In un momento in cui il rischio di infiltrazione delle organizzazioni criminali nell’economia legale è ai massimi livelli anche a causa della debolezza del sistema economico, indotta dalla crisi dovuta al Covid-19, la Guardia di Finanza ha portato alla luce un enorme giro di frodi fiscali e riciclaggio: false fatturazioni per oltre 600 milioni di euro e Iva dovuta, pari ad oltre 130 milioni di euro, accise non versate per circa 31 milioni di euro – i cui pagamenti erano falsamente attestati – nonché 1 milione di euro in contanti sequestrato in una intercapedine di un’autovettura modificata come dei film di James Bond o, più realisticamente, come quelle un tempo utilizzate per il contrabbando di sigarette.
Centinaia di milioni riciclati e reimpiegati in attività finanziarie asservite al business criminale, dove non potevano mancare i conti esteri per l’occultamento di oltre 41 milioni di euro, accuratamente sistemati in società di comodo bulgare, rumene, croate e ungheresi, in attesa di rientrare nella disponibilità delle stesse organizzazioni criminali.
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L’operazione “PETROL-MAFIE SPA”, condotta nei giorni scorsi dallo SCICO e dai Nuclei di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza e dal ROS dei Carabinieri, rappresenta l’epilogo di indagini condotte dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro – con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di Eurojust – che hanno fatto emergere la gigantesca convergenza di interessi della camorra, della ’ndrangheta e della mafia catanese nel business della commercializzazione illecita di carburanti e del riciclaggio per centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili, meri prestanome, portando all’arresto di 71 soggetti.
In particolare, la Guardia di Finanza, nella sua veste di polizia economico finanziaria, ha portato alla luce la strettissima connessione fra dinamiche evasive e criminali, emblematiche dell’ennesimo tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata nel mercato “legale” delle imprese, realtà ormai diffusa capillarmente su tutto il territorio nazionale. In questo complesso meccanismo delinquenziale, il denaro veniva riciclato non solo per “ripulire”, ma anche e soprattutto per reinvestire nel mercato, incassando ulteriori proventi illeciti in un settore come quello degli oli minerali che, fino ad oggi, sembrava “immune”, o quasi, da interessi criminali.
Un intreccio inscindibile fra il mondo dell’imprenditoria e quello del malaffare, sul quale l’attenzione delle Forze di Polizia non potrà che mantenersi alta, soprattutto in vista del fiume di finanziamenti in arrivo ai fini del rilancio dell’economia italiana.
Le complesse attività investigative che hanno consentito di ottenere i risultati descritti sono un esempio eccellente dell’efficacia del coordinamento info-investigativo fra Forze di Polizia e Procure, una strada da seguire e a cui ispirarsi per superare i personalismi, a favore di un approccio integrato, in cui lo scambio di informazioni e le sinergie operative dovrebbero essere la regola e non l’eccezione. Non solo, la valutazione dei numeri di questa singola operazione, del valore dei beni e del business generato, è un indicatore importante e un monito per chi sottovaluta la potenza economica della criminalità organizzata.