Una riflessione sul ruolo che il cosiddetto Country of Origin Effect potrebbe e dovrebbe giocare in una strategia efficace di tutela del Made in Italy appare particolarmente opportuna. È infatti indubitabile la forza competitiva che la provenienza italiana di un prodotto possiede in tutti i mercati mondiali. E tuttavia il Made in Italy possiede un potenziale ancora non del tutto espresso. Un sistema che rappresenta non solo un asset economico ma, soprattutto, un patrimonio sociale e culturale non può essere del resto sacrificato sull’altare di una globalizzazione selvaggia. E anche sul piano fiscale, gli strumenti in grado di difendere e rilanciare il comparto non possono essere confinati alla soggettività imprenditoriale individuale, ma devono trovare anche delle forme collettive.
Made in Italy patrimonio sociale, culturale ed economico
In questo senso uno strumento giuridico contrattuale importante può essere, ad esempio, il contratto di rete. Le reti di imprese permettono, da un lato, il mantenimento dell’indipendenza e dell’identità delle singole imprese partecipanti alla rete, e dall’altro il miglioramento della dimensione necessaria per competere sui mercati globali. Si tratta, quindi, di uno strumento particolarmente adatto al tessuto imprenditoriale italiano, composto da micro, piccole e medie imprese molto dinamiche, ma spesso incapaci di competere in termini di innovazione ed internazionalizzazione con imprese più strutturate e di maggiori dimensioni. Forse anche per tale motivo il Dl. n.78/10 aveva istituito un’agevolazione fiscale a favore delle imprese aderenti a un contratto di rete, consistente in un regime di sospensione di imposta sugli utili d’esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati al fondo patrimoniale per la realizzazione degli investimenti previsti dal programma di rete, che avesse ottenuto la preventiva asseverazione da parte degli organismi abilitati. L’Agenzia delle Entrate aveva anche chiarito che gli investimenti del programma di rete potevano consistere nell’assunzione dei costi per l’acquisto o l’utilizzo di beni (strumentali e non) e/o servizi e nell’assunzione dei costi per l’utilizzo del personale. Riprendere e rifinanziare tale misura potrebbe quindi essere determinante e molto efficace.
La tassazione “di distretto”
Altra misura importante potrebbe poi essere quella già prevista per i distretti produttivi dalla legge finanziaria per il 2006. L’idea era quella di una tassazione “di distretto”, consistente nel dare alle imprese del distretto la possibilità di determinare unitariamente la loro base imponibile, compensando tra loro i redditi e le perdite delle singole imprese partecipanti. Allo stesso tempo, si prevedeva anche la possibilità di scegliere un diverso (più elevato) modello di integrazione fiscale, quello cosiddetto “unitario”, che comportava la soggettività passiva d’imposta del distretto e la tassazione su base concordataria, di durata almeno triennale, applicabile non solo alle imposte dirette ma anche ai tributi e contributi di competenza degli enti locali. Anche questa strada potrebbe dunque essere ripresa.
Reti di imprese, uno strumento adatto al tessuto imprenditoriale italiano nel mercato globale
In connessione con il rilancio delle reti di impresa, andrebbero previste anche delle misure specifiche in tema di Irap. In tal senso una prima ipotesi potrebbe essere quella di ridurre l’aliquota ordinaria Irap in presenza di determinati requisiti, quali tipo di attività, limite di fatturato, partecipazione a contratti di rete etc. Una seconda ipotesi potrebbe essere quella di riconoscere l’esenzione Irap, ma soltanto ai redditi riferibili alla rete: ciò implicherebbe che ciascuna impresa sarebbe soggetta a due aliquote Irap diverse, una ordinaria per i redditi extra rete ed una a zero per l’esenzione sull’imponibile Irap del contratto di rete. Una terza ipotesi potrebbe consistere, infine, nel riconoscere un credito di imposta Irap, da utilizzare in compensazione, parametrato ad alcune voci di costo della rete con percentuali differenziate sulle tipologie di investimento (come, per esempio, già previsto per il credito di imposta per Ricerca e Sviluppo), oppure pari ad una percentuale sull’importo dei conferimenti fatti dalle imprese ai fondi comune e/o ai patrimoni destinati delle reti e/o sui finanziamenti specifici. A parte queste misure “mirate”, non bisogna comunque dimenticare che la vera forza del Made in Italy è il capitale umano. E, in tal senso, sarebbe dunque fondamentale supportarne, anche tramite misure di ordine fiscale, la valorizzazione, anche in termini di formazione. A tal fine sarebbero per esempio importanti:
- Una maggiore riduzione del cuneo fiscale e contributivo, correggendo alcuni effetti distorsivi ed eccessivamente limitativi presenti nell’attuale disciplina;
- Maggiori incentivi fiscali sui premi di risultato, riducendo la tassazione sul reddito personale rispetto all’attuale aliquota ed innalzando il limite annuo dei premi, elargiti sotto forma di denaro, assoggettati al regime agevolato;
- Un adeguato credito d’imposta sulla formazione, estendendolo alle attività di formazione per il personale dei distretti e comunque per i fabbisogni formativi necessari alla tutela del Made in Italy.
Made in Italy, la lotta alla contraffazione anche sul piano fiscale è una priorità
Infine, anche se il tema meriterebbe ben altri approfondimenti, un’ultima considerazione, sempre di ordine fiscale, collegata alla lotta alla contraffazione. Andrebbe chiarita, in modo espresso, la indeducibilità dei costi illeciti legati alla contraffazione. Questa misura sarebbe una misura fiscale “indiretta” di contrasto alle attività di contraffazione, laddove oggi non è così scontato che chi svolge tali attività illecite poi non possa dedurre i costi legati alla stessa attività illecita, con dunque sleale concorrenza nei confronti delle attività legali. Il provento da contraffazione, laddove non confiscato, dovrebbe essere in sostanza sottoposto a tassazione di per sé, senza possibilità di “scorporarlo” dai costi, oneri e spese sostenuti per la sua produzione, i quali, pertanto, dovrebbero essere considerati espressamente indeducibili. Insomma un percorso complesso e impegnativo, ma l’obiettivo è troppo grande per non provarci.
*Direttore Osservatorio sulle Politiche fiscali dell’Eurispes.
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