitto. I riferimenti di queste iniziative strategiche innovative e complesse non sono più nei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, e nemmeno a Bruxelles, per l’Unione europea: ma si trovano in realtà lontane come Pechino, Mosca, Nuova Dehli, ma anche Johannesburg, in Sudafrica, il cui governo è attivo nel promuovere la organizzazione di una piattaforma di servizi, anche finanziari e creditizi, che dai paesi della sponda Sud del Mediterraneo favorisca la penetrazione in particolare di Cina e Russia nell’Africa centrale.

Gli interessi e il contributo dell’Italia nel Mediterraneo. Due le aree principali di intervento: sviluppo economico e sicurezza
L’Italia, soprattutto per quanto riguarda l’economia del Mezzogiorno, ha tutto l’interesse a diventare un interlocutore stabile ed organico dei nuovi competitors internazionali nell’area mediterranea. Ma per questo obiettivo deve adattare le sue strategie di cooperazione ed essere all’altezza delle nuove politiche portate avanti da questi competitors nello spazio del Mediterraneo.
L’organizzazione delle ZES in Italia e in Campania può essere l’occasione per elaborare progetti organici modellati sulle migliori esperienze che gli investitori internazionali hanno fatto e stanno facendo nella sponda Sud del Mediterraneo; e un confronto con queste esperienze sarebbe quanto mai utile. Peraltro, un simile ruolo dell’Italia potrebbe servire a recuperare anche un maggior impegno della Ue nello spazio mediterraneo e a costruire dei ponti di collaborazione che oggi sono deboli o inesistenti.
Secondo una recente classifica del World Economic Forum, l’Italia occupa la 26esima posizione per qualità ed efficienza delle infrastrutture, fanalino di coda tra tutti i paesi Ue dell’area mediterranea. Il “Piano strategico nazionale della portualità e della logistica”, adottato nel 2014, sembra prendere le mosse dalla consapevolezza di quanto il Paese sia arretrato in relazione all’infrastrutturizzazione in generale, e a quella che dovrebbe correggere l’economia del mare, in particolare.
Da questa consapevolezza bisogna, però, passare all’azione, dato che oggi l’Italia è al 55esimo posto nel mondo per infrastrutturazione portuale. Le spetterebbe una posizione ben più onorevole, vista la sua collocazione al centro del Mediterraneo, la sua storia e le ulteriori prospettive di sviluppo dei traffici che si intravedono da qui ai prossimi anni.
Oggi il bacino del Mediterraneo concentra il 19% del traffico marittimo mondiale, il 25% dei servizi di linea container e il 30% del traffico petrolifero.

Negli ultimi venti anni, i maggiori porti del Mediterraneo hanno registrato una crescita del 425%, con un aumento medio annuo del 21% del numero dei containers movimentati. Il sistema portuale italiano opera in un contesto competitivo in cui da un lato, sugli scali di transhipment dell’Italia meridionale, pesa la concorrenza dei porti del Mediterraneo occidentale, lo sviluppo degli scali del Nord Africa e del Mediterraneo orientale mentre, dall’altro lato, gli scali del Tirreno settentrionale e dell’Alto Adriatico subiscono la competizione dei grandi porti del cosiddetto Northern Range, cioè di quelli localizzati lungo la fascia costiera compresa tra Le Havre in Francia e Amburgo in Germania. Nonostante i problemi legati ad una mancata programmazione, l’economia del mare è comunque una componente fondamentale dell’economia del Paese, in grado di produrre ricchezza e opportunità, con il 2,6% di incidenza del cluster portuale sul Pil, 1.000.000 di addetti impiegati nel cluster logistico e portuale, e il 14% d’incidenza del cluster logistico sul Pil. Un sistema che deve essere aiutato a crescere, grazie a proposte e progetti robusti e maturi.

Una situazione di co-sviluppo si costruisce soltanto in una situazione di sicurezza; ed a questo fine l’Italia dovrebbe intensificare ulteriormente i grandi sforzi che sta già facendo per contrastare quella “frammentazione” del Mediterraneo di cui si diceva all’inizio. In base ai dati forniti dal Ministero della Difesa (2017) e presentati dal Rapporto della Farnesina, a livello globale l’Italia ha impegnati 6.326 militari in 36 missioni di pace in atto in 23 paesi del mondo; svolge, inoltre, un compito importante nella formazione del personale delle Forze di polizia dei paesi presso cui operano le missioni di pace, presso il “Centro di Eccellenza di Vicenza” (COESPU).
Nel Mediterraneo allargato, l’Italia è il primo contributore di truppe alle missioni di peacekeeping dell’Onu e offre un apporto importante in termini di personale e di contributi finanziari alle principali missioni internazionali, dall’Iraq alla Libia, dal Libano a Cipro e ai Balcani. In Siria, ad esempio, l’Italia partecipa al Gruppo internazionale di supporto (ISSG) e contribuisce attivamente ai lavori delle “Tasks Forces” decise a Ginevra sugli accessi umanitari e per il consolidamento della tregua, anche con il contributo di un finanziamento di 400 milioni di dollari per attività umanitarie e di sviluppo (2016-2018). In Iraq, dove il nostro Paese è tra i membri fondatori della coalizione globale per la lotta contro Daesh oltre alla presenza di 1.380 unità militari, l’Italia svolge un ruolo di primo piano anche sul fronte della formazione del personale iracheno con 4/500 addestratori che hanno formato 14.000 unità militari irachene, 7.000 unità militari d’élite nella lotta contro Daesh, 11.500 unità di polizia addestrate, in questo caso, dall’Arma dei Carabinieri.
A questa azione sul duplice fronte della sicurezza e dell’addestramento si aggiunge il contributo di un fondo per la stabilizzazione (Funding Facility for Immediate Stabilization – FFIS) di 9,4 milioni di euro. Una ulteriore partecipazione alla stabilizzazione e alla sicurezza dell’area si è concretizzata nel corso del 2018 con la presidenza italiana dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), assunta il 1° gennaio 2018.
Nell’ambito di questa importante organizzazione regionale (composta da 57 Stati), fondata nel 1973 e operante principalmente sui fronti della pace, del dialogo politico e della giustizia, l’Italia ha rafforzato il partenariato mediterraneo, già avviato in parte con la presidenza italiana del “Gruppo di Contatto Mediterraneo”, in particolare sul tema dell’immigrazione e dell’antisemitismo.
Di notevole valore anche l’iniziativa promossa dall’Italia in àmbito Nato, finalizzata a potenziare la presenza e il ruolo della Alleanza atlantica nell’area mediterranea. Italiana è, infatti, la proposta che ha portato alla costituzione dell’“Hub regionale per il Sud” inserito nel programma “Framework for the South” adottato al vertice di Varsavia nel luglio del 2016.

Sul fronte culturale: l’anima latina come virtù
Il nostro Paese è anche portatore, nelle donne e negli uomini che si applicano alla politica estera e nei servizi di Intelligence, di una grande energia creatrice: la mediazione. Troppo spesso molti nostri media, sensazionalisti e superficiali, affidano la “mediazione” alle fosche tinte della pavidità, della incapacità decisionale, della mediocrità. Ma il Paese di Guicciardini e di Machiavelli, la Penisola invasa da Sud e da Nord, da Est e da Ovest, ha sviluppato, nei secoli, il talento dei saggi: la mediazione, appunto. Mediazione è capacità di comprensione dell’alterità, di conciliazione degli opposti. È la “forza tranquilla” di lunga durata che si oppone alla irrazionale violenza esplosiva. È pensiero preposto al parlare. È la sintesi, filosofica e antropologica, delle anime dell’uomo. È, in sostanza, un’arte per pochi.
Sono tre i contesti internazionali nei quali il Paese nell’immediato futuro sarà chiamato a dispiegare le sue migliori capacità: l’Europa, il Mediterraneo e la latitudine Est-Ovest. In primo luogo, in Europa il ruolo dell’Italia – paese fondatore e ispiratore del disegno pacifista unitario – è quello di esprimere l’anima latina del Continente e affermarne le ragioni. Troppi anni e tanti insuccessi hanno, ormai, certificato la inadeguatezza dell’approccio calvinista-protestante alle sfide del “dopo Muro”: non è con la ferrea applicazione di regole e processi che si affrontano la complessità, l’indeterminatezza degli eventi e l’altezza delle sfide. In tempi di caos e di migrazioni di popoli, solo la raffinata arte della mediazione potrà portarci oltre la siepe dei problemi attuali.
In secondo luogo, nel Mediterraneo noi italiani siamo, probabilmente, i soli a poter svolgere credibilmente quel ruolo di mediazione che solo può e potrà scongiurare il dilagare di conflittualità multietniche e policulturali. Noi sappiamo parlare con gli arabi perché noi siamo anche arabi; sappiamo parlare ai nord-africani perché siamo nord- africani. La loro musica è la nostra musica (ascoltare per credere i motivi tradizionali napoletani); le loro architetture sono le nostre architetture (basta andare a Palermo); i nostri volti, i loro; il nostro cibo, pure. A differenza di altri nostri cugini latini, come i francesi e gli spagnoli, che hanno spesso condiviso il nostro destino storico- mediterraneo, noi non esercitiamo un approccio colonizzatore, vetero o tardo imperialista, forse, semplicemente, perché non ne siamo mai stati capaci.
In terzo luogo, la strada fatta verso Ovest dagli emigranti italiani approdati a Ellis Island e verso Est dagli artisti, dagli artigiani e dagli architetti italiani chiamati da Pietro il Grande a edificare San Pietroburgo e più tardi la costruzione di Togliattigrad da parte della Fiat ci ha collocati, lì nel mezzo, quali credibili e affidabili interpreti delle opposte ragioni. E per questo dobbiamo sostenere quella tradizione di mediazione Est-Ovest che può consentire all’Europa il mantenimento di un reale equilibrio latitudinale. E ciò non si raggiunge certo con l’ostracismo e le sanzioni.

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