Se della spesa pubblica totale, si considera la fetta che ogni anno il Sud avrebbe dovuto ricevere in percentuale alla sua popolazione, emerge che, complessivamente, dal 2000 al 2017, la somma corrispondente sottratta al Mezzogiorno ammonta a più di 840 miliardi di euro, netti.
I trasferimenti che arrivano al Sud ogni anno bastano per renderlo capace di consumare ciò che il Nord produce ma non sono sufficienti a permettere al Meridione di avviare una propria economia competitiva; essi dunque, se da un lato assicurano al Nord reddito e occupazione, dall’altro tengono il Sud fuori mercato.
Gli studi della Banca d’Italia, e non solo, mostrano invece che il Sud è la vera riserva di crescita dell’Italia: ne costituisce cioè la parte di crescita potenziale. Se il Paese arriverà a scoprire il valore di questo immenso tesoro nascosto al Meridione, superando inutili e anacronistici stereotipi, godrebbe di uno slancio senza precedenti.
Le regioni del Mezzogiorno meritano fiducia. Lo hanno dimostrato nell’emergenza legata alla pandemia. E meritano anche un maggior interesse da parte del Governo centrale che deve destinare molte più risorse per le infrastrutture, per il lavoro e per il turismo.
In questo spazio, “Il punto a Mezzogiorno – Contributi, interviste e commenti sul futuro del Sud Italia”, il magazine online dell’Eurispes, vuole aprire un confronto sulle potenzialità ancora inespresse del Sud d’Italia chiamando ad animare questo spazio con il loro contributo di riflessione quanti seguono più da vicino l’evolversi della questione meridionale.
Cominciamo con Giosy Romano, Presidente della Confederazione Italiana per lo Sviluppo Economico e Presidente dell’Asi Napoli.
Decreto Rilancio, semplificazioni e grande riforma fiscale. In attesa di presentare all’Europa un piano organico di riforma per ottenere i fondi per la crescita, il Governo pensa anche alla riforma del Codice degli appalti che, spesso, ha rappresentato un freno alla realizzazione delle infrastrutture. il Governo ha approvato con la formula “salvo intese” un primo passo della riforma del settore degli appalti stilando una lista di opere strategiche che dovranno essere avviate subito, evitando il più possibile gli ostacoli burocratici.
Anche se non hanno un accordo unanime, le ipotesi messe in campo dal Governo sono incoraggianti, ma non bastano.
Tra le tante ipotesi che circolano, quella dell’innalzamento della soglia di affidamento diretto e quella relativa alla procedura negoziata, sono le misure di semplificazione più classiche e che hanno natura concreta. Sarà possibile con questa procedura velocizzare la fase più delicata della procedura dell’appalto, quella che occupa due terzi del tempo necessario per la concessione che – così com’è – rappresenta un ostacolo allo sviluppo del comparto delle infrastrutture in Italia.
Non deve trarre in inganno, la splendida performance portata a termine da alcune imprese italiane in occasione della ricostruzione del Ponte Morandi. Si è potuto lavorare con procedure, per la maggior parte, in deroga e sull’onda emotiva di una ferita che era stata inferta a tutto il Paese. Purtroppo, quasi subito sono tornati gli ostacoli posti dalla burocrazia, la quale non ha ancora deciso chi dovrà gestire l’opera.
Occorrono misure stabili e non solo emergenziali. Con la CISE – che presiedo – abbiamo offerto al Governo una serie di proposte per riformare il Codice degli appalti. Prima tra tutte è quella di creare un albo speciale per le imprese. Dovrà essere uno strumento trasparente e costantemente aggiornato che, in via preventiva, offra alle amministrazioni committenti l’elenco delle imprese ritenute affidabili dalla Pubblica amministrazione (che le ha attentamente studiate).
Il primo passaggio è quello di attivare controlli preventivi antimafia che consentiranno di scegliere le aziende attraverso il sistema della rotazione ma, esclusivamente, all’interno di una “white list” che il Ministero dell’Interno ha certificato attraverso l’ausilio delle Procure, delle Prefetture e anche dell’Agenzia delle Entrate – la quale, a sua volta, darà via libera solo se le imprese risulteranno in regola con i versamenti fiscali, Iva e Inail.
La “white list” rappresenta, secondo la nostra proposta, la spina dorsale del rinnovato, e più snello, codice degli appalti, al quale potranno far riferimento solo imprese economicamente solide e lontane dal mondo della illegalità.
Penso che gli affidamenti diretti vadano incentivati, ma le procedure negoziate devono essere accessibili solo da parte di aziende “sane” sotto ogni profilo. Non bisogna rimanere bloccati per paura della corruzione, ma evitare, alla radice, le condizioni affinché quest’ultima possa nascere.
Mi aspetto, dalle prossime iniziative legislative del Governo, un forte impulso a riformare, in senso moderno, questo ingranaggio fondamentale della macchina statale. Si vuole ricorrere all’ausilio della tecnologia digitale – con strumenti come le App – per gli appalti ed altre procedure autorizzanti. Credo che per l’avvio di particolari attività si possa ricorrere alla comunicazione in autocertificazione, attraverso la digitalizzazione. Questo dovrà portare alla cancellazione graduale di alcune concessioni e permessi.
Nei prossimi mesi dovremo far fronte all’emergenza economica che si farà sentire pesantemente e avrà riflessi sull’occupazione delle aziende. Per il pagamento delle tasse in corso di esigibilità bisogna ragionare in termini nuovi.
Finora si è provveduto solo a sospendere una serie di versamenti tributari; la trasformazione della sospensione in annullamento sarebbe una boccata di ossigeno per l’industria. Non si deve pensare, come al solito, a nuove forme di agevolazione, ma al trattenimento, a fondo perduto, della ingente liquidità che deriva dal differimento.