Sistema carcerario italiano, tutti i numeri di una realtà da ripensare

sistema carcerario

Le criticità del sistema carcerario italiano sono oggi così complesse che tentare di ragionarci in termini “squisitamente filosofici”, ripensando alla funzione della pena e della restrizione della libertà finirebbe per concludersi in mere disquisizioni accademiche. I numeri, particolarmente drammatici, devono riportarci con i piedi per terra e alla conclusione che, per quanto si possano sognare riforme figlie di progresso e di civiltà, le emergenze pretendono soluzioni pragmatiche.

“È come se i carcerati, a un certo punto, smettessero di essere persone”

Faro illuminante sul fenomeno è senza dubbio rappresentato dall’Associazione Antigone che, con le sue visite annuali e il suo rapporto di ricerca, riesce a fotografare con estrema lucidità evidenziando ogni distorsione. Mai come in questo caso i numeri sono determinanti nella rappresentazione e nella comprensione della realtà.
E, allora, vediamo quali sono questi numeri così preoccupanti, mettendoli chiaramente a fuoco con i nostri occhi. Nel sistema carcerario italiano il sovraffollamento è pari al 113,1%. Le misure alternative aiuterebbero a superare questo problema. Calano gli stranieri: negli ultimi 12 mesi, l’Associazione Antigone ha svolto 67 visite in 14 Regioni italiane; le carceri visitate ospitavano in tutto 24.418 detenuti, quasi la metà (il 46%) della popolazione detenuta italiana. In generale, il sovraffollamento nazionale già citato è molto preoccupante. Sono 11 le carceri con sovraffollamento di oltre il 150%: i cinque istituti di pena con maggiori criticità si trovano a Brescia (378 detenuti, 200%), Grosseto (27 detenuti, 180%), Brindisi (194, 170,2%), Crotone (148, 168,2%), Bergamo (529, 168%). Sono 19mila i detenuti che devono scontare meno di tre anni. Questi – con l’eccezione di quelli condannati per reati ostativi –, avrebbero potenzialmente accesso alle misure alternative: se solo la metà vi accedesse, il problema del sovraffollamento penitenziario sarebbe risolto. Al 30 giugno 2021 la percentuale di detenuti stranieri ristretti negli Istituti penitenziari in Italia era del 32,4% (17.019 persone). Una presenza in flessione dal 31 dicembre del 2018.

Nel sistema carcerario italiano il sovraffollamento è pari al 113%

Celle schermate, celle prive di docce, alcune del tutto prive di acqua. Nel 42% degli Istituti sono state trovate celle con schermature alle finestre che impediscono passaggio di aria e luce naturale. Nel 36% delle carceri vi erano celle senza doccia (il regolamento penitenziario del 2000 prevedeva che, entro il 20 settembre 2005, tutti gli Istituti installassero le docce in ogni camera di pernottamento). Nel 31% degli Istituti visitati da Antigone vi erano addirittura celle prive di acqua calda. In 3 carceri sono state trovate celle con toilette a vista. Nel carcere di Frosinone, ad esempio, sono stati segnalati frequenti episodi di mancanza di acqua corrente. Santa Maria Capua Vetere presenta un problema strutturale di mancato allaccio idrico e l’acqua erogata non è potabile. La gara d’appalto per provvedere all’allaccio idrico c’è stata, ma i lavori non sono iniziati e l’acqua potabile viene data a ciascun detenuto con due bottiglie da due litri al giorno. Si è passati da celle aperte, a celle chiuse nel 24% dei casi. Il regime a celle aperte, seppure accompagnato da restrizioni di movimento, è rimasto prevalente: nel 65% degli Istituti visitati sono state trovate celle aperte almeno 8 ore al giorno, ma nel 24% dei casi c’erano sezioni in cui si è passati, con la pandemia, da un regime di celle aperte, a chiuse.

Tossicodipendenti in carcere e la piaga dei suicidi

Circa un detenuto su quattro è tossicodipendente. Questo dato restituisce una realtà preoccupante, in quanto al 31 dicembre 2020 i detenuti presenti con problemi di tossicodipendenza erano il 26,5% ovvero 14.148. Molti, se si pensa quanto i detenuti tossicodipendenti siano maggiormente soggetti a contrarre malattie infettive.
Diciotto i suicidi a metà 2021 e nei soli primi 3 mesi dell’anno 2.461 gli atti di autolesionismo. Nel 2021 (fino al 15 luglio) secondo il dossier Morire di carcere di Ristretti, i suicidi sono stati 18, di cui 4 commessi da stranieri e i restanti da italiani. Il più giovane aveva 24 anni e il più anziano 56. Nel 2020 i suicidi sono stati 62 e il numero di suicidi ogni 10.000 detenuti è stato il più alto degli ultimi anni, raggiungendo le undici unità. Per quanto riguarda i casi di autolesionismo, per il primo trimestre del 2021 la Relazione al Parlamento del Garante Nazionale ne riporta 2.461. A Firenze Sollicciano si sono verificati 105 casi di autolesionismo ogni 100 detenuti.

Il costo del sistema carcerario: 3 miliardi all’anno

La detenzione costa allo Stato 3 miliardi, di cui il 68% è impiegato per la Polizia penitenziaria. Necessario assumere personale civile. Ogni anno vengono spesi circa 3 miliardi nelle carceri per adulti e 280 milioni per il sistema di giustizia minorile e le misure alternative alla detenzione. Dei 3 miliardi che sono stati destinati al carcere per il 2021, il 68% è impiegato per la Polizia penitenziaria, la figura professionale numericamente più presente con oltre 32.500 agenti. Il divario con l’organico previsto dalla legge (37.181 unità) si attesta a circa il 12,5%. Diversa la situazione dei funzionari giuridico-pedagogici che, con un organico previsto di 896, sono oggi poco più di 730 (-18,4%). Il rapporto medio rilevato dall’Osservatorio di Antigone è di 90 detenuti per ogni educatore, ma in 24 Istituti sui 73 visitati fra il 2020 e 2021 questo numero sale a ben oltre 100. Solo nel 65% degli istituti visitati, meno di 2/3, c’era un direttore assegnato in via esclusiva. Negli altri, il direttore era responsabile di più di una struttura, con le difficoltà e le limitazioni che ciò comporta sia per il personale sia per i detenuti.
Fortissimo lo squilibrio tra personale di custodia e personale dell’area trattamentale preposto alla reintegrazione sociale delle persone detenute: il rapporto medio negli Istituti visitati era di un poliziotto penitenziario ogni 1,6 detenuti e di un educatore ogni 91,8 detenuti.

Solo un terzo dei detenuti lavora

La formazione professionale è in calo: uno studente detenuto su 3 ha abbandonato la scuola. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Dap, al 31 dicembre 2020 erano 17.937 le persone detenute che lavoravano. Di queste, quasi l’88% (15.746) alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e il restante 12% circa (2.191) per datori di lavoro esterni. I corsi professionali attivati all’interno degli Istituti di pena nel secondo semestre del 2020 sono stati 117, di cui 92 portati a termine. Sebbene si registri un aumento rispetto al primo semestre del 2020, si è ancora lontani dai numeri pre-pandemia, quando i corsi attivati superavano i 200 (dicembre 2019).

Nel 20% degli istituti carcerari monitorati 1 studente su 3 ha abbandonato la scuola

Durante la pandemia la scuola in presenza ha conosciuto interruzioni in quasi tutti gli Istituti (nel 94% del totale). Nel 60% delle carceri le attività in presenza sono state interrotte per almeno 3 mesi, cioè per almeno 1/3 dell’anno scolastico. Sono pochi i casi in cui è stata garantita la Didattica a distanza (Dad), a differenza di quanto avvenuto all’esterno. All’andamento irregolare della attività scolastiche, ha corrisposto un alto tasso di abbandono scolastico. Nel 20% degli istituti monitorati almeno 1 studente su 3 ha abbandonato la scuola.

Un altro tema interessante quando si parla di carceri in Italia sta nel rapporto tra detenuti e personale di polizia penitenziaria. A giugno 2021 erano in servizio 36.939 agenti, a fronte di 52.453 detenuti: un rapporto di circa un agente ogni 1,4 detenuti. Se comparata con i principali Paesi europei, da questo punto di vista l’Italia se la cava piuttosto bene. Per effettuare la comparazione possiamo guardare ai dati raccolti nell’Annuario Statistico Penale 2020 per la popolazione delle prigioni, supervisionato dal Consiglio d’Europa (che, ricordiamo, è un’organizzazione internazionale che non fa parte dell’Unione europea e che si occupa di diritti umani, stato di diritto e democrazia). Tra i principali Paesi Ue – esclusa la Germania, per cui mancano i dati – notiamo che al 31 gennaio 2020 l’Italia riportava il miglior rapporto tra detenuti e personale carcerario «dedito esclusivamente alla custodia», pari a 1,8. Il dato francese era di 2,7 e quello spagnolo di 3,7. Nel Regno Unito, le regioni dell’Inghilterra e del Galles arrivavano a 4,1, la Scozia a 2,7 e solo l’Irlanda del Nord faceva meglio dell’Italia, con un rapporto di 1,5 detenuti per ogni agente. La media europea era pari a 3,1.

Pochi servizi educativi ma il rapporto tra detenuti e personale penitenziario è tra i migliori in Europa

Le nostre carceri però rimangono indietro per quanto riguarda l’offerta di servizi educativi ai detenuti, fondamentali per dare attuazione concreta al principio costituzionale secondo cui le pene hanno una finalità rieducativa. In Italia, infatti, l’84% dello staff carcerario si occupa esclusivamente della custodia dei detenuti, contro una media europea del 61%. Gli addetti alle attività educative rappresentano l’1,9% del totale, a fronte di una media del 3,3%. Al momento sono in servizio nelle carceri 733 educatori, mentre il numero previsto è di 896: ne mancherebbero, quindi, circa un quinto. Gli agenti di Polizia penitenziaria attualmente impiegati sono invece 36.939, circa 240 in meno rispetto alle 37.181 indicate dal Ministero della Giustizia come «dotazione organica» per il settore nel 2017: ne mancherebbero, insomma, meno dell’1%.

Detenuti stranieri e donne nelle carceri italiane

In costante calo è la popolazione detenuta straniera: al 31 dicembre 2020 i detenuti stranieri sono circa 17,3mila, contro i 19,9mila di fine 2019 e i 20,2mila del 31 dicembre 2018. Un dato, quello di fine 2020, che rispecchia il trend nazionale e segna un ritorno al 2015. La percentuale di popolazione straniera in carcere, rispetto al totale dei detenuti, passa dal 34% del 2017 al 32,5% di fine 2020. Rispetto al totale dei detenuti, le percentuali del 2020 confermano il trend degli ultimi 10 anni: la percentuale di stranieri in carcere rispetto al totale, infatti, è diminuita circa 4 punti percentuali rispetto al 2010.
Anche la presenza di donne in carcere segue l’andamento generale della popolazione penitenziaria: al 31 dicembre 2020 sono 2.255 le donne in carcere contro le 2.663 dell’anno precedente e le 2.576 presenze del 31 dicembre 2018.

Un volontario ogni 3,5 detenuti è inserito nel sistema carcerario italiano

Dal 2009 al 2017 cresce in maniera costante la presenza dei volontari in carcere. Nel 2017 sono 16,8 mila i volontari impegnati in diverse attività. Nel 2009 erano circa 8,5 mila. Nel 2018, invece, il dato è pressoché stabile rispetto all’anno precedente. Secondo i dati del Dap, quindi, ci sarebbe un volontario ogni 3,5 detenuti, ma i dati raccolti dall’Osservatorio di Antigone nel corso delle visite agli Istituti di pena italiani mostrano un impegno maggiore da parte del volontariato. Secondo Antigone, negli Istituti visitati il rapporto detenuti/volontari è pari a 7, ovvero un volontario ogni 7 detenuti. Nel 2020 si sono tolte la vita in carcere 61 persone. Erano quasi 20 anni che non si aveva un tasso di suicidi così elevato. Nella maggior parte dei casi si è trattato di persone giovani: l’età media è stata infatti di 39,6 anni.

Carceri, un sistema che va ripensato

L’attuale regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario è in vigore dal 20 settembre 2000. Oggi è necessario ripensare disposizioni che risalgono a un modello di carcere diverso da quello che le esperienze del nuovo millennio permettono di configurare. Il regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario è uno strumento potenzialmente capace di disegnare la vita degli Istituti di pena selezionando i valori cui improntarla. La legge ha bisogno di indicazioni concrete che sappiano leggerne le potenzialità dirette a un’esecuzione penale in linea con il dettato costituzionale.

A sollevare il problema è stata Amnesty International Italia che esprime la sua profonda preoccupazione per la situazione nelle carceri italiane nel contesto del Covid-19, in cui ad una diffusione dilagante dei contagi tra persone detenute e personale penitenziario non corrisponde una riduzione consistente della presenza numerica negli Istituti. 
In base ai dati del Ministero della Giustizia, nel 2020 erano 53.723 le persone effettivamente presenti in carcere, a fronte di una capienza regolamentare di 50.553 posti, ai quali vanno sottratti più di 3.000 posti non disponibili. La percentuale di affollamento è, quindi, ancora oggi superiore al 110% su scala nazionale, con picchi in alcuni Istituti italiani di più del 170%.

La percentuale di affollamento nelle carceri è superiore al 110%

Allo scoppio della pandemia, a fine febbraio, il numero di persone detenute era ben superiore, con 61.230 posti occupati. Da fine febbraio, però, si era avviata un’apprezzabile e doverosa tendenza al decongestionamento, con una diminuzione di 1.800 posti già alle soglie delle prime disposizioni adottate dal Governo il 17 marzo, contenute nel decreto “Cura Italia”, che aveva introdotto una serie di misure alternative al carcere che avevano permesso la riduzione di circa 4.500 presenze nel periodo dal 19 marzo al 16 aprile, in base ai dati raccolti dal rapporto di AntigoneDal mese di luglio, invece, la popolazione carceraria è tornata a crescere, riducendo anche gli spazi per l’isolamento delle persone positive, a fronte di un aumento esponenziale dei contagi. Al 30 ottobre 2020 le presenze in carcere ammontavano a 54.868 persone, 1.249 in più di fine luglio.

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L’adozione del nuovo decreto “Ristori”, approvato il 28 ottobre, ha reintrodotto nuove misure per contenere i contagi nelle carceri sulla linea di quelle di marzo, ma con effetti più limitati e che hanno permesso, ad oggi, un calo di poco più di 1.100 presenze. A questi dati preoccupanti si aggiunge l’aumento costante del contagio da Covid-19, ormai riscontrato in più di 70 Istituti penitenziari italiani. Ad inizio del 2021, il numero di detenuti/e positivi/e al Covid-19 era di 809 persone (di cui 27 sintomatici e 16 ospedalizzati), con già alcuni decessi registrati in varie Regioni. Anche i contagi tra gli agenti e altri operatori penitenziari sono stati in continuo aumento, con 969 casi tra il personale della Polizia penitenziaria e 73 tra il personale amministrativo e dirigenziale, secondo gli ultimi dati del Ministero della Giustizia. Il Garante per i diritti dei detenuti ha segnalato che la maggior parte degli Istituti lamentano la mancanza di spazi appropriati per l’isolamento delle persone detenute positive, in un contesto caratterizzato anche da scarsità di servizi sanitari e assistenza medica.

A questa situazione esplosiva si aggiunge poi l’isolamento prolungato delle persone detenute, aggravato dalla nuova sospensione delle visite esterne nelle carceri. Infatti, nelle regioni rosse «gli spostamenti per fare visita alle persone detenute in carcere sono sempre vietati, non potendo ritenere che tali spostamenti siano giustificati da ragioni di necessità o da motivi di salute». La situazione di isolamento ha, in molti casi, scatenato proteste violente in diversi Istituti penitenziari e ha rischiato di inasprire la tensione già presente nelle strutture, in assenza di misure adeguate che permettano alle persone deprivate di libertà di mantenere un contatto significativo con l’esterno.
Lo stesso Garante aveva espresso preoccupazione per la possibilità delle famiglie di avere informazioni circa le condizioni dei propri congiunti, esortando le autorità a trovare soluzioni praticabili per fornire informazioni tempestive alle famiglie e per garantire il diritto alle relazioni affettive per le persone private di libertà.

Le proposte per un sistema carcerario più giusto 

Alla luce di questa situazione, sono necessarie delle soluzioni adeguate e praticabili che mettano al primo posto la tutela del diritto alla salute per la popolazione detenuta, garantendo la massima trasparenza sulla situazione all’interno delle carceri e un monitoraggio costante sull’applicazione delle misure di prevenzione, soprattutto in questa fase di chiusura in cui le stesse organizzazioni che effettuano osservazione indipendente sono costrette ad effettuare una faticosa raccolta di informazioni a distanza.
L’associazione Antigone si è fatta promotrice con Anpi, Arci, Cgil, Gruppo Abele di una lettera rivolta al Governo e ai parlamentari della Commissione giustizia di Camera e Senato, supportata anche da Acat, Ristretti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia-CNVG, CSD – Diaconia Valdese, Uisp Bergamo e InOltre Alternativa Progressista.

Riduzione dell’affollamento nelle carceri e dell’isolamento affettivo dei detenuti

Le misure proposte mirano alla riduzione dell’affollamento e delle presenze numeriche in carcere, attraverso l’introduzione di misure alternative che proteggano soprattutto le persone vulnerabili e con problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del Covid-19; alla riduzione dell’isolamento dei detenuti, attraverso l’introduzione di alternative che permettano un contatto costante con le famiglie; alla prevenzione del contagio e il sostegno allo staff penitenziario, anche rafforzando l’assistenza sanitaria negli Istituti penitenziari.
Secondo Marcelo Aebi, professore responsabile per il rapporto Space, se si osservano i trend della popolazione carceraria in Italia dal 2000, il Paese sembra avere due strade per risolvere la questione del sovraffollamento. La prima è ridurre la durata delle pene; la seconda è di costruire più prigioni, anche perché, afferma Aebi, «le amnistie, come quella del 2006, non risolvono il problema».

Sistema carcerario e Costituzione italiana

La Costituzione è un principio regolatore della nostra società, delle democrazie tutte, atta a tutelare ogni essere umano e cittadino. Precisamente, all’interno della Costituzione italiana si trova l’articolo 27: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tuttavia, l’Italia assume una percezione di giustizia punitiva e carcere-centrica. Non a caso, il nostro Paese è annoverato per avere le pene più lunghe rispetto ad altri paesi europei. Il 27% della popolazione carceraria italiana ha una condanna compresa tra i 5 e i 10 anni, a fronte di una media europea del 18%, ovvero di 9 punti percentuali più bassa. La realtà mostrata dal rapporto di Antigone del 2021 mostra come le condizioni delle carceri siano spesso al limite. La popolazione carceraria è in media del 115% in più e in alcune città come Taranto o Brescia arriva a toccare picchi, rispettivamente del 196,4% e del 191,9%. A fronte di questi dati sembra difficile pensare che si stia trattando la popolazione carceraria con intento educativo e secondo «il senso di umanità» citato nella nostra Costituzione.

Una percezione di giustizia punitiva e carcere-centrica

Ma come può esistere rieducazione alla luce di quello che dimostrano le denunce del Comitato di Prevenzione della Tortura (CPT)? Il risultato del sistema-carcere si può misurare attraverso il livello di recidività e di buona riuscita dell’intento rieducativo. Secondo il libro Vendetta pubblica. Il carcere in Italia di Vigna e Bortolato, la recidività di chi ha commesso reati è molto alta in Italia, sette ex detenuti su dieci tornano a delinquere, ma la percentuale crolla dal 70% al’1% tra chi negli ultimi anni da detenuto ha avuto modo di lavorare. Solo con una possibilità di riscatto, si dimostra a chi ha sbagliato di avere fiducia da impiegare e spendere al meglio nella vita che lo attende; diversamente ci adoperiamo soltanto ad infliggere pene con risultati, sia per l’ex detenuto stesso, quanto per la società, altamente discutibili.

Sette ex detenuti su dieci tornano a delinquere

Concetto nato negli anni Ottanta in America del Nord, la “giustizia riparativa” consiste nella volontà di non considerare il reato come violazione di una norma e nella sensibilizzazione di chi ha commesso l’illecito, nell’ottica di educare alla comprensione degli effetti che il crimine ha come risultato, sotto i diversi aspetti – morali, emotivi, materiali o relazionali – che colpiscono singole persone o interi gruppi. Il soggetto principale per la giustizia penale non deve essere solo un concetto astratto e giuridico, ma deve esserlo a livello conscio, sensibile, emotivo e umano. Diversamente, ogni reato viene percepito come burocratico e astratto, le persone da soggetti diventano di contorno e marginali in un freddo indice di codici. Il reato deve essere considerato come danno alle persone, cosicché consegue l’obbligo dell’autore del reato a rimediare al suo comportamento lesivo e alla sua condotta coadiuvando un coinvolgimento attivo della vittima con la società. I percorsi di reinserimento alternativo alla detenzione sono misure che snelliscono i processi e il carico di lavoro della giustizia, ma ricordiamo che questi trattamenti sono validi per reati minori, e ancora una volta l’assenza dello Stato pesa, facendosi sentire su chi deve scontare pene più lunghe trovandosi a fine pena a doversi interfacciare con un mondo che spesso è completamente cambiato rispetto alla vita passata.

Il sistema carcerario non deve concentrarsi sull’aspetto punitivo, bensì riparativo

Molto c’è ancora da fare per la reintegrazione sociale e lavorativa: la tutela sembra essere più vicina, secondo l’ultimo rapporto del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte, alla possibilità di investire per cambiare qualcosa, per avvicinarsi umanamente ai detenuti. La realizzazione di una Casa Famiglia Protetta come struttura urgente e necessaria in un percorso virtuoso di presa in carico delle mamme detenute con bambini, in collegamento con ICAM (Istituto a Custodia Attenuata per Mamme con bimbi in carcere) presente nel carcere di Torino, sarà una sfida importante, essendo ad oggi soltanto due le realtà italiane (Milano e Roma) in fase sperimentale in questo senso. Ci sono molti passi in avanti da fare e oggi più che nel Settecento, le parole di Voltaire sembrano risuonare pregne di significato: «Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri» ed in uno Stato democratico, quale è il nostro, è auspicabile una sensibilità e una consapevolezza tale da poter avere decenza e coscienza dell’uomo-individuo a cui riconoscere dignità e giustizia morale.

Fonti: Osservatoriodiritti.it; XVII Rapporto Antigone sulle carceri Italiane; Rapporto del consiglio d’europa “Space” sulle carceri europee 2021; Osservatorio del DAP.

 

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