Il PNRR fa della transizione verde e di quella digitale i capisaldi dello sviluppo sostenibile per trainare l’Italia verso la ripresa. Queste politiche si scontrano oggi con le difficoltà derivanti dai rapidi e drammatici risvolti geopolitici nell’Est Europa. In considerazione del primario ruolo di fornitore energetico della Russia per il nostro Paese, le politiche green in via di implementazione rischiano di subire una battuta di arresto.
Nuove esigenze di intervento dalla crisi ucraino-russa
A dire il vero, nelle ultime settimane il Covid-19 è stato relegato in una posizione marginale nel dibattito pubblico, lasciando presagire su quali temi bisognerà agire nel breve termine: i complicati equilibri geopolitici, l’approvvigionamento delle catene industriali, l’autosufficienza energetica. La crisi russo-ucraina è rapidamente degenerata in guerra, dando vita a un fronte europeo e mondiale unito nella condanna delle operazioni militari. Una delle possibili conseguenze delle sanzioni adottate verso la Russia è il taglio per il nostro Paese delle forniture di gas, con evidenti ripercussioni sull’intera economia e sul percorso di ripresa delineato dal NGEU.
Gli ostacoli al PNRR: la transizione verde
Il PNRR destina alla «rivoluzione verde e transizione ecologica» circa 60 miliardi di euro, che rendono tale missione la maggiore per dimensione all’interno del Piano. A questi fondi si aggiungono quelli per la mobilità sostenibile previsti dalla terza missione, che contribuiscono per ulteriori 25,4 miliardi, facendo arrivare i fondi per la transizione verde al 37,5% del totale del PNRR. Il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo potrà passare anche per il ricorso al gas come fonte energetica di transizione, come ribadito all’inizio dello scorso febbraio dalla Commissione Europea in occasione della presentazione del secondo atto delegato sulla Tassonomia Europea.
Il necessario ritorno al carbone
Il rischio, però, non è soltanto quello di una situazione di stallo, ma addirittura di un arretramento. Il Consiglio dei Ministri lo scorso 28 febbraio ha adottato il DL 16/2022, che valuta la riduzione programmata dei consumi di gas e l’aumento della produzione di energia tramite centrali a carburanti fossili (carbone e olio combustibile). Tornare a bruciare carbone è un passo indietro, ma è un passo obbligato in questo momento. Anche il carbone, peraltro, andrà acquistato dall’estero, quindi produrre energia in modo alternativo al gas russo costerà e inquinerà di più. Senza contare i limiti fisiologici della produzione di energia da carburanti fossili, derivanti anche dal processo di smantellamento delle centrali a carbone iniziato negli scorsi anni e da concludere entro il 2025, come previsto dal Piano Nazionale Energia e Clima. Ciò implica un aumento dell’esposizione italiana al mercato energetico estero, con tutti i rischi legati alle oscillazioni dei prezzi e agli squilibri geopolitici che ne derivano.
La transizione verde come strategia di indipendenza energetica
Se da un lato è evidente la fragilità del processo di transizione verde, dall’altro la crisi ucraino-russa ha evidenziato la necessità una sua accelerazione, attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e il ricorso alle rinnovabili. Lo stesso Presidente Draghi ha dichiarato, nelle comunicazioni in Senato dello scorso 1° marzo, che l’ambizione del Paese rimarrà quella di puntare a un decisivo aumento della produzione di energie rinnovabili, in continuità con gli impegni di NGEU e del Green Deal, semplificando le procedure e aumentando gli investimenti (in capacità di rigassificazione e nel raddoppio della TAP, per esempio). Evitare in questo senso la dipendenza da un solo Paese è sempre più una “questione di libertà” e “prosperità”.
*Responsabile per l’Istituto dell’Osservatorio per lo Sviluppo dei Territori Eurispes/RGS