La crisi ingenerata dal contagio da Covid-19 fa perdere alle Regioni del Sud 10 miliardi al mese. L’emergenza, che si protrae da circa un anno, fa registrare, da parte delle nostre Associazioni territoriali, dati ancor più pesanti. I posti di lavoro persi sono circa 300mila; le donne sono le più penalizzate. Il tasso di disoccupazione giovanile supera il 12%, più alto della media nazionale (dati Svimez). La chiusura e la riapertura delle scuole, sta interrompendo un percorso formativo, i cui guasti si vedranno tra pochi anni. Anche i corsi di avviamento al lavoro e quelli di riqualificazione dei disoccupati, sono fermi.
Abbiamo intravisto una luce con il grande Piano europeo di ripresa, il famoso Recovery Fund. All’Italia andrà una ingente quota di risorse e il Governo uscente aveva annunciato che sarebbero state destinate, in buona parte, al Mezzogiorno.
Poi, sono seguiti i ritardi nella stesura del Recovery Plan – siamo rimasti alla terza bozza – e poi la crisi del Governo “Conte 2”. Per questo la nostra unica àncora di salvezza resta l’operato del Presidente della Repubblica, al quale chiediamo di far sì che il nuovo Governo metta il Sud al centro del suo programma di salvezza nazionale, subito dopo l’uscita dalla pandemia. Qualcosa era sembrato che si muovesse con la fiscalità di vantaggio. Ma ci siamo accorti che non sarebbe stata una misura strutturale e, quindi, quasi inutile. L’Italia resta un Paese a due velocità. Un motore che al Sud rischia di andare fuori giri, per ritardi del passato mai colmati. Il contributo alla ripartenza del Paese, che molti individuano nella rinascita delle Regioni meridionali, resta una enunciazione di principio solidaristico. Il timore è che siano in pochi a crederci, mentre aumentano coloro che considerano il Sud come la pesante zavorra dell’Italia.
Sulla copertina del Recovery Plan scritto dal Governo, campeggia l’ambiziosa denominazione “Next Generation EU”. Bruxelles ci invita a riempire le pagine di contenuti e tabelle precise. L’emergenza pandemica sviluppatasi al Nord si è velocemente trasmessa al Sud, impattando su un tessuto economico già molto fragile. In attesa degli aiuti dell’Europa dobbiamo fare i conti con i fondi stanziati dalla Legge di Bilancio 2021.
Secondo le previsioni sarebbe il Sud ad avere i maggiori benefici da un possibile incremento del Pil, le cui stime ogni giorno vengono però aggiornate al ribasso. Ma, delle politiche che dovrebbero essere alla base della rinascita del Sud, nemmeno l’ombra. Nessun piano concreto per attuare i diritti fondamentali del cittadino ad avere standard accettabili per la cura della salute, per l’istruzione e per la mobilità. Se, poi, si volesse davvero guardare al futuro sarebbe necessario mettere in attuazione il piano industriale per le infrastrutture nell’ottica di una collocazione euro-mediterranea e indirizzata verso la transizione verde e digitale. Il nuovo Governo troverà sul tavolo i problemi irrisolti che affliggono il Sud.
Ma, in attesa dei 209 miliardi del Recovery Fund e di altri raccattati qua e là, si potrebbe iniziare a lavorare ad un piano di sviluppo che è a costo zero.
Si potrebbero mettere subito a disposizione delle Regioni gli strumenti tecnici e il personale qualificato per spendere i miliardi dei Fondi europei per lo sviluppo, dei quali ci sembra che qualcuno si sia dimenticato. I dati pubblicati dalla Ue, relativi a fondi strutturali e investimenti, dicono che l’Italia ha ricevuto 75 miliardi per il periodo 2014/2020. Solo 25 miliardi (35%) sono stati spesi. Gli altri, oltre 50, inutilizzati.
Un immobilismo inaccettabile con relativo rimpallo di responsabilità da parte di chi sostiene che non abbiamo le capacità di presentare progetti credibili o, peggio, che non siamo in grado di scriverli. Le strutture per “mettere a terra”, come si usa dire oggi, i progetti ci sono e possono entrare in campo professionalità indiscusse, in grado di garantire trasparenza.
Basta volerlo.
*Giuseppe Romano è Presidente della CISE e dell’ASI Napoli.