Se ne parla da tempo, e anche se gli ultimi ministri che hanno guidato la scuola italiana avevano smesso di farlo, oggi – merito o, a seconda dei punti di vista, provvidenziale ingenuità del ministro Bianchi – della possibilità di estendere l’insegnamento della filosofia in scuole diverse dai licei si discute ancora una volta. Il precedente più recente riporta la lancetta del tempo indietro di almeno 18 anni, quanti ne sono passati dalla fine del secondo Governo Berlusconi, di cui era ministro dell’Istruzione Letizia Moratti. Come tutti gli inquilini di viale Trastevere, anche Letizia Moratti, donna tra le più titolate della storia della repubblica (ex sindaco di Milano, presidente Rai dal 1994 al 1996, ex presidente di Ubi Banca, oggi assessore al Welfare della Regione Lombardia), non ha resistito alla fatale attrazione di mettere mano alla riforma della scuola. Una riforma così urgente, secondo l’unanime giudizio bipartisan dell’intera classe politica nazionale, che ha visto sinora naufragare i diversi tentativi di metterla in atto. Della riforma Moratti del 2003 molti ricordano probabilmente il ritorno al vecchio voto di condotta. Fu, comunque, molto più ambiziosa, soprattutto nel proposito di ridisegnare e modernizzare il curriculum, ma è stata, come è accaduto a tutte le riforme della scuola proposte dal secondo dopoguerra sino ad oggi, fortemente osteggiata e sottoposta negli ultimi anni a parziali revisioni. Tra i punti più innovativi della riforma Moratti figurava l’insegnamento della filosofia nelle scuole in cui non era stata ancora introdotta. Un’idea che, nel 2016, balenò anche nella testa di un altro ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, “naufragata” (tanto l’idea quanto la ministra) anzitempo.
In principio fu la Moratti, oggi c’è la proposta di Bianchi
A rilanciare l’idea di una filosofia capace di caratterizzare trasversalmente il curriculum dello studente italiano non più solo dei licei, ma anche degli istituti tecnici ci ha pensato il ministro Bianchi, ospite lo scorso settembre di un convegno, a Venezia, su “Etica e intelligenza artificiale” organizzato da Aspen Institute, Tim e Intesa Sanpaolo. Secondo le parole del ministro, fare filosofia nei Tecnici significherebbe provvedere al “reskilling della popolazione” e a una più funzionale e diversamente orientata preparazione dei giovani, interpreti e protagonisti di nuovi scenari storici e culturali. Quella dell’attuale ministro dell’Istruzione del governo Draghi non sembra essere una semplice esternazione, perché si è detto seriamente intenzionato a chiudere il discorso entro fine primavera con una proposta di riforma che potrebbe diventare legge prima del prossimo anno scolastico. Usare con cognizione di causa un computer o un telefonino, sapersi rapportare a una intelligenza artificiale, entrare con argomenti ben meditati nel dibattito tra vax e no vax, è cosa che, secondo le parole del ministro, viene meglio fare se, grazie alla filosofia, abbiamo esercitato e affinato le funzioni critiche del nostro pensiero.
Una proposta “indecente”
Propositi nobili che non hanno però dissuaso il fronte di chi non ha perso tempo per dichiararsi contrario alla proposta del ministro Bianchi, prima che questa guadagni terreno ed entri nel dibattito vivo della scuola da riformare. I motivi per i quali la filosofia farebbe bene a rimanere appannaggio dei soli licei sarebbero diversi e non tutti sufficientemente solidi. Si dice, ad esempio, che la filosofia introdotta negli istituti tecnici scombussolerebbe il curriculum, sottraendo ore e risorse ad altre materie. Si sostiene che non contribuirebbe a rafforzare e definire l’indirizzo specialistico del profilo professionale dello studente diplomato. C’è chi sospetta che possa diventare una copia – brutta e non bella – di ciò che già si fa nei licei. Altri temono che possa diventare un corpo estraneo inserito nell’impianto di discipline che avrebbero poco da condividere con la filosofia. C’è, infine, chi ritiene che diventerebbe inevitabilmente un sapere decontestualizzato perché spiegare Socrate ed Epicuro, prescindendo da autori classici come Aristofane e Menadro, sarebbe – giusto per fare un esempio – come provare a conoscere Dante ignorando la cultura dell’alto medioevo.
Leggi anche
Non tutte le riserve di chi è contrario allo studio della filosofia nei Tecnici andrebbero considerate errate o fuori bersaglio. Colpiscono nel segno quando puntano l’indice contro gli inevitabili cambiamenti che l’introduzione di una nuova materia comporterebbe, cambiamenti che sarebbe ingeneroso liquidare come dovuti e fisiologici effetti collaterali. Forse verrà ridotto l’orario di qualche disciplina o forse si diventerà abbastanza saggi, imitando le scuole di altri paesi, da ridefinire l’unità oraria delle lezioni, la cui durata può essere inferiore ai canonici 60 minuti, e arricchire così, con l’introduzione di nuove materie, anche facoltative, il curriculum dello studente. Più materie, più scelta, organici ulteriormente potenziati, offerte didattiche sempre più varie, stesso monte ore settimanale: una prospettiva che nel mondo della scuola sembra ancora oggi una pura velleità.
Fare o studiare filosofia?
Eppure l’introduzione della filosofia nei Tecnici non è poi così osteggiata dai diretti interessati, vale a dire studenti, insegnanti e dirigenti scolastici. Ci sono istituti tecnici in Italia che, già da qualche anno, hanno aperto le porte alla filosofia. Si tratta di progetti sperimentali di cui potrebbe essere opportuno, se non illuminante, valutare i risultati. Chi li ha ideati ha una visione poco tradizionale della filosofia così come viene insegnata in Italia, perché più simile a quella che si studia in altri paesi. Sappiamo, infatti, che dobbiamo alla riforma Gentile del 1923 l’attribuzione dell’insegnamento della filosofia allo stesso docente che fa storia. Per Gentile, come per Hegel, filosofo a cui ispirerà il suo pensiero, oltre che le sue idee di scuola e Stato, la filosofia è storia del pensiero e, quindi, per conoscerla, occorre storicizzarne l’evoluzione e i processi. Così la filosofia viene insegnata come si fa con le letterature, prendendo in esame autori, correnti e contesti temporali. Un metodo che ha dato i suoi frutti in tutte le discipline, ma che potrebbe non essere l’unico capace di assicurare buoni risultati. Una cosa è studiare Socrate prima di Platone e dopo avere fatto la conoscenza dei Sofisti, altra cosa è servirsi del metodo di Socrate e delle sue idee (sulla morte o sulla giustizia, ad esempio) per fare filosofia. Insomma, non è detto che studiare filosofia equivalga a fare filosofia, sempre ammesso che l’intento di chi la insegna sia proprio questo.
Filosofia, una svolta post-gentiliana
Chi vorrebbe che la filosofia venisse insegnata negli istituti tecnici può fare leva su un’altra motivazione e chiedersi se la vera svolta post-gentiliana della scuola italiana possa partire proprio da questa disciplina. Sarebbe un paradosso o uno di quei contrappassi della storia che è sempre difficile spiegare. E questo perché, secondo le intenzioni di Gentile, la filosofia sarebbe la disciplina che caratterizza i licei e questi avrebbero dovuto rappresentare il vertice di tutto il sistema scolastico. Una vecchia e obsoleta visione della scuola, si dirà, ma siamo davvero certi che non sia più così? Non potrebbe essere proprio la filosofia, intesa e praticata come disciplina insegnabile in tutte le scuole superiori, il detonatore capace di sgretolare quel che ancora tenacemente resiste della riforma del ‘29 nel corpo della scuola nazionale? Sempre che – è lecito supporre – generazioni di mancati riformatori, desiderando a parole tutto ciò, non abbiano invece voluto conseguire altri obiettivi.