Un testo necessario e quanto mai attuale sulla credibilità, sulla sua crisi e sul suo valore: è quello di Guido Gili e Massimiliano Panarari edito da Marsilio dal titolo La credibilità politica, che affronta il tema da tutte le prospettive possibili con lucidità e competenza.
Would you buy a used car from this man? Comprereste un’auto usata da quest’uomo? È lo slogan che nel 1960, nella campagna elettorale per le presidenziali, negli States, venne usato per screditare il candidato repubblicano Richard Nixon, avversario di John F. Kennedy. Lo slogan alludeva alla scarsa fiducia che suscitava un personaggio a tinte fosche come Nixon, dalla reputazione poco limpida, protagonista dello scandalo Watergate nel 1974 che lo costrinse alle dimissioni.
Ebbene, cosa fa un venditore di automobili usate? Deve convincere che si tratti di un vero affare, che le condizioni del veicolo non siano disastrose, che la macchina funzioni anche perché – per quanto sia possibile fare delle verifiche – esiste pur sempre uno spazio nel quale ci si muove e nel quale agiscono le capacità di convincimento del venditore e la disponibilità a credergli e a dargli fiducia del possibile acquirente.
Fiducia e credibilità, quindi, elementi di importanza vitale nelle relazioni personali e pubbliche, e in àmbito politico più che mai. Sì, perché la fiducia è un elemento fondamentale nel rapporto tra politici ed elettori dal momento che su di essa si fonda la delega che i rappresentati ripongono nei propri rappresentanti per il governo della cosa pubblica, ma, strettamente connessa ad essa, vi è la credibilità ossia la propensione di un uomo politico ad essere più o meno creduto, a mantenere la parola data, a dar seguito alle promesse elargite, a onorare gli annunci diramati e persino a rispettare le minacce o gli ultimatum lanciati nei confronti degli avversari
La questione della credibilità in politica – considerata come la possibilità che qualcuno o qualcosa venga creduto – lungi dall’essere considerata anacronistica o fuori moda, rimane centrale nella considerazione dell’attività politica da parte dei cittadini che non a caso, negli ultimi decenni, se ne sono allontanati per rifugiarsi, molti, nell’antipolitica e nella demagogia qualunquista, altri, nello scetticismo, e altri ancora, nelle proprie vicende personali, convinti della irredimibilità del personale politico, sempre più interessato ai propri destini che a quello della comunità nazionale. Trasformismi, corruzione, inadeguatezza nel ruolo di molti esponenti politici, incapacità di onorare quanto promesso, il dire una cosa e il farne una diametralmente opposta, le accuse pretestuose, l’alimentare l’odio sociale, l’intolleranza e le fake news, non sono comportamenti che possono aumentare la credibilità di una classe dirigente e se la politica oggi se la passa male non è un caso. Ma a quali politici possiamo credere di più? Aristotele sottolineava come si creda più facilmente alle persone oneste e ancor di più nelle questioni che non comportano certezza ma opinabilità. La credibilità, quindi, sarebbe una qualità personale, una caratteristica morale della persona che precede ogni sua azione o gesto comunicativo. Per altri, invece, la credibilità sarebbe pure qualcosa che viene attribuito e riconosciuto dagli altri, e quindi si configurerebbe come un rapporto, una relazione. «Non si è credibili in generale e in astratto – si legge nel testo di Gili e Panarari – ma per qualcuno, e può trattarsi di poche persone o di milioni di persone, ma sempre qualcuno e non tutti. Credibilità e fiducia sono le due facce di una stessa relazione sociale».
Ma quali sono gli attributi irrinunciabili della credibilità? Innanzitutto, la competenza, ossia la qualità riconosciuta di esperto: crediamo più agevolmente a qualcuno che parla di cose che conosce. Il secondo attributo attiene ai valori, a quei modi ideali di essere e di agire. Il terzo riguarda il legame affettivo tra leader e suoi seguaci. Va precisato che la credibilità non va necessariamente riferita ad una persona ma anche a soggetti collettivi come gruppi, associazioni, organizzazioni, Istituzioni.
Da un politico, dunque, ci si attende una competenza generale che gli consenta di saper decidere per gli altri e di assumersene la responsabilità. Indispensabili, anche se sopravvalutate in un’epoca come la nostra, le capacità comunicative del politico, grazie alle quali si presenta all’elettorato per averne la fiducia e quindi il consenso.
Un altro elemento sul quale Gili e Panarari pongono grande attenzione è quello della lealtà dell’uomo politico nei confronti delle Istituzioni, dei suoi alleati, del suo partito, dei suoi avversari e nemici come parametro utile di valutazione; di grande interesse, inoltre, la distinzione operata nel saggio tra “credibilità” e “reputazione”, intesa come credibilità provata, sottoposta a verifiche, riscontri e prove, sino ad arrivare ad una buona reputazione, senza dimenticare che la «reputazione di una persona si basa sulla sua storia personale, sulla biografia, la discendenza, l’appartenenza a un gruppo sociale, il livello di istruzione di cultura».
Ma la credibilità politica è strettamente connessa a quella privata e gli Autori ce lo ricordano citando Papa Niccolò I che, in una lettera al vescovo di Metz, consigliava «guardate se i governanti sanno anzitutto governare bene se stessi e poi il popolo loro soggetto: infatti, chi è cattivo nella sua condotta privata, come potrà essere capace con gli altri?». Ebbene, il quadro generale della situazione non appare confortante: il consolidarsi dei populismi, la scarsa partecipazione alla vita pubblica dei cittadini e alle questioni della politica, la “prigione” dei social media e la tendenza all’autoreferenzialità sembrano prevalere ma la “voglia di comunità” di cui ci parlano Panarari e Gili sembra essere un punto di partenza da considerare con attenzione, non fosse altro che per proteggerci dallo stato confusionale in cui versa la democrazia e dai fantasmi che, dalla sua crisi irreversibile, possono fatalmente riapparire.